Per Valente (Pd) il testo «ha valenza culturale e simbolica, non solo penale». Il rapporto della rete DiRe: oltre quattro su cinque utenti sono vittime di violenza psicologica, più di una su due di violenza fisica. E i Cav vivono principalmente di volontariato
Quello che si è compiuto oggi, mercoledì 23 luglio, in Senato è «un pezzo di storia delle donne». A definire così l’approvazione all’unanimità del disegno di legge sul reato di femminicidio è la senatrice del Partito democratico Valeria Valente, ex presidente della Commissione sui femminicidi e attuale membro della bicamerale sul tema. Il ddl ora passa alla Camera. Si tratta di «un’operazione di svelamento», dice Valente a Domani, dato che «il corpo delle donne è invisibile per il codice penale, che parla di “cittadino” anche quando affronta le mutilazioni genitali femminili».
L’introduzione di una fattispecie autonoma, che riconosca la matrice di genere, interviene così sulla neutralità del codice che, secondo la senatrice, a oggi legittima un sistema sociale declinato al maschile, che discrimina le donne. Il ddl, varato dal governo in occasione dell’8 marzo, prevede anche aggravanti e aumenti di pena per diversi reati sentinella, oltre a includere un aumento degli obblighi formativi.
Il perimetro, però, rimane quello dell’invarianza finanziaria. Cioè, nessuna risorsa aggiuntiva per rafforzare gli strumenti di contrasto alla violenza di genere.
Penale e simbolico
Il testo approvato è frutto di un’intesa bipartisan in commissione. La premier Giorgia Meloni si è detta soddisfatta per il voto all’unanimità di uno strumento che «siamo convinti possa contribuire a combattere una piaga intollerabile». Se la prima formula, scritta dal governo, «non rispondeva al criterio di determinatezza», spiega Valente, quella definitiva – riscritta dopo molte audizioni di esperti – è «più centrata sull’individuazione di condotte materiali alternative, evitando elementi psicologici e soggettivi difficili da provare».
Maggioranza e opposizioni hanno quindi definito il reato al 577-bis l’uccisione di una donna in quanto tale, per un atto di possesso, dominio, sopraffazione, odio o prevaricazione, per il rifiuto di lei a instaurare o mantenere una relazione o ancora per limitare le sue libertà individuali.
A chi sostiene che si tratta dell’ennesimo intervento sul piano punitivo proposto dal governo – che per Valente «ha fatto un ingente, quanto inutile e a volte crudele ricorso al codice» – la senatrice risponde che «questo ddl non ha una valenza soltanto penale, perché ha soprattutto una portata simbolica e culturale», rendendo «visibile la sopraffazione fino alla morte delle donne da parte degli uomini».
Le tre P
Per contrastare un fenomeno culturale radicato e trasversale servono però, evidenziano le opposizioni, interventi più strutturali, possibili solo con lo stanziamento di fondi. In aula sono stati approvati tre ordini del giorno proposti dal Pd con cui si impegna il governo sulla prevenzione, protezione delle vittime, formazione ed educazione.
«Servono più risorse sul piano antiviolenza, che deve tornare a essere concertato prima di essere varato come chiedono i Centri antiviolenza, la formazione degli operatori di giustizia non si fa gratis né la necessaria educazione nelle scuole e nelle università», afferma Valente, chiedendo che il consenso unanime raggiunto per questo ddl prosegua sugli altri interventi. Sono necessarie, secondo Valente, anche politiche attive che rimuovano i pregiudizi e gli stereotipi culturali antifemminili «in cui siamo immersi».
A confermare l’urgenza di fondi e misure sulle altre due P individuate dalla Convenzione di Istanbul, prevenzione e protezione, oltre alla P di punizione, è il report pubblicato dalla rete dei Cav DiRe, che gestisce in tutto 204 sportelli.
Le donne accolte dai centri nel 2024 (23.851) sono aumentate rispetto all’anno precedente, quando erano 23.085. Quasi la metà ha tra i 30 e i 49 anni, mentre le giovani tra i 18 e i 29 rappresentano il 17 per cento. Le utenti tra i 50 e i 59 sono invece poco più del 15 per cento. La gran parte delle donne, l’82,2 per cento, subisce violenza psicologica, e il 56,5 quella fisica.
Non solo, la violenza economica è esercitata su almeno una donna su tre, mentre la violenza sessuale e lo stalking coprono percentuali più basse, tra il 16 e il 17 per cento. Tra le donne che si rivolgono ai centri, quasi una su tre non ha un’occupazione e, quindi, alcun tipo di reddito. Solo il 32 per cento delle donne decide di denunciare.
Allo stesso modo, quasi la metà degli autori di violenza ha un’età tra 30 e 59 anni e tre uomini su quattro sono italiani. In più di sette casi su dieci hanno una relazione affettiva con la donna. «A fronte di questi risultati ci attenderemmo un coinvolgimento più attivo nella costruzione delle politiche antiviolenza», ha dichiarato Cristina Carelli, presidente della rete.
I centri vivono principalmente di volontariato, i fondi sono insufficienti, così i posti nelle case rifugio: nel 2024 non è stato possibile mettere in sicurezza 947 donne.
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