Domani è a bordo di Mediterranea - la nuova nave di Mediterranea Saving Humans in mare per la sua seconda missione - per documentare le attività di ricerca e soccorso che l’organizzazione svolge nel Mediterraneo centrale. Qui le puntate del diario di bordo.


«In Somalia se sei un ragazzo giovane hai due opzioni. O ti arruoli e combatti, o devi andare via altrimenti vieni ucciso». Ismail, nome di fantasia, ha meno di 18 anni ed è tra le persone soccorse domenica da Mediterranea, la nave della flotta civile di ritorno dalla sua seconda missione, la 23esima per Mediterranea Saving Humans. Ismail parla sul ponte della nave, ora che è al sicuro, dopo aver rischiato la vita su un gommone partito da Zuara, a ovest di Tripoli.

È uno dei 31 minori soccorsi dall’organizzazione in tre diverse operazioni. L’ultima lunedì, a sole 13 miglia dall’isola di Lampedusa, quando sulla rotta verso nord il Bridge ha avvistato una barca, sovraffollata e in pericolo, con a bordo 27 persone. Ora sulla nave ci sono in tutto 92 naufraghi.

L’unica opzione per Ismail, il più grande di quattro fratelli, era quindi fuggire da un paese preda di conflitti armati. Gli piacciono le lingue, vorrebbe studiare. «Tante parole in somalo vengono dall’italiano: forchetta, palo, cancello», spiega, svelando le tracce del colonialismo italiano lasciate nella lingua. In viaggio da sei mesi, ha attraversato diversi paesi dell’Africa occidentale tra cui la Mauritania. Da qui ha provato ben tre volte a imbarcarsi verso la Spagna. Ma a ogni tentativo è seguito un arresto. Si sente addirittura fortunato, perché ha provato solo una volta la traversata dalla Libia.

L’inferno libico

C’è chi quel viaggio l’ha provato cinque volte. Said, nome di fantasia, anche lui viene dalla Somalia ed è stato a Tripoli per tre anni. «Non potevo uscire di casa perché se no mi rapivano», racconta, «in Libia è tutto una questione di soldi». Spiega che il viaggio in gommone, meno sicuro, solitamente costa cinquemila dollari, mentre quello nelle barche in vetroresina, più veloce, costa circa 7mila. Questa volta lui viaggiava su un gommone, in mare da quattro giorni e tre notti, che imbarcava acqua: «Man mano che viaggiavamo dovevamo tirare fuori l'acqua».

Ha pagato cinque volte il viaggio e quattro volte il riscatto, dopo essere stato intercettato dai libici. «Ci picchiavano, mandavano video alle nostre famiglie per chiedere i soldi», dice.

Tutte le 92 persone a bordo di Mediterranea sono passate per la Libia. E «tutte evidenziano segni di abusi, torture, detenzione. Molti, quando pensano alla Libia, parlano di mafia», spiega Cecilia Casalini, Protection Officer. Il suo ruolo è assicurare che i diritti fondamentali delle persone soccorse siano garantiti fino alla fase di sbarco. Si occupa anche della tutela delle persone vulnerabili e fornisce una prima informativa legale sulle procedure che si attiveranno allo sbarco. «Sulla nave tutte le persone riportano condizioni certificate di vulnerabilità», precisa Casalini.

Il suo lavoro è legato a quello del team medico, perché le violenze subite, fisiche o psicologiche, possono emergere sia da una visita medica sia da un colloquio con la figura della Protection Officer. È però complicato che tutte le condizioni di vulnerabilità emergano in così poco tempo e, soprattutto, dopo un viaggio così traumatico.

Il terzo soccorso

Dopo l’ultimo soccorso, un terzo delle persone a bordo sono minori non accompagnati. «Un numero molto alto», sottolinea Casalini, «ragazzi che stanno facendo un viaggio inimmaginabile da molto tempo, mesi o anni, ed è importante pensare al significato di minore in Europa: una persona protetta e tutelata». Undici di loro erano a bordo della barca in vetroresina, sovraffollata e in pericolo, soccorsa lunedì mattina alle 7.50 dopo che è suonato l’allarme. Il Bridge ha avvistato un’altra imbarcazione, dopo i due soccorsi fatti domenica, mentre Mediterranea stava navigando verso un altro caso segnalato da Alarm Phone. Subito è stata contattata la sala operativa della Guardia costiera italiana di Lampedusa, che però ha comunicato di non avere motovedette disponibili perché impegnate altre operazioni di ricerca e soccorso. Mediterranea si è quindi coordinata con il Centro nazionale del soccorso marittimo di Roma (Mrcc).

Il Rescue Team in pochi minuti si è avvicinato alla barca, che viaggiava in condizioni estreme e, come spesso accade, con camere d’aria invece di giubbotti salvagente. Con due gommoni di soccorso, sono stati portati in salvo i 27 naufraghi, tutti maschi. Vengono da Bangladesh, Sudan, Egitto e Eritrea. Nazionalità che si aggiungono a Siria, Iran, Iraq, Pakistan, Sud Sudan e Somalia, da cui vengono le persone soccorse domenica.

Dalla Somalia arriva anche una delle sei donne a bordo della nave. Nel piccolo ospedale Gabriele Risica, il medico di bordo, che tutti chiamano Mimmo, le fa un’ecografia. È incinta di quattro mesi. «Un maschio o una femmina?», chiede la donna. Sembra essere un maschio. La donna e il marito avevano paura che la traversata mettesse a rischio la gravidanza. Lei, come le altre persone a bordo, ribadisce Mediterranea, «hanno bisogno del porto più vicino di sbarco».

Le altre puntate del diario di bordo

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