Possibile che si debba aspettare così tanto prima che arrivi un autobus o passi una metro in Italia? In alcune città può capitare di dover attendere quasi un’ora prima che arrivi un mezzo pubblico, mentre larga parte delle linee di metro e treni regionali hanno frequenze che non sono nemmeno paragonabili con quelle di aree urbane spagnole o francesi della stessa dimensione.

Sono questi i problemi che si dovrebbero approfondire nel momento in cui si aprono, come in questi mesi, violente discussioni sui limiti alla circolazione delle auto più inquinanti e si attaccano le decisioni dei sindaci sulla base di considerazioni di tipo sociale.

Nel nostro Paese l’attenzione politica è sempre sulle infrastrutture - soprattutto autostrade e linee ferroviarie ad alta velocità -, e mai ci si interessa dell’offerta di trasporto pubblico che è invece l’unica cosa a cui guarda un cittadino quando si chiede se può contare su un’alternativa e smetterla di usare l’auto. Eppure, è da qui che passa la possibilità di tenere assieme la risposta ad alcune delle grandi questioni che il paese avrà di fronte nei prossimi mesi: aiutare famiglie sempre più in difficoltà, ridurre emissioni climalteranti e inquinamento, scongiurare gli effetti di una riforma federalista che rischia di spaccare ulteriormente il paese tra ricchi e poveri.

Storia di tagli

Le ragioni di questa situazione sono nei numeri. In Italia le risorse a disposizione per garantire il servizio su gomma e ferro sono inferiori del 18 per cento rispetto al 2009.

Per spiegare la situazione dei mezzi pubblici bisogna tornare alla legge finanziaria di Tremonti di quell’anno, con un drastico taglio “orizzontale” dei trasferimenti alle regioni. Con Graziano Delrio ed Enrico Giovannini al ministero dei Trasporti una parte delle risorse sono state nel frattempo recuperate e alcune regioni del centro-nord hanno introdotto risorse aggiuntive dal proprio bilancio per evitare di cancellare collegamenti.

Ma di progetti di rilancio e potenziamento del servizio non c’è ombra e per il futuro si naviga a vista. Nelle scorse settimane Trenord, l’azienda della regione Lombardia che gestisce i treni presi ogni giorno da 700mila persone, soprattutto pendolari, ha aumentato il costo degli abbonamenti per recuperare l’inflazione. c

In questi anni gli utenti sui convogli di Trenord sono cresciuti insieme al costo dei biglietti e alle lamentele per un servizio non all’altezza dell’aria più ricca del paese. Figuriamoci in quelle meno ricche, dove il servizio è stato persino tagliato partendo da una situazione peggiore. A Roma è in corso una durissima polemica sulla proposta di delimitare una “fascia verde”, ossia una grande area della città dove sarà vietata la circolazione delle auto più inquinanti, con l’obiettivo di rientrare nei limiti di inquinamento fissati dalle direttive europee.

Trovare consenso su iniziative che puntano a ridurre gli impatti sulla salute dell’inquinamento prodotto dalle auto, non è però facile quando il comune non dispone di risorse per mettere più autobus, tram e metro a servizio dei cittadini. E non esiste al momento alcuna possibilità che nei prossimi anni le risorse per il servizio possano aumentare nella capitale come in Piemonte dove la discussione in corso è sul blocco dei veicoli Euro 5 diesel.

Qualità e successo

Il paradosso è che le città italiane si trovano in una congiuntura unica da un punto di vista degli investimenti infrastrutturali. Grazie al Pnrr sono in corso interventi senza precedenti di costruzione di nuove linee su ferro nelle città e di sostituzione di larga parte del parco circolante di mezzi pubblici. Il problema è che nel 2026, quando queste opere saranno finite, con quali risorse si potranno garantire le frequenze del servizio possibili grazie alle nuove linee e ai mezzi a disposizione?

Il tema sembra un tabù, eppure ovunque la qualità dell’offerta migliora il successo è garantito, come già sappiamo da anni per l’alta velocità. Basta vedere l’aumento dei passeggeri sui tram di Firenze e Padova, sulla metro di Milano e per le tratte regionali dove sono stati fatti investimenti, come in Puglia e Toscana.

Qui si dimostra che è possibile innescare un meccanismo virtuoso: aumentano gli abbonati e chi paga il biglietto, le aziende trovano interesse a investire. Il problema è che in Italia queste esperienze di successo sono l’eccezione perché manca una politica per far crescere la quantità e qualità del servizio.

Distrazione di massa

Per sfuggire a questi problemi, Matteo Salvini parla d’altro. Rilancia l’eterno progetto del Ponte sullo Stretto di Messina, cavalca le polemiche contro le auto elettriche e i monopattini, interviene su qualsiasi tema tranne quelli di cui si dovrebbe interessare chi ha la responsabilità di guidare le politiche dei trasporti in Italia. Il problema è che a inseguirlo e criticarlo si fa il suo gioco, mentre occorre spostare il centro del dibattito sui temi che le persone capiscono.

Come per il salario minimo e come si potrebbe fare con una strategia politica intelligente che punti sul miglioramento del trasporto pubblico, che è il cuore di qualsiasi politica di cambiamento della mobilità molto di più e prima di qualsiasi ragionamento sulla sostituzione delle auto in circolazione con quelle elettriche.

Per riuscirci occorre tirare fuori i problemi che i pendolari vivono ogni giorno, approfondire il perché le alternative al muoversi in auto non funzionano, e attaccare la demagogia del ministro che se la prende con i limiti all’inquinamento fissati da Bruxelles ma è incapace di dare risposte. In più, per essere credibili, occorre costruire una proposta per migliorare il servizio.

Le necessità

Questo settore ha bisogno di una riforma profonda e ha ragione chi dice che ci sono ampi margini di risparmio da parte di aziende molto spesso inefficienti, che ci vorrebbero gare per gli affidamenti per garantire trasparenza, che le tariffe sono ben più basse che negli altri paesi (come del resto la qualità del servizio). Inoltre, come negli altri paesi europei, il ministero dei trasporti dovrebbe svolgere un ruolo di indirizzo e controllo che purtroppo oggi manca completamente, visto che si tratta di risorse statali, con un rapporto diretto con i grandi comuni e saltando la nefasta mediazione delle regioni per la distribuzione delle risorse.

Nella scorsa legislatura una commissione presieduta dal professor Bernardo Mattarella ha realizzato una analisi aggiornata della situazione e indicato delle proposte. Si dovrebbe ripartire da lì e indicare già nella prossima legge di Bilancio le soluzioni per avviare il potenziamento del servizio con risorse da recuperare nel mare magnum di quanto proviene o potrebbe arrivare dalle concessioni autostradali e dalle accise. E, in parallelo, aprire il dibattito su come il nostro paese intende investire le risorse che arriveranno dal Fondo Sociale per il Clima che l’Ue ha introdotto proprio per affrontare le sfide della transizione climatica e finanziare, a partire dal 2026, interventi in campo energetico e dei trasporti che possano aiutare le famiglie.

Ad esempio, proprio quelli per il passaggio dalla mobilità privata a quella pubblica. Non è vero che questi temi non interessano ai cittadini e davvero non esistono scuse legate ai vincoli di bilancio per trovare soluzioni per problemi così importanti. In questa fase politica gli spazi per dimostrare la pochezza di idee chi è al governo ci sono e bisogna solo andarseli a prendere.

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