Qualche notte fa ero alla stazione di Bologna, un cambio di un treno notturno tra Milano e Roma. A Milano dopo le otto e dieci di sera non esistono treni che portino a Roma se non notturni, con arrivo la mattina successiva, da Roma a Milano è la stessa cosa: abbiamo centinaia di treni ogni giorno, Frecciarossa, Italo, ma non contempliamo i trasporti di notte. Le stazioni di notte non sono nemmeno dei non-luoghi: sono niente, grandi magazzini di nulla, grandi stanze, avulse dalla città, spente, inaccessibili, vuote. Piene di cose, senza gli umani.

La stazione di Bologna, in particolare, è l’esempio più vistoso e paradigmatico del disastro sociale determinato e simboleggiato dalla privatizzazione delle ferrovie negli ultimi trent’anni. Non abbiamo un Ken Loach in Italia che lo racconti, e persino incidenti spaventosi come quello a Viareggio nel 2009 o quello recente di Brandizzo non appaiono mai come sintomi di altro, né destano l’attenzione sulle questioni di sistema.

Le pagine di Tondelli

Alla stazione di Bologna ci avrò passato molte notti da ragazzino, tra un treno e l’altro aspettato all’andata o al ritorno da un concerto o per andare a incontrare un amico o una ragazza conosciuta al mare. Per me diciassettenne i portici della piazza antistante avevano l’allure mitica di Posto ristoro di Pier Vittorio Tondelli, Boccalone di Enrico Palandri, Lunario del paradiso di Gianni Celati, o l’aura politica sacrale dell’orologio con le lancette fisse: un monumento alla sopravvivenza allo stragismo fascista.

C’ho dormito molte volte nella sala d’attesa, che era aperta tutta la notte, attaccando bottone con altri ragazzi, con chiunque, mi ricordo ancora che a distanza di mesi potevi reincontrarci alcune presenze fisse, abitanti in un modo o l’altro delle stazioni, che campavano letteralmente della socialità informale di chi gravitava lì, anche per un’ora.

I crackers

Oggi chiaramente quest’idea di stazione come luogo di incontro non è nemmeno contemplata, ci sono le lounge esclusive per i clienti premium, altrimenti i bar con i panini a sette euro, persino i bagni sono a pagamento. Non ci sono nemmeno le panchine, quasi decimate, e quelle poche rimaste hanno i divisori sulla seduta in modo che non ci si possa sdraiare. Nulla è aperto, nulla è illuminato, a parte i distributori automatici, con le confezioni mignon di parmigiano con i crackers.

Per quei pochissimi che si ritrovano alla stazione di Bologna di notte, ad aspettare un treno, uno scambio tra intercity, i pendolari, i poveri cristi, quasi tutti neri, l’unico luogo dove stare per evitare il freddo, o la pioggia è uno dei due bar davanti alla stazione, che svolgono di fatto un servizio pubblico minimo. Si occupano persino del diritto al sonno.

Al primo piano del bar puoi dormire, solo alla condizione di appoggiare la testa sul tavolino e prenderti almeno un caffè.

I proprietari, chi ci lavora, sono abbastanza gentili. Animali notturni, tengono i prezzi un po’ alti ma in questo caso a ragione: forniscono un servizio importante. Nei bar non ci sono prese per ricaricare il telefonino, glielo chiede chiunque, ma c'è un bagno.

I pendolari

Il giorno che sono rimasto a dormire di notte eravamo una trentina di persone fisse. Tra una cosa e l’altra, la notte ci passeranno duecento, trecento persone. Chi deve andare a lavorare, magari da pendolare, dalla Campania a Milano, non prende quindi i treni, ma i pullman.

Non distante dalla stazione ferroviaria c’è l'autostazione, che è un posto dove puoi dormire per terra, e dove c'è una microsala d’attesa. Un pullman Bologna-Roma costa 50 euro, dormi seduto tra la gente. I proprietari della linea Itabus sono la famiglia Aponte, italiani tra i 500 più ricchi del mondo. Hanno monopolizzato di fatto anche loro un servizio pubblico. L’altro giorno nella saletta sopra del bar eravamo solo due bianchi e tutti gli altri neri.

L’altro bianco era un uomo che aveva cinque giorni di ferie e aveva pensato che con pochi soldi poteva camminare lungo il Sentiero degli dei, Bologna Firenze, dormendo in ostelli, eccetera.

La Davis

Ma arrivato a Bologna, non aveva trovato nulla per dormire, alberghi e ostelli gli avevano sparato cifre improponibili. La ragione è che la città era colonizzata dalla coppa Davis e gli albergatori avevano deciso di alzare i prezzi arrivando a cifre fuori controllo. Non si trovava ieri una camera con un prezzo umano entro 50 chilometri fuori Bologna. Il tizio si era arreso, stava tornando al suo paese vicino Milano, con un treno all’alba, facendosi tre ore di sonno con la faccia sul tavolino.

Cosa ha fatto diventare il mondo così? Quanta esperienza, sonno, pace, libertà, ci vengono divorate ogni giorno da questo realismo capitalista famelico e pervasivo? Che cos’è il neoliberismo se non questo? Un paesaggio senza figure: l’espulsione, totale, delle persone dallo spazio pubblico che dovrebbe essere almeno abitabile, attraversabile.

Cosa dice il sindaco

Ho scritto queste cose sui social e sono state riprese da molti, molti che hanno ben presente come la trasformazione delle stazioni delle grandi città sia stata un’involuzione rapidissima e infestante. Quello che avviene a Bologna, avviene a Firenze, a Roma, a Milano. Il sindaco di Bologna Matteo Lepore ha alzato le mani: «La Stazione non è all’altezza», ha scritto. «Da anni ci battiamo affinché sia completata. Come sindaco ho dedicato i fondi Pnrr che mi hanno dato per sistemare le aree attorno (entro il 2026) e in cambio sto chiedendo che Ferrovie e Rfi completino la stazione come da accordi siglati con la nostra città ormai troppi anni fa». Poi ricorda che si dà da fare per gli immigrati, come se fossero una categoria di cittadini a sé.

Roma

È emblematico quello che dichiara Lepore, anche per un’altra ragione. Il suo potere amministrativo, lo ammette, è debolissimo di fronte a quello di Grandi Stazioni. I cda delle società private a maggioranza di capitale pubblico rispondono a logiche diverse. Anche nella Roma che aspetta il Giubileo e forse l’Expo, le stazioni Termini e Tiburtina sono il simbolo del futuro urbano: grandi e brutti centri commerciali, con progetti urbanistici clonati da rendering di architettura ostile, a misura di un turismo di massa, privi di servizi gratuiti, dichiaratamente contro la città intorno.

È significativa la costruzione di un parcheggio multipiano a pagamento realizzato da Grandi Stazioni accanto alla stazione Termini: è stato costruito proprio nella zona dove si riparavano i poveri, i senza dimora, il primo approdo di profughi che spesso arrivano a Roma.

I poveri sono stati espulsi dalla vista dei turisti, dormono all’aperto a duecento, trecento metri, tra Castro Pretorio e San Lorenzo, ma senza una copertura; le macchine invece hanno uno spazio dove poter sostare anche per lunghi periodi, in parcheggi coperti. Anche se in moltissimi casi, ed è questo forse il segno tangibile della disumanità, persino gli stalli restano vuoti.

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