Mediterranea ha risposto a un May Day dell’agenzia Ue per il controllo delle frontiere, ma è stata preceduta dalle motovedette libiche. «Ci hanno detto che erano stati “soccorsi dalla guardia costiera libica”», racconta l’attivista Castiglione, «non può però essere chiamato soccorso, perché la cosiddetta guardia costiera libica cattura e deporta»
Domani è a bordo di Mediterranea – la nuova nave di Mediterranea Saving Humans in mare per la sua seconda missione – per documentare le attività di ricerca e soccorso che l’organizzazione svolge nel Mediterraneo centrale. Qui le puntate del diario di bordo.
Alle 9.42 dal canale 16, quello riservato alle emergenze, è stato lanciato un May Day Relay, il più alto grado di allerta in mare. «Una barca con circa 40 persone a bordo, che viaggia a quattro nodi, in direzione 330 gradi. Eagle 1», dice il messaggio via radio. A lanciarlo è stata Frontex, l’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, dal uno dei suoi cinque mezzi aerei. Mediterranea ha risposto al May Day e ha cambiato la direzione, verso il target.
«Ci siamo messi in rotta con poca speranza: erano a circa 30 miglia dalla costa libica e a 3-4 ore di navigazione da dove ci trovavamo noi. Sapevamo che avrebbero potuto precederci le motovedette libiche», spiega Danny Castiglione. Da anni attivo nei movimenti in Veneto, è dentro Mediterranea dal primo giorno. In questa 23esima missione è Rhib Driver, ha il compito di guidare il gommone di soccorso, ha aiutato con la logistica e si occupa anche della parte informatica.
E, infatti, è andata così: «Abbiamo chiesto un aggiornamento sulla posizione dell’imbarcazione e Frontex ci ha risposto che erano stati “soccorsi dalla guardia costiera libica”». Non può però essere chiamato soccorso, ribadisce Castiglione, «la cosiddetta guardia costiera libica cattura, deporta, li riporta nei centri di tortura. Non è esattamente quello che fa una guardia costiera istituzionale di un paese democratico».
Da anni le organizzazioni denunciano che la Libia non può essere considerata un luogo di sbarco sicuro. Lo ha sancito anche la Cassazione a febbraio 2024.
«Ma l’Italia e l’Unione europea continuano a riconoscere le autorità libiche come partner strategici e come una guardia costiera a tutti gli effetti – dice Castiglione – e oggi purtroppo abbiamo visto l’ennesima violazione dei diritti umani e l’ennesima sospetta collaborazione di Frontex con le autorità libiche».
La strategia di Frontex
L’agenzia Ue per il controllo delle frontiere ha via via cambiato strategia, virando sugli assetti aerei e sui droni e abbandonando l’uso di imbarcazioni nel Mediterraneo. Questo significa non avere l’obbligo di soccorso, ma pattugliare dall’alto. Per Castiglione «la motivazione è politica», in questo modo «si danno le informazioni alle autorità libiche e tunisine e, di conseguenza, la possibilità di far catturare le persone».
Ne sono la prova le decine di barche che si trovano nel mare che separa Lampedusa dalla Libia e dalla Tunisia. In soli due giorni, Mediterranea ne ha viste tre, due – una di legno e un gommone – ancora galleggianti e un altro gommone affondato. Se la nave della flotta civile fosse passata qualche giorno dopo non ci sarebbe stata traccia di quell’imbarcazione. E nessuno avrebbe saputo.
Le organizzazioni della società civile tengono traccia e documentano, ma «quante persone c’erano a bordo? Ci sono stati morti?», continua l’attivista, «dovrebbe essere il governo a chiedere dati precisi, visto che considera la Libia un partner strategico».
Castiglione dal 2022 ha partecipato a tutte le missioni di Mediterranea, in alcune anche con il ruolo di capo missione. E nella sua esperienza, così come in quella delle altre organizzazioni della flotta civile, la nuova prassi di Frontex consiste spesso nel lanciare il May Day dopo che ci sono già state interlocuzioni con la cosiddetta guardia costiera libica o la Garde Nationale tunisina. «Molto spesso mandano la segnalazione via radio perché vedono che nell’area ci sono gli assetti della flotta civile», dice l’attivista.
Negli anni, poi, le organizzazioni del soccorso civile in mare hanno osservato un’escalation di violenza da parte della cosiddetta guardia costiera libica. Ad aprile 2024, dalla motovedetta Fezzan sono stati sparati colpi di arma da fuoco verso i naufraghi e i soccorritori di Mediterranea. Ad agosto 2025, i guardacoste hanno gettato dieci persone in acqua e poche settimane dopo hanno colpito la nave di Sos Méditerranée, la Ocean Viking. E anche oggi, sabato 1 novembre, si sono intraviste due imbarcazioni dei guardacoste libici. Castiglione stava facendo il primo turno di Sar Watch quando ha visto due assetti veloci in lontananza.
Come arrivano le segnalazioni
I May Day Relay lanciati da Frontex sono solo uno dei modi in cui le organizzazioni del soccorso civile ricevono le segnalazioni di imbarcazioni in difficoltà. Solitamente, spiega, «capiamo che c’è un target quando il velivolo dell’agenzia inizia a girare intorno a un punto». Spesso, anche se non viene dato l’allarme, si capisce che c’è interesse in quell’area vedendo i tracciamenti degli aerei di Frontex. Ma anche aerei militari o aerei della flotta civile – come Sea Bird di Sea Watch – possono lanciare allarmi.
C’è poi Alarm Phone, una centrale operativa che mappa la maggior parte dei casi perché viene contattata con i telefoni satellitari, qualora le persone migranti che attraversano il Mediterraneo ne abbiano uno. A volte l’organizzazione riesce a fornire informazioni precise e poi contatta tutti i centri di coordinamento marittimi che coordinano le guardie costiere, quindi Malta, Tunisia, Italia e Libia.
E, infine, c’è il binocolo. Tre turni da quasi quattro ore l’uno dal Monkey Island, la zona che si trova sopra la plancia di comando. Da qui, finora in questa missione si sono viste piattaforme petrolifere e gommoni fantasma.
«Quello che vuole la politica italiana e europea nel Mediterraneo centrale è la normalizzazione di ciò che accade. Le morti in mare non devono più far notizia», conclude Castiglione. E ricorda: «L’Ue, l’Italia, potrebbero tranquillamente aprire una missione internazionale di ricerca e soccorso. Se qualcuno se ne occupasse noi smetteremmo subito». Ma l’Unione e gli stati membri continuano a investire in operazioni di polizia, abbandonando invece quelle di ricerca e soccorso.
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