Beatrice Costantino, Alina Matei e Serena Passaretti sono tre attiviste di Ultima Generazione. Dal 20 settembre stanno facendo uno sciopero della fame per protestare contro la mancata presa di una posizione netta del governo italiano sulla situazione in Palestina, e per l’invio di supporto agli attivisti italiani a bordo della Global Sumud Flotilla. Beatrice ha 32 anni ed è una delle co-fondatrici di Ultima Generazione. Alina ne ha 36, studia Scienze dell’educazione e della formazione ed è mamma di tre figli di 18, 14 e 12 anni. Serena, invece, ha 39 anni ed è un’educatrice professionale in ambito sanitario.

Da dieci giorni state facendo uno sciopero della fame per la Palestina. Come state?

AM: C’è stanchezza, non riesco a fare tutto quello che facevo prima, però tutto sommato sto bene. Si incomincia a sentire un po’ lo stress, la frustrazione, il fatto che ancora non arriva una risposta istituzionale. E poi ci mancano le nostre vite.

SP: Quello che mi sta più mettendo sotto pressione è la routine molto serrata: dall’esterno forse non si percepisce, però il fatto di essere in azione e intanto gestire i propri stati emotivi legati al doversi organizzare per i giorni successivi è molto difficile. Tuttavia il fatto di poter condividere tutto in un gruppo e sapere che non sono la sola a sentirmi in un certo modo mi aiuta tantissimo.

Ci sono altre persone che stanno facendo lo sciopero della fame oltre a voi?

BC: C’è Claudio, un signore di Torino, che sta facendo lo stesso da là, perché per motivi lavorativi non poteva spostarsi. Con lui ci sentiamo e confrontiamo.

SP: Aggiungo che stiamo ricevendo molta cura dalla nostra rete, c’è qualcuno che si occupa di prepararci la tisana o il brodino vegetale senza nient’altro che beviamo come alternativa alla cena la sera. Usiamo il piatto, il cucchiaio. Fa molto differenza mantenere questa routine.

Quali sono le vostre richieste al governo?

AM: Le nostre richieste sono due, molto dirette e molto semplici. Il riconoscimento del genocidio, e cioè che si isoli Israele e si attivi l’interruzione dei rapporti commerciali, e che venga garantita la protezione alla Global Sumud Flotilla, cioè che venga presa una posizione decisa da parte del nostro governo, come hanno fatto gli altri stati che hanno fatto una nota congiunta in cui hanno messo in guardia Benjamin Netanyahu dall’aggredire la Flotilla.

Vi siete dati un termine?

AM: Siamo disposti ad andare avanti ad oltranza.

Per adesso che reazioni avete ottenuto?

SP: Come per tutte le azioni ci sono persone che criticano la scelta e la ritengono inutile. Ma non è così perché, allo stesso tempo, stiamo sentendo molta vicinanza da tante persone che si sono già rese disponibili a prendere parte con noi allo sciopero. Poi questa azione si svolge sul lungo termine, di conseguenza forse qualcuno è curioso di vedere fino a che punto possiamo spingerci. Crediamo che col passare dei giorni l’attenzione su di noi aumenterà.

Perché fare proprio uno sciopero della fame?

BC: In Ultima Generazione sono già stati fatti diversi scioperi della fame. Ci sono stati momenti in cui abbiamo ottenuto qualcosa e in altri in cui non abbiamo ottenuto nulla. 

AM: Quando ho saputo che Beatrice aveva intenzione di adottare questo tipo di protesta mi si è attivato qualcosa dentro, e il motivo per il quale ho deciso di aderire è proprio perché non riuscivo più a stare a guardare, perché avevo proprio bisogno di mettermi a disposizione. Noi mettiamo il nostro corpo a disposizione della causa. E aggiungo anche una riflessione che abbiamo condiviso spesso tra di noi: privarsi del cibo e avere comunque la consapevolezza che è una situazione temporanea e che volendo possiamo interrompere il digiuno quando vogliamo ci aiuta a renderci conto di quanto anche in questo siamo privilegiate, perché sappiamo che quando finirà avremo a disposizione tutto il cibo di cui avremo bisogno, tutta l’acqua di cui avremo bisogno. Anche adesso abbiamo acqua potabile, tisane, integratori alimentari, mentre la popolazione a Gaza no. Questo può solo che spingerci veramente, spingere i nostri limiti sempre un po’ più in là perché è il momento di agire.

SP: Con questa scelta ci sentiamo anche più vicine alla popolazione palestinese che adesso viene affamata. Io vedo però anche lo sciopero come uno strumento per avvicinare le persone a un’esperienza che possono condividere, perché seppur pochissime persone hanno sperimentato la fame per più di un giorno, tutti sanno cosa vuol dire avere fame semplicemente avendo saltato il pranzo. L’impatto emotivo che si genera da questo e la vicinanza e l’empatia è funzionale all’obiettivo di coinvolgere le persone e spingerle anche ad unirsi, ad essere solidali alla causa.

Qual è la vostra idea di nonviolenza? Fare uno sciopero della fame non è una violenza su voi stesse?

SP: Per me la differenza fondamentale sta proprio qui. Violenza è, credo, limitare la libertà dell’altro. In questo caso io sto scegliendo di farlo, di conseguenza non la percepisco come una violenza ma come una libertà.

AM: La mia idea di nonviolenza è non impedire la libertà altrui, la nonviolenza è anche non causare dolore a persone o animali. Purtroppo non siamo cresciute in un mondo nonviolento, quindi la nonviolenza non viene automatica, non ci viene inculcata da piccole e questo fa sì che la nonviolenza sia tutto un lavoro da fare. Credo che sia anche un lavoro da portare avanti per tutto il resto della vita, non credo che si possa arrivare ad un certo punto e dire «sono a posto, sono nonviolenta».

BC: A me piace che Gandhi chiamasse quello che faceva «esperimenti». Ricordo di un libro che aveva scritto che dice «Vi racconti i miei esperimenti di nonviolenza». Ogni volta è un tastare il terreno. È questione di sapere di essere dalla parte giusta della storia, e di avere degli strumenti da provare.

Alina, come ha spiegato ai suoi figli questa scelta?

AM: Da mamma mi trovo sempre a stare di fronte a un bivio. Che fare? Questa cosa la lascio andare e rimango qui vicino a loro, a dar loro la mia presenza, oppure mi butto su quest’altra strada e cerco di combattere consapevole del fatto che loro hanno bisogno di queste battaglie? Perché comunque, in qualche modo, un mondo glielo dobbiamo lasciare a questi ragazzi. Ma non solo ai figli miei, a tutti i ragazzi. Ieri, per esempio, stavo in piazza, è passata una scolaresca e mi sono commossa.

Non è facile trovare un equilibrio, anche quello è un lavoro da fare tutti i giorni e comunque non sarà mai un lavoro ben fatto perché ci sarà sempre il rimorso. I miei figli sono abbastanza grandi da capire che cosa significa uno sciopero della fame, che cosa significa trovarsi in piazza, che cosa significa andare contro le indicazioni della polizia. E quindi è chiaro che loro sono preoccupati, che mi senta male, che muoia, che venga arrestata.

Le preoccupazioni ci sono, io sono molto aperta con loro. Credo che questo aiuti molto, perché se ne parla tanto, se ne parla spesso, anche prima di aderire allo sciopero della fame ne ho parlato prima con loro, perché non voglio che sia una cosa che devono accettare passivamente. Perché siamo una famiglia. Ed è chiaro che quello che riguarda uno riguarda in qualche modo tutti e tutte. E devo dire che loro sì, sono preoccupati, però sono anche consapevoli del fatto che ci sono battaglie da combattere e io sto lì, a combattere.

Voi negli ultimi giorni siete state portate via con la forza dalla piazza davanti a Montecitorio. Perché?

SP: Adesso in qualche modo c’è un’aspettativa della nostra presenza come attiviste e di conseguenza sono già tutti pronti lì a evitare assolutamente che noi ci avviciniamo come minaccia al popolo a portare una voce laddove la voce non deve arrivare. Deve essere chiaro il messaggio che chi si permette di dire la propria opinione verrà represso in maniera forte.

Ci hanno portato via in modo violento, e io ho i segni sul mio corpo di questa repressione. Ho dei lividi sul braccio, cioè segni evidenti di quando mi hanno trasportata per le braccia o le spalle. Questa è la repressione insensata dettata da un regime che sta prendendo tendenze sempre più repressive, ed è quello che Alina vorrebbe evitare di lasciare ai suoi figli probabilmente.

AM: Vogliamo fare un appello alle persone a portarci vicinanza, a portarci supporto, tanto noi siamo quasi ogni giorno davanti a Montecitorio. Vorremmo che le persone venissero anche semplicemente a stare lì con noi, a portare i loro corpi a sostegno della causa e a non farci sentire sole.

E poi, per sostenere quello che stiamo facendo da casa e in modalità abbordabile, abbiamo organizzato un boicottaggio dei supermercati a cui partecipare tutti i sabati di ottobre. Già più di 56mila persone hanno firmato. Sarebbe bello partecipassero più persone possibile.

© Riproduzione riservata