In Italia il negazionismo sui cambiamenti climatici è quello entrato in scena davanti agli studenti del liceo Rosmini di Grosseto il 1 giugno: personaggi fuori dall’accademia o ai suoi margini, inverificabili teorie sull’influsso della luna sul clima, previsioni di una prossima era glaciale. È il rumore bianco di ogni stagione di shock e cambiamenti, quello ben sperimentato durante la pandemia o la campagna vaccinale.

Dagli Stati Uniti invece arrivano segnali di un’evoluzione del negazionismo molto più articolata, adulta e preoccupante, che potremmo definire come realismo fossile estremo. Il suo portabandiera è un personaggio ormai noto. Si chiama Alex Epstein, è un turboliberista ultra libertario che già nel 2014 aveva pubblicato un saggio intitolato The Moral Case for Fossil Fuels («Dalla parte dei combustibili fossili per ragioni morali»).

Da pochi giorni è uscito il suo nuovo libro, un’esplorazione ancora più profonda in quella direzione, si intitola Fossil Future, è stato pubblicato da una delle più importanti case editrici al mondo (Penguin Random House) e il sottotitolo spiega in modo se non altro chiaro come è fatto il futuro fossile che Epstein ha in mente: «Perché lo sviluppo umano globale richiede più petrolio, più carbone e più gas naturale, e non di meno». Non c’è dubbio che quel saggio finirà sulle scrivanie di parecchi Ceo nel mondo della vecchia energia.

Per Epstein lo sviluppo fossile è un imperativo morale e chiunque si opponga o provi a ridurre le emissioni di gas serra è «uno stupido, un genocida, un razzista, è anti umano e anti scienza, è uno che preferirebbe far scivolare miliardi di persone nella povertà o farle morire, e solo per il bene della natura».

Ora, questa è una retorica interessante, molto diffusa, affiora in circoli molto più legittimi dei libri di Epstein, è la voce che dice: siete euro-centrici, razzisti, non pensate all’Africa e ai suoi bisogni energetici (il continente col 3 per cento delle emissioni e il peggio dei danni della crisi climatica, dove una siccità devastante rischia di uccidere oggi 350mila bambini in Somalia).

È interessante la parabola umana che c’è dietro la presunta retorica anti-razzista del nuovo campione del realismo fossile. Ne ha scritto il Washington Post, che ha tirato fuori articoli di quando Epstein frequentava la Duke University e scriveva per una testata del college della quale era direttore ed editore. Per Epstein le culture non occidentali sono semplicemente inferiori a quelle occidentali. Potrebbe anche essere un caso di cancel culture a scoppio ritardato, il gioco delle vendette incrociate nell’accademia americana praticato tirando fuori frasi vecchie di decenni, ma Epstein, più di vent’anni dopo, non ha nessuna intenzione di ritrattare il suo razzismo culturale: «Continuo a pensare che la cultura occidentale sia superiore», ha detto in un video pubblicato su YouTube in risposta all’articolo sul Washington Post.

Epstein e le sue tesi sono molto ascoltate dalla politica americana, il Partito repubblicano lo ha invitato a testimoniare per tre volte al Congresso, le sue idee sono sempre più citate dai politici nei dibattiti pubblici. A giugno parlerà a una conferenza organizzata da Chevron. Il suo attivismo comunicativo e la sua aggressività intellettuale ne hanno fatto un anello di congiunzione tra industria, politica e pubblico negli Stati Uniti, in un momento estremamente delicato, tra guerra, inflazione ed elezioni di mid-term in arrivo.

Come ogni negazionista climatico a ogni latitudine, Epstein non vuole essere definito negazionista climatico. La sua critica però parte proprio dal «sistema della conoscenza» - giornali, scienziati, Nazioni Unite - e nel corso dei prossimi anni questo tipo di ragionamenti diventerà sempre più diffuso. Michael E. Mann ha descritto il ciclo attuale di chi si oppone all’azione per il clima parlando della metamorfosi da negazionismo a inattivismo, la posizione di chi riconosce la scienza dei cambiamenti climatici ma non l’urgenza della transizione.

Il libro e l’attenzione ricevuta da Epstein dimostrano però che l’inattivismo sta compiendo tutto il suo giro e sta tornando a essere negazionismo in senso stretto, incartato intorno all’accusa per la scienza del clima di essere ideologia o addirittura religione, con l’idea che ci sia un grande complotto dietro, e con la proposta finale non di rallentare la riduzione delle emissioni ma di fermarla del tutto.

© Riproduzione riservata