Dal punto di vista tecnologico, il 2022 è stato senza dubbio all’insegna di due (presunte) grandi innovazioni: il web3 e il metaverso. Il primo termine indica l’embrionale terza generazione della rete basata su blockchain e criptovalute, mentre con il secondo si fa riferimento al nascente ambiente immersivo e virtuale in cui dovremmo trasferire una parte crescente della nostra quotidianità.

Questi due fenomeni – che solo parzialmente si sovrappongono – avrebbero dovuto rappresentare due nuove grandi rivoluzioni digitali e sono state al centro di una colossale corsa all’oro. L’anno scorso, le startup del web3 hanno ricevuto oltre 20 miliardi di dollari in investimenti: una cifra impressionante anche se in netto calo rispetto all’apice del 2021, quando l’euforia nei confronti di blockchain, criptovalute e Nft ha toccato i massimi e gli investimenti complessivi hanno sfiorato i 30 miliardi di dollari.

Negli stessi mesi, le enormi aspettative riposte nel metaverso producevano previsioni secondo le quali questi ambienti immersivi – Horizon Worlds, Fortnite e tutti gli altri – avrebbero complessivamente generato, entro il 2030, un valore economico pari a 1.600 miliardi di dollari (stima Emergen Research); cifra che sale a cinquemila miliardi secondo le previsioni di McKinsey e addirittura a 13mila miliardi secondo Citi Group. Chi offre di più?

Bolle scoppiate

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Le cose sono poi rapidamente cambiate. Lo scoppio della (ennesima) bolla delle criptovalute, a cui si è aggiunta quella degli Nft, ha inevitabilmente trascinato con sé anche il vagheggiato web3, al punto che nell’ultimo trimestre del 2022 gli investimenti in questo settore sono scesi di un impressionante 74 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Per quanto invece riguarda il metaverso, a simboleggiare il cambio d’attitudine è stato il post con cui il responsabile tecnologico di Meta, Andrew Bosworth, ha illustrato i piani della società per il 2023 senza mai menzionare il termine “metaverso”.

Il rapido declino negli investimenti e nell’interesse riservato a questi due settori non fa che aumentare i sospetti secondo cui, dietro i tanti annunci, ci fossero più che altro delle colossali operazioni di marketing. E così, dimenticati (almeno per il momento) web3 e metaverso, il 2023 promette di essere all’insegna di una tecnologia i cui primi grandi successi risalgono ormai a più dieci anni fa: il deep learning (ormai sinonimo di intelligenza artificiale).

D’altra parte, il deep learning ha già da tempo dimostrato le sue potenzialità trasformative. È infatti questa tecnologia che seleziona ciò che appare sulla nostra bacheca di Facebook o Instagram, che ci suggerisce cosa ascoltare su Spotify, cosa vedere su Netflix o acquistare su Amazon. È il deep learning che traduce sempre più accuratamente le nostre frasi su Google Translate o DeepL, che viene utilizzato – spesso impropriamente – a scopi di sorveglianza o per decidere quale candidato assumere, a chi erogare un mutuo e in tantissimi altri settori ancora, dai più innocui a più strategici e preoccupanti (com’è il caso delle armi autonome).

A creare enorme interesse negli ultimi mesi è stato però un particolare tipo di intelligenza artificiale, la cosiddetta generative AI: i sistemi di deep learning in grado di generare testi, immagini, suoni e altro rispondendo ai comandi degli utenti. Tra gli esempi più noti, ci sono i sorprendenti contenuti testuali generati da ChatGpto le immagini create da Dall-E 2, Stable Diffusion o MidJourney.

Ad attirare le attenzioni degli investitori sono state anche le dimensioni ancora relativamente contenute della maggior parte delle società di intelligenza artificiale generativa: da OpenAI (nata nel 2015 e responsabile di ChatGpte Dall-E 2) a Stability AI (a cui si deve il sistema di creazione immagini Stable Diffusion), fino a quelle meno note come Jasper, Character.AI, Replika e You.com.

Investimenti per 1,37 miliardi

Secondo i dati Pitchbook, nel corso del 2022 sono stati investiti in questo settore 1,37 miliardi, escludendo le società attive in campi differenti dell’intelligenza artificiale: cifra destinata con tutta probabilità a crescere enormemente nel corso di quest’anno. «La AI generativa ha il potenziale di generare migliaia di miliardi di valore economico», si legge per esempio nel blog di Sequoia Capital, con cui il fondo d’investimento segnala ufficialmente l’inizio di una nuova corsa all’oro.

Al momento, secondo quanto riportato dal New York Times, ci sono circa 450 startup che si occupano di generative AI, alcune delle quali – come Jasper, algoritmo che genera testi e immagini per uso professionale – hanno conquistato valutazioni superiori al miliardo di dollari e altre – come il bot dalle fattezze umane Replika, con cui chiunque può chiacchierare in libertà – che hanno addirittura deciso di rifiutare ulteriori investimenti.

Un caso tutto particolare è però quello di OpenAI. Non solo perché questa società era inizialmente una no-profit finanziata da imprenditori come Elon Musk (poi fuoriuscito) e Sam Altman (attuale Ceo) allo scopo di tenere sotto controllo lo sviluppo delle intelligenze artificiali, ma anche perché la sua valutazione avrebbe oggi raggiunto quota 29 miliardi di dollari e i fondatori starebbero valutando la possibilità di cedere le quote a fondi d’investimento come Thrive Capital e Founders Fund.

Di mezzo, però, c’è anche Microsoft: il colosso fondato da Bill Gates aveva già nel 2019 investito un miliardo di dollari in OpenAI e a fine gennaio ha confermato un ulteriore finanziamento da 10 miliardi, allo scopo, come ha spiegato lo stesso Ceo Satya Nadella, di «trasformare completamente ogni prodotto di Microsoft integrando in essi le abilità dell’intelligenza artificiale».

La priorità di Microsoft, come visto proprio negli scorsi giorni, è di integrare ChatGpt all’interno di Bing e trasformare così il suo quasi inutilizzato motore di ricerca (9 per cento di utilizzatori a livello globale) in un temibile concorrente di Google (che oggi detiene l’84 per cento delle ricerche). La speranza è infatti che, grazie a ChatGpt, Bing possa offrire in maniera conversazionale delle riposte attendibili alle nostre domande e soddisfare le nostre ricerche. Un obiettivo che rischia di infrangersi con due realtà: prima di tutto, anche Google è sicuramente in grado di produrre uno strumento del genere; in secondo luogo, al momento ChatGpt non è minimamente in grado di distinguere i fatti dalle finzioni e a volte inventa di sana pianta i resoconti che offre; un limite che la rende totamente inaffidabile come fonte d’informazione e che, secondo gli stessi programmatori di OpenAI, «è molto difficile da superare».

I piani di Microsoft

Sempre nei piani di Microsoft ci sarebbe poi la possibilità di integrare ChatGpt all’interno di Office e di Outlook – allo scopo di migliorare la qualità dei nostri documenti e email – e anche di PowerPoint, al fine di generare immagini e grafici da utilizzare nelle presentazioni. La scommessa, nel complesso, è che col tempo gli strumenti generativi verranno integrati in tutti i software che utilizziamo: migliorando la comunicazione con Alexa e gli altri assistenti digitali, aiutandoci nella post-produzione di video e immagini e magari, un domani, permettendoci di dare comandi e istruzioni vocali a tutti i nostri oggetti connessi.

In questa fase di galoppante entusiasmo è però importante sottolineare gli aspetti problematici di questi strumenti, che spesso infrangono il diritto d’autore (dal momento che tutte le loro creazioni rielaborano del materiale di partenza), possono facilmente trasformarsi in macchine per fake news e deep fake di ogni tipo, potrebbero causare un’omologazione dei contenuti e altro ancora.

Esaurito l’entusiasmo verso web3 e metaverso, la macchina dell’hype ha insomma subito individuato una nuova parola d’ordine: generative AI. Adesso non resta che capire se questo strumento – che non rappresenta una novità, ma che con ChatGpte gli altri ha sicuramente toccato nuove vette – sarà in grado di mantenere le altissime aspettative di colpo generate.

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