la fine del mondo come lo conosciamo

I limiti della nostra mente ci fanno sottovalutare l’apocalisse climatica

Illustrazione Pixabay
Illustrazione Pixabay
  • Sono anni che attivisti, psicologi, sociologi, scrittori e filosofi analizzano i “punti ciechi” della psicologia umana, gli stessi che non ci permettono di agire velocemente e con fermezza di fronte alla più grande minaccia che l’umanità abbia mai affrontato: la crisi climatica.
  • Il cambiamento climatico è un “oggetto” troppo grosso per essere compreso, manca di tutte quelle qualità che l’evoluzione ci ha insegnato a vedere in un lampo, quelle qualità che ha sedimentato nel nostro istinto animale e ci ha permesso di sopravvivere come specie.
  • Non è solo questione di tare cognitive, o di mancanza di pensiero logico. È che tutto ciò che vediamo viene filtrato dalle nostre identità culturali e politiche, dai nostri sistemi di credenze.

Quando qualche anno fa abbiamo scoperto l’acqua su Marte, mentre il mondo si esaltava all’idea di una possibile scoperta di vita fossile, il filosofo svedese Nick Bostrom si agitava nel suo ufficio di Oxford. Secondo lui, tracce di vita su Marte sarebbero state una pessima notizia per l’umanità: peggio ancora, tracce di vita complessa (qualche trilobite, qualche scheletro simile ad un mammifero) sarebbero diventati annunci di apocalisse. Bostrom si occupa professionalmente di “rischio esiste

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