Dai Alberto, provaci anche tu. Hai 58 anni, non 41, e con la velocità pura non ci sei mai andato d’accordo. Ma un tentativo fra i tuoi amati pali stretti potresti azzardarlo. Dovresti fare una capatina dal professor Martin Roche a Fort Lauderdale, in Florida, e regalare alle tue ginocchia due mini protesi in titanio. Tra l’altro senza troppi stress emotivi dato che l’intervento lo realizza un robot che ha il massimo rispetto delle giunture altrui. E poi, dopo un periodo di astinenza dai tuoi amati vini potresti riprovare a fare qualche garetta. Per Milano-Cortina è tardi ma sai che bisogno c’è, nello sci nostrano, di imprese così. Caro Tomba, con Lindsey Vonn che è un bel po’ più giovane di te ha funzionato. La tecnologia non ha confini.

Leggenda infinita

A 41 anni suonati Lindsey Vonn ha vinto la libera femminile di Sankt Moritz rifilando alle avversarie distacchi dal sapore omerico. Un secondo e sei decimi a Sofia Goggia, quarta.

Successo numero 83 in carriera. Il tutto con un ginocchio dove il robot di cui sopra ha inserito una protesi “compartimentale” in titanio: una sorta di placca cementata nel cuore dell’articolazione che non solo ha eliminato il dolore che la leggiadra Vonn provava prima dell’intervento, ma l’ha trasformata in una sorta di donna bionica capace di tornare al successo quasi otto anni dopo (OTTO ANNI) l’ultimo trionfo che era arrivato ad Are nel 2018.

Del resto che vi aspettavate? In un mondo dello sci dove ormai il livello di rischio per la salute è elevatissimo, dove Gisin pochi giorni fa ha sfiorato senza tanti giri di parole la possibilità di restare paralizzata per il resto dei suoi giorni, per sopravvivere e vincere bisogna essere qualcosa di più.

Ma se il titanio nel ginocchio l’ha applicato il robot agli ordini del professor Roche, quello nella testa lo devi possedere per volontà divina e per adeguata coltivazione della medesima da parte di qualcuno. Vonn li possiede entrambi.

Un successo storico

Il suo ritorno al successo dopo che, nella scorsa stagione, comunque sul podio a Sun Valley c’era salita, è qualcosa di mostruoso. Per una volta tanto si può adoperare il termine storico a ragione veduta, senza che le esagerazioni dettate dal marketing ne stravolgano il senso profondo.

È la versione sciistica dei Blues Brothers che tornano da agèes a far ballare la gente perché everybody needs somebody to love in qualsiasi era. È come se, i giorni sono quelli giusti, sei a Central Park a meditare sulla piazzola dove i tasselli di un mosaico compongono la parola “Imagine”, ti giri e trovi John Lennon con immancabili occhialini rotondi che ti dice quanto è dura oggi give peace a chance.

È uno stravolgimento delle leggi del tempo e forse anche della natura. Ma se il titanio della protesi compartimentale (ovvero non totale) ha il suo impatto sul corpo, quello nella mente di un’atleta che racchiude in sé stessa glamour e potenza senza mai dimenticare, seguendo le parole del Che, di non perdere mai la tenerezza, ha un padre che non è quello naturale.

Si chiamava Erich Sailer, era austriaco come Toni ma non parente del divino, ed è morto ad agosto alla veneranda età di 99 anni.

Il ruolo del padre 

Fu lui a impostare i primi gesti della piccola Lindsey sulla neve dopo averla vista nascere dato che stava al fianco del vero papà, Alan, che era stato suo protetto.

Alla cerimonia funebre che si è svolta a Hyland Hills Vonn (che ha abbandonato gli allenamenti a Park City per poter essere presente) ha detto: «Nella mia vita tutti hanno tentato di cambiarmi. Solo Erich mi ha insegnato a essere solo e sempre me stessa».

Non che Vonn sia venuta meno a tanto insegnamento. Raccontò Erich che durante un camp in Australia lei e Julia Mancuso (oggi stramamma) diedero vita a quella che oggi si definirebbe una “challenge”: saltare su un cavallo e cavalcarlo. Vonn lo fece, non si spezzò l’osso del collo e solo dopo le due ragazze si accorsero che i cavalli in questione erano selvaggi e non erano usi a trasportare esseri umani.

Il ritorno

Che volete che sia dunque vincere una libera a 41 anni. Lei l’aveva anche annunciato, ma i più avevano preso le sue parole come una boutade a uso e consumo di sponsor e ammiratori: «Non mi sono mai sentita così bene». Aveva ragione, per la miseria.

Prima della libera di Sankt Moritz, il più vecchio a vincere una gara di Coppa del mondo era stato l’omone svizzero Didier Cuche che però non aveva l’esigenza di conservare la tenerezza, nei modi e per il futuro.

Vonn invece riesce a coniugare un’immagine anche eterea, a essere una splendida testimonial di sé stessa, delle sue attività e del suo futuro, con una capacità di staccarsi dal suolo nevoso e atterrare senza nemmeno sollevare uno sbuffo di poudre.

Atleta titanica

È unica nello sport mondiale ed è superfluo sottolineare che alle Olimpiadi cortinesi di febbraio (nessuna ha vinto quanto lei sull’Olympia delle Tofane: 12 successi) sarà lei a essere attesa come la regina assoluta. Una storia-regina di cui l’Olimpiade ha bisogno vitale.

Per la cronaca: non è che la placchetta in titanio sia eterna. Se un soggetto scia alla domenicale con belle curve larghe e frenatine a effetto davanti al rifugio può pure darsi che duri fino al fine vita. Forse. Ma se ci si lancia in pista a oltre cento all’ora per un anno intero boh. Una protesi del genere si usura di 0.2 millimetri l’anno se il massimo sforzo cui la si sottopone è il passo lungo per salire sulla metro. Se si gareggia nelle gare veloci in Coppa del mondo il discorso è un altro.

Ma qui interviene il titanio del cervello che impedisce alla sciatrice statunitense di pensare a una cosa così prosaica come l’usura di un pezzo di metallo. Per questo ha vinto e per questo è già oggi una regina senza tempo, prima ancora di salire sul trono di Cortina.

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