Non solo le piazze delle grandi città: la mobilitazione per la Palestina e per la Flotilla attraversa l’Italia intera, dalle cime alpine alle aree deindustrializzate del Sud, dai paesi terremotati fino alle Isole Minori. È un’Italia che raramente arriva sulle prime pagine, eppure la protesta qui si accende e conta. Bandiere, presidi, cammini, iniziative culturali: così si muovono quei territori che vengono etichettati come “marginali”, ma che marginali non sono affatto.

Sono luoghi dove mancano scuole, trasporti, ospedali, e dove la presenza dello Stato e della politica è quasi del tutto svanita. Qui manifestare significa rompere l’isolamento, dare voce a chi resta, mostrare che quella che troppo spesso viene raccontata come “l’altra Italia” partecipa e resiste. Ma non è “altra”: il nostro non è un paese fatto di sole città. Il 60 per cento del territorio nazionale vive infatti una condizione di progressivo abbandono nelle cosiddette aree interne, da Nord a Sud. A queste si aggiungono altre parti del paese segnate da marginalità diverse: gran parte del Mezzogiorno e le province colpite dalla deindustrializzazione.

L’esclusione 

In questi territori la crisi della democrazia è più nitida che altrove: l’astensionismo è spesso il primo partito, e populismi ed estremismi trovano terreno fertile. Non si tratta però di un’eccezione italiana: è una dinamica che attraversa l’Europa intera e, più in generale, l’Occidente, dove il senso di esclusione territoriale alimenta nuove forme di conflitto sociale e politico.

Quando nelle valli e nei borghi si scende in piazza, il gesto ha un peso speciale: qui organizzare una manifestazione è più difficile, si è pochi, spesso soli. Per questo è ancora più significativo quando a farlo sono i giovani, sempre meno in questi luoghi e spesso costretti a emigrare: restare e alzare una bandiera diventa un atto di coraggio e resistenza.

Spazi di resistenza

Non è un caso che le montagne, l’Appennino e i piccoli comuni tornino oggi a essere luoghi di mobilitazione: furono spazi della Resistenza partigiana, della lotta per la libertà, e conservano una memoria profonda di sacrificio e solidarietà. Vedere qui la bandiera palestinese significa intrecciare quella memoria con le battaglie di oggi.

Le 100 piazze per Gaza mostrano che la protesta non ha un solo centro: è una rete diffusa che unisce città e piccoli paesi. Da Ivrea a Cerignola, da Fermo a Crotone. Gli appuntamenti rimbalzano sui social e la mobilitazione coinvolge la provincia che non ti aspetti. Oltre a queste, le iniziative sono centinaia, e molte non arrivano ai media nazionali.

Intanto ci si prepara a convergere a Roma per il corteo del 4 ottobre, o nelle città più vicine per le mobilitazioni più grandi. In montagna e nelle valli, perfino i circoli chiudono per lo sciopero.

Dalle cime alpine alle Isole

La piazza per Gaza a L’Aquila

Sul Cervino, a 4.478 metri, la bandiera palestinese è stata issata in vetta: un’immagine potente che racconta quanto la solidarietà attraversi anche i luoghi simbolo dell’Italia alpina. Sempre in montagna, rifugi e circoli organizzano presidi ed eventi culturali.

In Emilia, a Marzabotto, giovani hanno bloccato la Porrettana, la strada statale che collega Bologna a Pistoia attraverso l’Appennino, un’arteria storica che attraversa il territorio della strage nazifascista del 1944: qui il gesto assume un significato simbolico forte, legando memoria e attualità.

In Umbria, alcuni piccoli comuni hanno persino approvato atti di riconoscimento dello Stato di Palestina, e a Perugia sono stati accolti nelle scorse settimane sindaci provenienti dalla Cisgiordania.

In Abruzzo il movimento è vivace: studenti, associazioni e comunità locali animano presidi. Nei paesi del sisma si organizzano fiaccolate e marce, come ad Aielli e a Gagliano Aterno (250 abitanti), mentre all’Aquila università e Gran Sasso Science Institute hanno riempito le piazze ricostruite, in vista del corteo provinciale che confluirà a Roma.

In Casentino comunità e associazioni locali si organizzano per raggiungere insieme le città vicine e Roma, dopo mesi di iniziative culturali e momenti dedicati.

Alle porte della Capitale, la carovana da Ardea ad Anzio ha portato in strada attivisti e famiglie. A Zagarolo, studenti e studentesse del collettivo Zaga4Gaza hanno mantenuto presidi permanenti.

In Basilicata, a Melfi, in un’area segnata dalle lotte operaie della Fiat/Stellantis, il 2 ottobre si è svolto un flash mob per ricordare gli operatori sanitari uccisi sotto le bombe mentre a Tito (Pz), poco più di 7mila abitanti, si organizzano letture di opere di autori e autrici palestinesi.

La Local March for Gaza: mobilitazione internazionale che invita comunità e associazioni a organizzare cammini e presidi nei propri territori. In Italia si è trasformata in una rete di iniziative diffuse: da Oropa a Milano, lungo i sentieri dell’Abruzzo e nei borghi dell’Appennino, piccoli gruppi hanno marciato, pregato e discusso, portando la protesta nei luoghi che i media raramente raggiungono.

In Sardegna si moltiplicano i cortei e gli scioperi locali, preparandosi alla mobilitazione nazionale. Infine, nelle isole minori, la solidarietà arriva fino ai margini estremi del paese: ad Alicudi, minuscola isola delle Eolie con appena una settantina di abitanti, la bandiera palestinese sventola sul molo. Altre iniziative si sono svolte a Stromboli e nelle altre isole, segnando l’adesione anche di comunità piccolissime.

Il molo dell’isola di Alicudi

Queste sono solo alcune delle esperienze che stanno attraversando il paese. La protesta per la Palestina non appartiene soltanto alle città: vive e resiste anche nei territori dimenticati, nei luoghi dello spopolamento e dell’assenza politica. Qui la voce di chi resta – soprattutto dei giovani – è fragile nei numeri ma forte nel significato.

Ricordarci che la democrazia vive (o muore) anche lontano dai riflettori delle metropoli è il compito che oggi spetta a tutte e tutti ed è l’esempio politico della spedizione della Global Sumud Flotilla a Gaza a fronte del vuoto delle istituzioni occidentali.

© Riproduzione riservata