«È libero! È libero!», esulta al telefono Andrea Costa, presidente dell’associazione Baobab Experience, davanti al Centro di permanenza per i rimpatri di Palazzo San Gervasio in Basilicata, quando scopre che ad Hamdi Benali non hanno convalidato il trattenimento. «Arrivi in questa piana e quello che vedi è una gabbia, sembra una gabbia per animali», spiega Costa.

Si prospettava un’estate nelle cucine di uno chef stellato, ma per Benali i piani sembravano cambiati quando si è ritrovato dietro le sbarre del Cpr vicino a Potenza. È riuscito ad uscire da quella struttura carceraria grazie agli avvocati che hanno fatto sì che il giudice non convalidasse. 

Benali ha 21 anni, è di origine tunisina ed è arrivato a Roma da minorenne. Nella capitale è conosciuto da tutti ed è passato da una cucina all’altra, cercando di lottare per i propri diritti di lavoratore e di allontanare i continui tentativi di sfruttamento nel mondo della ristorazione. Fino ad arrivare alla scuola di cucina di Fondazione Barilla a Parma ed essere selezionato tra i venti ragazze e ragazzi provenienti da contesti svantaggiati. 

Partito da Sfax, in Tunisia, è arrivato a Lampedusa via mare, ha vissuto senza un tetto per un po’. «Lo trovai per strada a 17 anni, in pieno Covid, era arrivato da uno sbarco e aveva il braccio ingessato», racconta il presidente di Baobab, organizzazione che dà supporto alle persone con background migratorio. I volontari dell’associazione lo hanno accompagnato in questura ma, in base al sistema di accoglienza italiano, al compimento dei 18 anni, si esce dal programma minori e «si è ritrovato di nuovo per strada», racconta Costa.

Il Cpr di Palazzo San Gervasio in Basilicata (Foto di Andrea Costa)

La casa famiglia lo aveva abbandonato al freddo e il ragazzo aveva provato a rubare una giacca per coprirsi, senza riuscirci. Per questo gesto Benali è stato considerato dalla Questura una «gravissima pericolosità sociale», una valutazione che ha portato al rigetto della sua domanda di conversione del permesso di soggiorno, da attesa occupazione a lavoro subordinato.

Era in attesa di una risposta da due anni ed è arrivata con l’applicazione del decreto Piantedosi, varato dopo la strage di Cutro, che ha ristretto le possibilità di rimanere sul territorio italiano legalmente. Baobab evidenzia inoltre che non è stato nemmeno considerato il suo diritto alla protezione speciale, per «la profonda e sincera inclusione sociale di un ragazzo che considera Roma casa sua». 

È stato quindi portato in commissariato e poi all’ufficio immigrazione della Questura, in via Patini, e portato al Cpr. Non al Cpr di Roma Ponte Galeria, dove c’erano posti liberi – segnala l’associazione – ma al centro di Palazzo San Gervasio, in Basilicata, a 378 chilometri dalla sua radicata rete sociale. 

Baobab e gli avvocati sono riusciti a liberare Benali, a cui rimane però il decreto di espulsione con un termine di sette giorni, che gli avvocati hanno già impugnato.

Uno squarcio

Il Cpr di Palazzo San Gervasio in Basilicata (Foto di Andrea Costa)

«Un fulmine a ciel sereno, uno squarcio nella vita del giovane ragazzo», scrive Baobab. Perché Benali è diventato parte del tessuto sociale della città di Roma. Ha studiato italiano, ha preso la terza media e voleva continuare il percorso per ottenere il diploma delle superiori. Ha fatto teatro e lavorato come il lavapiatti, l’aiuto pizzaiolo, l’aiuto cuoco e in paninoteca. 

Una storia di risultati e di pieno inserimento nella comunità romana, anche grazie all’associazione Baobab, che gli ha fornito un tetto per consentirgli di concentrarsi sui progetti e sul futuro. Tanto che dopo i due mesi di formazione alla scuola, uno chef stellato gli ha proposto di lavorare a Rimini per la stagione estiva. Ora che è di nuovo libero gli ha promesso un contratto. 

«I sogni non sono per tutti, ma ognuno incontra ciò che davvero gli fa battere il cuore, può vivere il suo sogno si è disposto a pagarne il prezzo», scriveva in un post su Instagram accanto a una foto con i suoi compagni di corso alla Barilla.

L’entusiasmo contagioso di Benali è arrivato anche sulle pagine di Io Donna, l’inserto del Corriere della Sera, che lo ha descritto così: «Hamdi, 21 anni, tunisino, parla un ottimo italiano, è pieno di entusiasmo e ottimismo. “Ho fatto il lavapiatti, l’aiuto pizzaiolo, l’aiuto cuoco, oggi lavoro in una paninoteca. Ma vorrei diventare cuoco”».

«Luoghi di tortura»

«Un esempio di integrazione», dice Costa, che si è trasformato in «un esempio di quanto possano essere fallimentari e ingiuste le politiche migratorie». Dalle foto con Cannavacciuolo a quelli che il deputato di Più Europa Riccardo Magi ha definito «luoghi di tortura», centri di detenzione amministrativa, di privazione della libertà personale, dove rischia di finirci chi si trova, anche temporaneamente, senza permesso di soggiorno. 

Nei Cpr, dove negli ultimi 5 anni sono morte 14 persone, sono nei fatti delle carceri, in cui – secondo moltissimi rapporti del garante nazionale delle persone private della libertà – vengono violati diritti fondamentali delle persone, come il diritto alla difesa, alla salute e soprattutto alla dignità.

«Questa è una piccola battaglia vinta», commenta Costa, «ma rimane lo scandalo dei Cpr. Sono centinaia le donne e gli uomini dimenticati, che non hanno una rete e la possibilità di avere avvocati di fiducia, e rimangono o spariscono nel limbo di questi centri». Strutture che sono raggiungibili perché in Italia ma, conclude Costa, «cosa succederà alle persone che verranno portate nei centri in Albania? È necessario che la società civile faccia rete e tuteli queste ragazze e questi ragazzi che non hanno nessuna colpa». 

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