I numeri confermano che l’ultimo triennio, con un aumento medio delle temperature di oltre 1,5°C rispetto all’era preindustriale, sia un periodo fuori dal comune della storia umana. Il servizio per lo studio del cambiamento climatico ha anche rilevato che, per l’Europa, quello che sta per concludersi è stato l’anno record per emissioni di carbonio provocate dagli incendi, con effetti diretti sulla salute umana. Fuzzi (Cnr): «L’unica via è ridurre le emissioni»
Gli anni 2023 e 2025 si stanno contendendo il posto di secondo anno più caldo mai rilevato, secondo i nuovi dati a disposizione del programma Copernicus per lo Studio del cambiamento climatico dell’Unione europea. Un record non certo edificante, che vede un ulteriore peggioramento di quanto comunicato dallo stesso servizio solo un mese fa. «A novembre, le temperature globali sono state 1,54°C sopra i livelli dell’epoca preindustriale, e la media dei tre anni in corso è in linea per sforare 1,5°C per la prima volta», ha detto Samantha Burgess, responsabile della sezione clima di Copernicus.
Burgess insiste così tanto sugli 1,5°C perché quella è la soglia di sicurezza identificata dagli scienziati delle Nazioni Unite per evitare che il riscaldamento globale comporti cambiamenti di lunga durata e irreversibili. Oltre 1,5°C si entra infatti in una zona di rischio con svariati “punti critici”. Si tratta di vere e proprie soglie, oltrepassate le quali l’ambiente si riorganizza in modo spesso improvviso e irreversibile, provocando cambiamenti che finiranno per aumentare ulteriormente il surriscaldamento globale.
Come se non bastasse, Copernicus ha anche rilevato che il 2025 in Europa è stato l’anno record per quanto riguarda le emissioni di carbonio provocate dagli incendi.
Novembre: temperature più alte ed eventi estremi
Durante il mese di novembre, le temperature sono state sensibilmente sopra le media nel nord del Canada e sul Mar Glaciale Artico. Le scorse settimane sono state poi marcate da un susseguirsi di eventi climatici estremi, come i cicloni tropicali che hanno colpito il sud-est asiatico, uccidendo oltre 1.600 persone tra Sri Lanka, Indonesia, Thailandia, Malesia e Vietnam. Più di un milione di persone è stato costretto ad abbandonare la propria casa.
I nuovi dati confermano quindi come il triennio che ci stiamo lasciando alle spalle rappresenti un periodo fuori dal comune della storia umana. Complessivamente, la temperatura media da gennaio a oggi è stata 1,48°C oltre i livelli della seconda metà del XIX secolo, che vengono presi a riferimento per l'età preindustriale. Anche se il 2025 quindi potrebbe non sforare gli 1,5°C, con ogni probabilità lo farà la media del triennio.
Questo non significa che il pianeta si sia giocato definitivamente ogni possibilità di ritornare al di sotto di quel limite, spiega a Domani Sandro Fuzzi, ricercatore emerito dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del Consiglio Nazionale delle Ricerche. «Non vuol dire che non possiamo tornare in un limite accettabile, ma ci vorranno almeno alcuni decenni - spiega Fuzzi -. Per fermare l'attuale trend l'unica cosa che si può fare è la riduzione delle emissioni».
Anche la Cop appena conclusasi a Belém l’ha ribadito come obiettivo. Peccato che non sia stata in grado di indicare chiaramente le azioni da mettere in campo.
Le emissioni da incendi
Ma il 2025 è stato anche un anno fuori dall’ordinario per gli incendi. Attraverso il servizio di Monitoraggio dell’atmosfera, Copernicus controlla infatti le loro emissioni dal 2003. E durante l’estate trascorsa i roghi che hanno attraversato l’Europa hanno prodotto una quantità mai registrata di carbonio: 13 milioni di tonnellate.
A causa della siccità estiva e dei forti venti che hanno percorso la penisola iberica, quest’estate la Spagna ha registrato le emissioni più alte in 23 anni. Roghi così intensi che hanno portato il fumo a viaggiare fino al Regno Unito e all’Europa del nord-ovest. Ma incendi preoccupanti hanno attraversato anche la Grecia, la Turchia e Cipro.
D’altronde, l’anno si era aperto con le drammatiche fiamme che hanno devastato la città di Los Angeles negli Stati Uniti e si sta chiudendo con quelle che hanno attraversato la regione boreale del Canada in ottobre.
Il problema in questo caso non è peggiorare il riscaldamento globale, in quanto questo tipo di emissioni contribuisce relativamente poco a produrre anidride carbonica. Ma è la salute umana a essere direttamente colpita, visto che il carbonio fornisce una misura anche per altri gas inquinanti rilasciati duranti gli incendi. Gas come gli ossidi di nitrogeno (NOx) o il particolato (PM2.5), tutti nocivi per l’uomo.
A essere chiaro è però che il cambiamento climatico aumenta la probabilità e l’intensità di simili eventi climatici estremi. In quel momento la regione del Mediterraneo era infatti percorsa da un’ondata di calore che faceva seccare molto più rapidamente la vegetazione. E in Spagna l’onda è stata la più forte, con una anomalia di 4,6°C, secondo l’organizzazione di scienziati World Weather Attribution.
«Quando fa caldo la vegetazione diventa più infiammabile e quindi diventa molto più importante la capacità del fuoco di percorrere ampi territori, con vegetazione che magari prima c'era, ma non era disponibile a bruciare, perché era un sottobosco umido», spiega a Domani Giorgio Vacchiano, professore associato in gestione e pianificazione forestale all’Università degli studi di Milano.
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