Il tasso di affollamento nazionale è al 134,3 per cento, ma in 62 istituti supera il 150 per cento e in otto strutture il 190 per cento. La ricerca raccoglie i risultati di 86 visite in 12 mesi. Negli istituti per minorenni dall’insediamento dell’esecutivo le presenze sono aumentate del 50 per cento, complice il decreto Caivano: «Negli Ipm ragazzi in stato di abbandono» e «condizioni di vita degradate»
Venite a vedere le condizioni in cui viviamo. È la richiesta di una persona a colloquio con lo sportello di Antigone, che racconta di una quotidianità «insostenibile» in carcere, in «celle da sei con uno o due ventilatori», dove «non si respira». Le testimonianze raccolte dall’associazione restituiscono un sistema penitenziario arrivato al collasso, «fuori controllo», in cui «aumentano le persone detenute, peggiorano le condizioni di vita, si moltiplicano le proteste, i suicidi e le segnalazioni di trattamenti inumani».
Il rapporto di metà anno dell’associazione Antigone “L’emergenza è adesso”, risultato di 86 visite negli istituti penitenziari negli ultimi 12 mesi, dipinge il quadro di un’emergenza ignorata, che – spiega il presidente Patrizio Gonnella – «non si affronta con nuove carceri, ma con coraggio politico, depenalizzazione, misure alternative credibili e rispetto per la dignità umana».
Un rispetto che, secondo un’altra testimonianza, non esiste: «Mi rivolgo a voi con il cuore in mano di una madre e di una intera famiglia distrutta dal dolore. Mio figlio è in carcere da circa 3 settimane ed è affetto da disturbi psichici conseguenti all’uso di sostanze stupefacenti. Non può uscire in cortile, se non 2 ore alla settimana e la sua situazione di salute sta peggiorando. Ha solo 22 anni».
Gli Ipm
È con il governo Meloni che gli istituti penitenziari minorili hanno raggiunto il sovraffollamento, almeno 8 su 17 istituti. Soprattutto, scrive Antigone, a causa del decreto Caivano, entrato in vigore nel settembre 2023: da un lato ha aumentato le possibilità di custodia cautelare per i minorenni, dall’altro ha ristretto l’accesso alle alternative al carcere. I numeri sarebbero stati ancora più alti se alcuni minori, diventati nel frattempo maggiorenni, non fossero stati trasferiti nelle carceri per adulti, «interrompendo il percorso educativo» e impedendo loro di scontare la pena negli Ipm fino ai 25 anni, come prevede la legge.
Al 15 giugno 2025, i giovani detenuti erano 586, di cui 23 ragazze, reclusi in 17 istituti e una sezione. Quest’ultima è stata aperta a Bologna nel carcere per adulti: una decisione «estremamente preoccupante», denuncia l’associazione, perché va «a rompere in maniera mai accaduta prima il principio della distinzione tra la risposta penale rivolta agli adulti e quella rivolta ai ragazzi».
L’aumento delle presenze è del 50 per cento rispetto a ottobre 2022, quando si è insediato l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni. Allora le carceri minorili ospitavano 392 persone. Oggi invece Antigone racconta di materassi a terra, celle chiuse, assenza di attività persino quelle scolastiche, spesso senza la garanzia delle ore d’aria e un elevato uso di psicofarmaci. Tre detenuti su cinque sono minorenni. Il 63,5 per cento sono giovani senza una sentenza definitiva e, quindi, presunti innocenti.
Il sistema della giustizia minorile è in crisi e per questo Antigone, insieme a Libera e Defence for Children Italia, ha lanciato un appello per denunciare «lo stato di abbandono che colpisce i ragazzi in Ipm» e «le condizioni di vita degradate».
Senza strategie
Una cosa è certa per l’associazione. Il governo «è sostanzialmente privo di strategie efficaci per affrontare i problemi delle carceri italiane», a partire dai provvedimenti più recenti. Le carceri stanno scoppiando: il tasso di affollamento nazionale è al 134,3 per cento, ma in 62 istituti supera il 150 per cento. Soprattutto, supera il 190 per cento in ben otto strutture: tra questi, Milano San Vittore femminile, 236 per cento, Foggia, al 214, Milano San Vittore maschile (213), Lodi (205). Gli istituti non sovraffollati sono ormai solo 31.
Di fronte a questi numeri, la soluzione per l’associazione «non può essere la costruzione di nuove carceri, ma deve piuttosto passare per un uso differente dello strumento detentivo». Recludere deve essere, lo dicono anche gli organismi internazionali, uno strumento di extrema ratio. E, per Antigone, nessuno dei provvedimenti adottati è in grado di far fronte alla situazione.
Quello che per il ministro della Giustizia Carlo Nordio era «un passo molto importante» che ci avrebbe portato «molto avanti nel reinserimento sociale» e avrebbe costituito «un rimedio al sovraffollamento carcerario», così non è stato. Se il decreto del 4 luglio 2024 prevedeva l’istituzione di un elenco delle strutture residenziali idonee all’accoglienza e al reinserimento sociale, questa lista non è ancora stata adottata. L’idea di mandare i detenuti stranieri a scontare la pena nel loro paese d’origine – non originale, perché proposta da molti in passato – violerebbe «in maniera inaccettabile i loro diritti fondamentali».
E, poi, i 7mila posti in più annunciati da Nordio: «Un programma imponente», che sarà «realizzato speditamente». Invece, al 30 giugno 2024 i posti ufficiali erano 51.234, un anno dopo sono 51.276: 42 in più, a fronte di 394 posti effettivi in meno. In sei mesi il governo dovrebbe realizzare i restanti 6.958 posti. Il piano edilizia illustrato dal commissario del governo è «sbagliato e irrealistico», segnala Antigone.
Infine, lo scorso 22 luglio il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge con cui propone di introdurre la detenzione domiciliare in comunità terapeutica per detenuti tossicodipendenti o alcoldipendenti con un residuo di pena fino a otto anni. Ma, fa notare il rapporto, esiste già la misura dell’affidamento in prova (alternativa alla detenzione) per questi detenuti con un residuo pena fino a sei anni, «tuttavia, le carceri sono piene di detenuti tossicodipendenti con residui pena ben più bassi». La misura varata dal governo non riuscirà quindi a migliorare la situazione, anzi, avrà sacrificato una misura più aperta. Dunque, l’unica strada è «la depenalizzazione del consumo di droga».
Interventi repressivi
Il sovraffollamento è conseguenza diretta delle misure repressive e securitarie con cui il governo Meloni ha risposto agli eventi di cronaca, colpendo le fasce più vulnerabili della popolazione. Dal decreto Rave, a Cutro, al ddl sulla maternità surrogata e il decreto Caivano, o ancora il decreto Sicurezza con cui sono stati introdotti 14 nuovi reati e inasprite alcune aggravanti.
Al contempo, «nonostante la crescita delle misure alternative e di comunità», si legge, «la loro applicazione risulta ancora fortemente sottodimensionata rispetto al potenziale». Al 15 giugno le persone in carico all’Ufficio per l’esecuzione penale esterna erano 100.639, 10mila in più rispetto al 2024.
Condizioni di vita degradanti
«Il caldo era asfissiante», mentre «negli uffici ci sono i pinguini». Un’altra testimonianza raccolta da Antigone mostra condizioni allarmanti: «La puzza di spazzatura è tremenda anche perché, in attesa che la ritirino, la lasciano nei corridoi», in una sezione «l’acqua corrente è disponibile solo in alcune ore del giorno» e «un detenuto, nella disperazione più totale, ha dovuto tagliare i fili della tv per attaccarli al ventilatore». Nell’oltre 35 per cento degli istituti visitati c’erano celle in cui non vengono assicurati i 3 metri quadri a testa di spazio calpestabile.
La mancanza dello spazio vitale in cella ha portato l’Italia a essere condannata più volte per trattamento inumano e degradante, dai suoi stessi tribunali. A rendere la situazione ancora più insostenibile e «incandescente», come ogni anno, è l’arrivo dell’estate, «un periodo particolarmente complesso per le persone detenute», spiega Antigone: molte attività vengono sospese e la solitudine viene percepita in maniera ancora più forte; e le temperature all’interno delle strutture sono spesso estreme. Come a San Vittore dove nei piani più alti sono stati raggiunti 37 gradi. E, «a fronte del caldo torrido la custodia chiusa appare un accanimento intollerabile».
Ciò ha portato a undici suicidi nei soli mesi di giugno e luglio. In tutto, il dossier di Ristretti orizzonti ne ha contati 45 dall’inizio dell’anno. Quasi il 70 per cento è avvenuto in sezioni a custodia chiusa, almeno quattro in celle di isolamento. Ogni cento detenuti ci sono 3,2 tentativi di suicidio.
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