Domani è a bordo della nuova nave della ong. «L’organizzazione inizia mesi prima, con la disponibilità degli attivisti e delle attiviste e la preparazione di ciò che serve per l’equipaggio e per accogliere i naufraghi», spiega la capo missione Sheila Melosu
Domani è a bordo di Mediterranea – la nuova nave di Mediterranea Saving Humans in mare per la sua seconda missione – per documentare le attività di ricerca e soccorso che l’organizzazione svolge nel Mediterraneo centrale. Qui le puntate del diario di bordo.
L’ultimo passaggio prima della partenza è il gasolio. Ci vogliono ore per fare quello che nel linguaggio della navigazione si chiama bunkering. E per riempire i serbatoi di Mediterranea, la nuova nave di Mediterranea Saving Humans - perché parta per la sua seconda missione di ricerca e soccorso - servono circa 90 tonnellate di carburante, che equivalgono ad almeno 90mila euro.
«Il lavoro della missione inizia mesi prima», spiega Sheila Melosu, capomissione della 23esima operazione nel Mediterraneo centrale, in partenza da Trapani con l’obiettivo di soccorrere le persone migranti che viaggiano dalle coste della Libia e della Tunisia verso l’Europa.
Non si tratta solo di una missione umanitaria. «Non si può non guardare quello che accade nel Mediterraneo. L’Europa e soprattutto l'Italia hanno un ruolo centrale». Da un lato, spiega Melosu, è un’azione che vede le frontiere come «costruzione inutile e pericolosa», dall’altro denuncia le «violenze continue della cosiddetta guardia costiera libica nei confronti delle persone migranti e delle ong e della Garde Nationale tunisina, che opera respingimenti e violenze, oltre ai naufragi a cui assistiamo quotidianamente».
La flotta civile
Tra il 2018 e il 2025, l’organizzazione ha portato a termine 22 missioni di ricerca e soccorso: prima con la Mare Jonio, un rimorchiatore del 1972, e poi con la nave comprata ad agosto dalla Sea Eye, che ha preso il nome di Mediterranea. In mezzo, c’è stata anche Safira, una barca a vela. In tutto, l’organizzazione ha soccorso 1.457 persone.
In dieci anni, secondo i dati dell’Oim, 77.330 persone sono morte o scomparse cercando di attraversare un confine. La rotta più letale rimane il Mediterraneo con almeno 32.872 persone scomparse, 1.397 nel 2025. E, nello specifico, il Mediterraneo centrale. I naufragi di cui si viene a conoscenza non sono nemmeno tutti quelli che avvengono: «Non bisogna dimenticarsi i naufragi fantasma», sottolinea la capomissione.
Nonostante questi numeri, in un mare svuotato dalle politiche delle istituzioni, anche alla Mare Jonio a settembre 2014 è stato di fatto impedito di fare attività di ricerca e soccorso. «Negli ultimi anni è aumentata incredibilmente la criminalizzazione delle ong: dai porti chiusi di Salvini, ai decreti Piantedosi che hanno colpito prima le navi più grandi e ora anche gli aerei della società civile», spiega Melosu. E aggiunge: «Stanno cercando in tutti i modi di bloccarci, come se i trafficanti di esseri umani fossimo noi. È inaccettabile la narrazione del governo, secondo cui noi che andiamo in mare con salvagenti siamo i cattivi, mentre la cosiddetta guardia costiera libica, che arriva con i mitra, è da difendere».
Il 14 ottobre la maggioranza ha salvato il rinnovo automatico dell’intesa con la Libia, conclusa nel 2017 dall’allora ministro dell’Interno Marco Minniti. A partire dal prossimo 2 novembre l’accordo sarà dunque rinnovato per altri tre anni. Anche Mediterranea ha testimoniato la violenza dei libici, quando ad aprile 2024 la guardia costiera di Tripoli «ha operato manovre violentissime durante un’operazione di soccorso facendo sì che gente si buttasse in mare». Hanno sparato colpi di arma da fuoco contro i naufraghi e contro i soccorritori.
Come si prepara una nave
Preparare la nave per questo tipo di missioni è complesso. «Calendarizzare le disponibilità delle persone, gli attivisti e le attiviste che vengono a bordo, è la priorità», racconta Melosu. Dalla plancia di comando spiega che anche la nave ha molte necessità: «Tutto ciò che serve per accogliere i naufraghi quando operiamo un soccorso. Vestiti, cibo, acqua. Le stesse cose servono all’equipaggio, quindi organizzare la cambusa». Nei giorni al porto di Trapani prima della partenza c’è stato un via vai di rifornimento.
Melosu per la quarta volta copre il ruolo di capo missione. Ha 39 anni e una formazione da Project Manager. Organizzava eventi culturali, prima di ricevere la telefonata che le ha annunciato l’acquisto della Mare Jonio: è tornata a Palermo, la sua città, contribuendo a rendere operativa la nave. Quello della capomissione è un lavoro di coordinamento che deve tenere insieme le diverse aree di una nave e fare in modo che tutta la macchina possa funzionare bene: la Rescue Coordination, la decisione insieme al comandante della strategia di navigazione, il Rescue Team, la Guest Coordination.
Con le persone soccorse a bordo, serve poi gestire l’area medica. E, infine, è la figura che insieme al comandante prende le decisioni e ha la responsabilità di gestire le comunicazioni con le autorità nel momento in cui si parla di Pos, place of safety, il punto di sbarco sicuro.
La vita a bordo
Sulla nave, battente bandiera tedesca, c’è sia personale marittimo sia passeggeri, attiviste e attivisti. Dal comandante al direttore di macchina, al primo ufficiale di coperta. Il coordinatore dell’area Sar, un medico, due infermieri, un cuoco, due Rhib driver, così viene chiamato chi guida i gommoni per il soccorso. Gerda e Maria sono i nomi dei Rhib (Rigid Hull Inflatable Boat) a bordo della nave. Per la capo missione è «un equipaggio bellissimo» perché proviene da diverse parti d’Europa e non: Croazia, Grecia, Polonia, Belgio, Spagna, Canada e Italia. In tutto 22 persone.
Mentre il comandante e il primo ufficiale tracciano la rotta di Mediterranea sulla carta nautica e segnano i waypoint (i punti di riferimento geografici), prima della partenza, la vita a bordo è stata scandita da turni di pulizia e, soprattutto, dai training. Bisogna prepararsi a tutte le situazioni possibili: lanciare i salvagenti, mettere in mare i Rhib, assegnare i ruoli durante un soccorso ridotto o uno con decine di persone ferite, per cui è necessario che ogni persona dell’equipaggio cambi ruolo. E tra un training e l’altro è arrivata la conferma: si parte e la rotta è verso sud.
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