Il ritmo infernale dello sport tra calendari pieni e l’eccessiva quantità di partite. Si gioca tanto, troppo? Dal calcio al tennis al basket Nba si lamentano tutti. L’evoluzione dello sport moderno, regolato dalle logiche dello show business, produce una discussione continua sulla congestione di tornei e partite a destra e a manca, sul benessere dei giocatori a causa del grande sovraccarico di impegni. Per lo spagnolo Rodri, centrocampista del Manchester City e Pallone d’Oro 2024, «il calendario del calcio non è sano». Dal nuovo formato della Champions League alla neonata Coppa del mondo per club, fino all’espansione del Mondiale 2026 a 48 squadre.

Nella classifica dei calciatori con più presenze negli ultimi 13 mesi - fino a settembre 2025 - svetta il record di Federico Valverde. Per il centrocampista del Real Madrid e dell’Uruguay 78 partite e 6.618 minuti giocati. Gli esperti medici della FIFPro, il sindacato internazionale dei calciatori professionisti, sostengono che giocare più di 55 partite a stagione non sia sostenibile ad alto livello, aumenta il rischio di infortuni, di stress mentale e produce prestazioni mediocri.

È pur vero che l’aumento di partite porta nelle casse dei club più denaro dai diritti televisivi, dagli sponsor, dalla biglietteria. Se gli impegni aumentano, si allunga pure la rosa dei giocatori che una squadra deve tesserare. È anche grazie a questo circolo vizioso se i calciatori possono continuare a pretendere ingaggi faraonici. Nell’ultima settimana ha espresso la propria frustrazione la leggenda francese Thierry Henry. L’ex attaccante di Barcellona e Arsenal è un allenatore, ma anche uno dei più quotati opinionisti televisivi in forza alla Cbs: «Ci sono troppe partite, come tifoso sono stanco. È tutto troppo, troppo. Quest’estate non ho guardato il Mondiale per club. Non si tratta di lamentarsi o dire che i giocatori guadagnano troppo, bisogna avviare un confronto serio e educativo tra Fifa, Uefa e i giocatori attuali». La Fifa sottolinea invece il grande successo di ricavi e di pubblico del Mondiale per club, come dire “i tifosi hanno sempre fame di calcio e noi li sfamiamo”.

Un sistema che penalizza tutti

Il dibattito è aperto anche in Nba, dove il calendario di regular season conta 82 partite. Le star sono costrette a saltare alcuni game per recuperare fisicamente, con la conseguente delusione dei tifosi. «La salute dei miei atleti è la cosa più importante per poter vincere, noi la mettiamo al primo posto», analizza Steve Kerr, coach dei Golden State Warriors. «La gente spende un sacco si soldi per vedere una squadra e poi non vedono giocare alcuni grandi campioni, è una cosa a cui penso spesso. Se la stagione fosse di 65-70 partite tutti scenderebbero in campo ogni sera. Ma far passare questa idea è difficilissimo».

Nel tennis le lamentele per l’overdose del calendario sono all’ordine del giorno. L’ex numero uno del mondo Iga Swiatek, fresca vincitrice a Seul, confessa di sentirsi dentro una lavatrice: «Ho giocato 70 match in questo 2025, andrò avanti fino a novembre con le WTA Finals di Riyadh. Poi farò una vacanza di otto giorni e lavorerò quattro settimane sulla preparazione fisica off season. Se mi immagino a fine dicembre, cioè se penso a cosa mi aspetterà nei successivi undici mesi, mi sento già sopraffatta. La stagione tennistica è troppo lunga e intensa, il calendario è folle».

La soluzione migliore è ridurre il programma, anche a costo di saltare i tornei “mandatory”, cioè quelli obbligatori. Lo ha appena fatto Carlos Alcaraz, che ha dato forfait al Masters 1000 di Shanghai per salvaguardare una caviglia gonfia e rifiatare dopo una super stagione con due Slam vinti, un totale di 10 finali e otto titoli conquistati. Una scelta che gli costa molto sia come punti nel ranking sia come bottino: perderà una cifra superiore al milione di euro, ma se lo può permettere.

Nel circuito ATP vige la regola del “Best 19”, i punti devono obbligatoriamente far parte delle seguenti categorie: quattro Slam, nove Masters 1000 (Montecarlo non è obbligatorio), e cinque ATP 500 (di cui uno almeno dopo lo Us Open). In caso di mancata partecipazione sono previste sanzioni, dalla penalizzazione di punti alle multe. «Il calendario è troppo serrato, dovrebbe esserci più libertà per i giocatori», denuncia Alcaraz, che venerdì si è preso la frecciatina di Nole Djokovic: «I tennisti si lamentano del calendario e poi fanno le esibizioni…». Il riferimento del fuoriclasse serbo è alle numerose partecipazioni di Carlos nei ricchissimi tornei di esibizione.

Ma davvero adesso si gioca troppo? No. Rispetto a 20/30 anni fa ci sono meno tornei, complessivamente si gioca di meno. Ne l1994 si è registrato il numero massimo di tornei: 90. Nel 2001 si è scesi a 80. Negli ultimi anni si giocano una media di 64-70 tornei. Negli anni ‘90 la stagione finiva addirittura dopo, il 10 dicembre, con la Grand Slam Cup di Monaco di Baviera con un ricco montepremi di 6 milioni di dollari.

Furlan: «Bisogna fare delle scelte»

Quegli anni Renzo Furlan li ha vissuti da giocatore, nel 1996 il suo best ranking da numero 19 al mondo. Adesso, come allenatore, vive la stessa realtà di una stagione estenuante che dura undici mesi. L’anno scorso, quando era il coach di Jasmine Paolini, ha trascorso 48 settimane fuori casa. «La vita del tennista è faticosa tra le continue trasferte continentali e lo stress degli orari delle partite che variano. Ma io devo essere sincero e penso che alcune persone vedano dei problemi dove non ci sono», risponde Furlan a Domani. «Questi ragazzi non sono costretti da nessuno: se vogliono giocano, altrimenti si cancellano. La grossa problematica però, nel maschile e adesso anche nel femminile, deriva dall’aver allungato a due settimane i tornei 1000, è questo che ha intasato il calendario. Perché sono tornei obbligatori, se non li giochi fai zero punti».

Nello specifico parliamo delle due settimane di gioco per Indian Wells, Miami, Roma, Madrid, Shanghai (Pechino per le donne) più Cincinnati e Montreal che durano dieci giorni. «Questi tornei prima avevano tabelloni da 56 giocatori, adesso sono diventati da 96, ecco il punto. Le settimane di gioco dei 1000 sono raddoppiate da sei a dodici; quindi, lo spazio per giocare gli altri tornei 500 e 250 si è ridotto. Ecco perché Djokovic &Co si stanno battendo per eliminare il più possibile proprio i tornei combinati (uomini e donne) di due settimane. Sulle spalle dei più forti ci sono tanti doveri, è innegabile, ma hanno bisogno di fare scelte. Lo stesso Sinner, che non a caso non si lamenta perché è lungimirante, ripete spesso l’importanza di poter scegliere».

Jannik non fa esibizioni, a parte quella in Arabia, perché gli porterebbero via del tempo che è prezioso. Lo scorso anno decise di non giocare alcuni tornei perché aveva necessità di allenarsi. È tutta una questione di libero arbitrio, quindi. Del resto un tennista è l’amministratore delegato di sé stesso, ha la possibilità di stabilire le priorità, calibrare gli sforzi del corpo e della mente. «Noi consideriamo solo i primissimi al mondo», chiosa Renzo Furlan. «Io mi riferisco a una platea più ampia di tennisti, ecco perché dico: ma meno male che si gioca tanto. Prendiamo un giocatore che è numero 200 al mondo e non riesce a pareggiare le molte spese tra viaggi, alloggi, stipendi a coach e preparatori. È un grande vantaggio che ci siano tante chance di giocare, sulla terra, sul cemento, ovunque, da gennaio a fine novembre, proprio per il fatto che ci sono molti soldi in palio per chi deve sopravvivere».

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