Nel mezzo dell’estate, in Vaticano si respira già un cambio di stagione. Almeno secondo le ricostruzioni della stampa italiana ed estera, che guarda al prossimo agosto come al redde rationem del pontificato di Francesco.

Secondo giornali autorevoli come il Guardian, infatti, raggiunto il numero di porporati elettori nel collegio cardinalizio a fine agosto, è possibile che il pontefice possa dimettersi sull’esempio del predecessore Benedetto XVI.

Ad avvalorare un presunto colpo di scena vi sarebbero alcuni fattori: la salute del papa, costretto in sedia a rotelle per un’acuta artrosi al ginocchio, e la due giorni di formazione sulla costituzione apostolica Praedicate Evangelium entrata in vigore lo scorso 5 giugno, che porterà oltre duecento porporati all’ombra del solleone romano.

In mezzo al concistoro, Bergoglio parteciperà alla Festa della Perdonanza dell’Aquila per aprire la porta santa della basilica che ospita la tomba di Celestino V, il primo papa dimissionario nella storia della chiesa. Ma la prospettiva di dimissioni del papa è davvero credibile?

Un clero diviso

Innanzitutto, va sottolineato che la partecipazione del papa alla Perdonanza celestiniana fa seguito all’invito presentato dal cardinale arcivescovo Giuseppe Petrocchi al papa il 4 giugno 2021: «All’invito, i suoi occhi hanno brillato, perché papa Francesco ha un rapporto affettivo molto stretto con questa nostra terra. Sono sicuro che farà il possibile per esserci», ha dichiarato in conferenza stampa il porporato l’estate scorsa.

Nessun messaggio in codice da parte del pontefice, semmai un richiamo all’unità rivolto al clero, verso il quale Bergoglio continua a nutrire alcune diffidenze: «Madre per favore ti chiedo per la santità del clero» aveva scritto nel messaggio lasciato ai piedi di Maria Regina Pacis al termine del rosario per la pace in Ucraina a santa Maria Maggiore. In questi mesi di guerra internazionale, il papa è tornato sovente sui conflitti in seno alla chiesa.

L’entusiasmo verso il papa argentino è scemato e sono aumentate le critiche, spesso sussurrate da prelati di lungo corso.

Un esperto in materia come Massimo Franco, nel suo libro sul pontificato emerito Il Monastero (Solferino), definisce la compresenza di due pontefici come riflesso di altrettante «incognite palpabili, che lo scontro tra fazioni ecclesiastiche conferma e dilata, senza permettere né di comprenderle né di risolverle».

Cardinali sempre più orfani

Negli ambienti vaticani non sono pochi i prelati insofferenti verso un pontificato nato con le più alte premesse e ora in crisi.

L’ecumenismo del papa latinoamericano ha aumentato la rappresentanza del collegio cardinalizio a 89 paesi, ridimensionando il peso di Roma, secondo quel «sano decentramento» che papa Francesco ha di recente espresso nel motu proprio che assegna alcune competenze previste dal Codice di diritto canonico alle chiese particolari.

Questo si riflette nella rassegna di volti nuovi, talvolta poco conosciuti, nel collegio cardinalizio. Nel concistoro gli europei, seppure ancora in larga maggioranza (sono 107), stanno perdendo terreno rispetto agli asiatici e agli africani, provenienti da paesi in fermento, ma poco rappresentativi in un eventuale, prossimo conclave.

Il vecchio continente, terreno di scontro delle cordate più accese, ha perso punti di riferimento. I cardinali conservatori sembrano privi di un leader riconosciuto e solido: Robert Sarah, Gerhard Ludwig Müller sono stati depotenziati, mentre lo statunitense Timothy Dolan, sempre più distante da papa Francesco, si è ritagliato il ruolo di kingmaker.

Tornano gli italiani

Nell’ipotesi di un conclave, è invece probabile tra i favoriti tornino gli italiani. L’effetto Bergoglio di arginare i porporati italiani oggi non trova più sponde in quei cardinali di solida formazione che vogliono assicurare alla chiesa una guida rassicurante, che spenga le tifoserie e appiani le divisioni: «Basta esperimenti!» sussurra oggi in Vaticano chi immaginava un pontificato diverso.ù

Attualmente, i cardinali elettori italiani sono 21, 11 dei quali creati da papa Francesco: fra costoro non si respira più la contrapposizione dei tempi di Carlo Maria Martini o di Camillo Ruini, anzi l’arte negoziale italiana è oggi percepita come rassicurante.

Guardando all’era del dopo Francesco, alcuni porporati desiderano una guida di transizione, che sappia ricucire gli strappi e lenire le ferite di un mondo post bellico.

Tra i prelati europei, sussiste la volontà di riunire l’anima del vecchio continente, quella più tramortita fra le derive tradizionaliste francesi e quelle progressiste tedesche degli ultimi anni. Così, nell’Europa delle tifoserie contrapposte, un papa italiano e dallo stile mite farebbe digerire i cambi della chiesa con maggiore leggerezza.

Zuppi e la sua ombra

Tra i nomi in vista c’è l’attuale presidente della Cei, il cardinale Matteo Maria Zuppi. In Vaticano c’è chi guarda alla sua guida all’episcopato italiano come a una prova di pontificato.

Per taluni, però, l’ombra della Comunità di sant’Egidio, ritenuta un’istituzione chiusa e verticistica, rischia di diventare una presenza asfissiante, tale da sbarrare la strada a un eventuale pontificato Zuppi.

Per un prelato di lungo corso, la prova del nove sarà nella nomina del prossimo segretario della Cei, perché lì si vedrà se i fondi dell’8x1000 alle chiese povere, su cui avrà potere di firma, saranno dirottati in diocesi rette attualmente da cardinali, cioè potenziali elettori in conclave.

A molti non è sfuggito l’incontro recente del presidente di sant’Egidio, Andrea Riccardi, con il capo di Stato francese, Emmanuel Macron, per discutere di coesione politica e dialogo interreligioso. L’intraprendenza dei vertici della comunità in politica estera sarebbe percepita con scetticismo, e una scelta di Zuppi si giocherà sul ruolo che questi avrà nello sgravarsi dal luogo in cui ha maturato la sua vocazione.

Parolin il mite

Tra i nomi rassicuranti, emerge il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin. Con una solida storia diplomatica alle spalle, Parolin cerca di alternare un’intensa attività pastorale internazionale a relazioni diplomatiche, come quella recente con il governo degli Stati uniti per risolvere la crisi in Venezuela.

Parolin, che papa Francesco al Corriere della Sera ha definito «un grande diplomatico, nella tradizione di Agostino Casaroli», è da molti percepito come la figura rassicurante della Santa sede, che conoscendola nell’intimo contribuirebbe a guidare i cambi strutturali con fluidità, senza iati e malumori interni.

Il suo ruolo mite e fermo in un pontificato che, secondo fonti vaticane, non lo coinvolgerebbe abbastanza, rappresenta già un buon inizio.

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