I corsi d’acqua si prosciugano e la siccità si aggrava velocemente, mentre la risposta delle istituzioni, a più livelli, procede compassata. Con una corsa a cercare di condividere almeno le responsabilità, se non a scaricarla. E la dichiarazione dello stato di emergenza, che il governo dovrebbe introdurre con un suo provvedimento, potrebbe slittare di altri giorni.

Il capo del dipartimento della Protezione civile, Fabrizio Curcio, è stato chiaro sul quadro complessivo: «Quest’anno abbiamo dovuto sopportare il 40-50 per cento di acqua in meno e la siccità è un problema diffuso in tutta Italia», con il  fiume Po che ha una portata «sino all’80 per cento in meno». Occorre fare qualcosa per fronteggiare una situazione grave. Per questo non ha escluso misure drastiche: «Non è sicuramente escluso il fatto che il razionamento dell’acqua porti a una chiusura temporanea anche nelle ore diurne».

Si devono attendere segnali dalle previsioni meteo, perché qualsiasi azione politica al momento può al massimo tentare di mitigare la forte siccità. Ma se non c’è pioggia, gli interventi sull’impiego dell’acqua diventeranno sempre più restrittivi. E in questo caso il ruolo della dichiarazione di stato di emergenza non può compiere miracoli: «È un atto del governo formale, non è che di per sé risolva il problema soprattutto in un’emergenza così particolare come la mancanza di acqua», ha detto Curcio.

Le scelte del governo

Il numero uno del dipartimento ha parlato di «due settimane» per la predisposizione, prendendo un po’ più di tempo, ma altre fonti indicano un’azione più veloce: già in settimana dovrebbe essere pubblicato il decreto del presidente del Consiglio (Dpcm). Il testo dovrà indicare i requisiti per limitare il campo di attuazione dello stato di emergenza.

Il senso che viene trasmesso da palazzo Chigi è quella di un’iniziativa più mediatica che realistica. Ma qualcosa si può comunque fare. In questa direzione, dall’esecutivo c’è l’interesse affinché le regioni interessate si muovano in maniera univoca, cedendo una parte delle loro competenze sull’acqua. Se, per fare un esempio, l’Emilia Romagna fa i conti con un contesto particolarmente complicato, i territori più prossimi, anche i confini regionali, possono dare un sostegno. Sempre conservando la logica di non prevedere misure uniche su tutto il territorio nazionale.

Misure impopolari

La siccità, comunque, è più veloce di tante valutazioni, così i sindaci devono prenderne atto e caricarsi sulle spalle misure impopolari, senza attendere il governo centrale. Lo dimostra la decisione del sindaco di Milano, Beppe Sala, di chiudere le fontane per arginare gli sprechi.

Il comune di Fano ha emesso un’ordinanza che vieta la possibilità di innaffiare le piante o di usare l’acqua per lavare veicoli privati. Nella sola provincia di Torino, già 80 comuni hanno provveduto, in vari modi, a limitare l’uso dell’acqua.

Uno degli ultimi è stato quello di Chieri, che ha vietato il riempimento di piscine anche se munite di impianto per il riciclo dell’acqua. In tante altre località si sta valutando la riduzione della pressione idrica. Al momento sono casi singoli, ma si moltiplicano giorno dopo giorno e soprattutto raccontano come ognuno debba far fronte all’emergenza. Il messaggio che la Protezione civile ha lanciato ai vari enti è perentorio: il problema è strutturale, serve una politica di lungo raggio.
Nel governo, comunque, non viene presa in considerazione l’ipotesi di un “decreto siccità”, perché sarebbe una sorta di scatola vuota. Per le misure di contrasto è sufficiente, si fa per dire, il Dpcm, mentre per garantire gli indennizzi al settore agricolo sono a disposizione altri strumenti. Ma serviranno in ogni caso nuove risorse.

Con la dichiarazione di eccezionalità di eventi avversi si può attivare infatti il fondo di solidarietà nazionale per rimborsare chi sta vedendo i raccolti bruciati dalla terra arida. Il ministro delle Politiche agricole, Stefano Patuanelli, ha fatto sapere che il fondo deve essere rimpinguato: attualmente sono a disposizione 13 milioni di euro.

Una dotazione insufficiente per garantire la copertura delle perdite delle migliaia di aziende. La Coldiretti ha di recente stimato danni per tre miliardi di euro. Prima di compiere i passi possibili, insomma, il ministero deve attendere le mosse di regioni e Protezione civile.

Paura per le alluvioni 

Come se non bastasse all’orizzonte si scorgono i nuvoloni neri del dissesto idrogeologico. Se da un lato la pioggia è attesa come il modo per superare la fase più acuta dell’emergenza, Curcio ha messo in guardia: «Avremo dei momenti in cui l’acqua arriverà tutta insieme. Prepariamoci». Un monito su possibili alluvioni. Così l’attenzione si sposta alla prevenzione e sui territori più esposti.

Secondo le ultime mappe dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), oltre cinque milioni e mezzo di italiani sono a rischio di frane e alluvione, vista la conformazione territoriale.

Nel dettaglio, riferisce l’Ispra, «I comuni interessati da aree a pericolosità da frana P3 e P4 (i livelli più alti, ndr) e/o idraulica P2 sono 7.275 pari al 91,1 per cento dei comuni italiani». Un problema che in vaste aree del paese diventa totale.

«Se prendiamo in considerazione – si legge nel dossier dell’Istituto – il numero di comuni, nove Regioni (Valle D’Aosta, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Molise, Basilicata e Calabria) hanno il cento per cento di comuni interessati da aree a pericolosità da frana P3 e P4 e/o idraulica P2; a queste si aggiungono la provincia di Trento, l’Abruzzo, il Lazio, il Piemonte, la Campania e la Sicilia con percentuali maggiori del 90 per cento».

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