È stato un Natale politico quello celebrato da Leone XIV, il primo del suo pontificato o, se si preferisce, denso di “segni dei tempi”, che poi vuol dire con una forte attenzione alle tante crisi che attraversano la stagione storica nella quale ci troviamo.

E così facendo, papa Leone, pur senza grandi clamori, ha cominciato ad affermare la propria leadership globale come l'unica, fino a questo momento, in grado di contrapporre una visione alternativa a quelle di Donald Trump circa le strade da seguire per cercare delle soluzioni ai conflitti che percorrono il mondo. Prevost non cita mai direttamente la Casa Bianca - tantomeno lo ha fatto durante i riti del Natale - e tuttavia nei contenuti di quanto va proponendo, sempre incardinati in una solida interpretazione del messaggio evangelico, si può leggere un modello del tutto alternativo a quello lanciato dal tycoon. E forse non è un caso che questa critica indiretta ma ferma e decisa al presidente Usa, venga proprio dal primo papa originario degli Stati Uniti.

Così da Gaza, all'Ucraina, passando per le tante guerre in corso nei vari scenari continentali, alla questione dei migranti e dei profughi, a quella di un modello economico che genera esclusione e ingiustizia, il papa propone un cristianesimo che si colloca senza incertezze dalla parte dei più deboli, attraverso gli strumenti della riconciliazione e del perdono, nonché dell'affermazione di un criterio di giustizia senza il quale diventa difficile costruire una pace duratura.

Condizioni disumane

In tal senso, vanno lette anche le parole pronunciate dal papa a conclusione dell'angelus odierno celebrato in piazza San Pietro, con un forte richiamo ai cristiani affinché proprio a partire dalle condizioni più difficili nelle quali si trovano ad operare, non cessino di impegnarsi per la pace. «Nel ricordo di Santo Stefano primo martire - ha detto infatti Leone XIV - invochiamo la sua intercessione perché renda forte la nostra fede e sostenga le comunità che maggiormente soffrono per la loro testimonianza cristiana. Il suo esempio di mitezza, di coraggio e di perdono accompagna quanti si impegnano nelle situazioni di conflitto per promuovere il dialogo, la riconciliazione e la pace».

Seguendo una simile impostazione, durante il messaggio “Urbi et orbi” del 25 dicembre, Leone ha affermato: «Gesù assume su di sé la nostra fragilità, si immedesima con ognuno di noi: con chi non ha più nulla e ha perso tutto, come gli abitanti di Gaza; con chi è in preda alla fama e alla povertà, come il popolo yemenita; con chi è in fuga dalla propria terra per cercare un futuro altrove, come i tanti rifugiati e migranti che attraversano il Mediterraneo o percorrono il continente americano; con chi ha perso il lavoro e con chi lo cerca, come tanti giovani che faticano a trovare un impiego, come i troppi lavoratori sottopagati con chi è in carcere e spesso vive in condizioni disumane» .

Le menzogne ​​dei potenti

Significativi, sempre nel messaggio “urbi et orbi”, i riferimenti al Medio Oriente e all'Ucraina; dal Signore, ha detto in proposito il pontefice, «invochiamo giustizia, pace e stabilità per il Libano, la Palestina, Israele, la Siria, confidando in queste parole divine: “Praticare la giustizia darà pace. Onorare la giustizia darà tranquillità e sicurezza per sempre”».

Ma già nella messa dello stesso giorno di Natale aveva toccato l'argomento con accenti severi: «Come non pensare alle tende di Gaza, da settimane esposte alle piogge, al vento e al freddo, ea quelle di tanti altri profughi e rifugiati in ogni continente, o ai ripari di fortuna di migliaia di persone senza dimora, dentro le nostre città? Fragile è la carne delle popolazioni inermi, provate dalle guerre in corso o concluse macerie e aperte. Fragili sono le vite dei giovani costretti alle armi, che proprio al fronte avvertono l'insensatezza di ciò che è loro richiesto e la menzogna» dei «roboanti discorsi di chi li manda a morire».

Quindi in merito al conflitto che insanguina il vecchio continente dal febbraio del 2022, il vescovo di Roma ha affermato: «Al principe della pace affidiamo tutto il continente europeo, chiedendogli di continuare a ispirarvi uno spirito comunitario e collaborativo, fedele alle sue radici cristiane e alla sua storia, solidale e accogliente con chi si trova nel bisogno. Preghiamo in modo particolare per il martoriato popolo ucraino: si arresti il ​​fragore delle armi e le parti coinvolte, sostenute dall'impegno della comunità internazionale, trovino il coraggio di dialogare in modo sincero, diretto e rispettoso».

Va detto che Prevost, anche nella messa della sera del 24 dicembre, non si è lasciato andare a una celebrazione tutta imperniata su uno spiritualismo legato al Natale, anzi, proprio la messa della vigilia, è stata occasione per proporre una fede incarnata nella storia concreta dei popoli: «Sì, mentre un'economia distorta induce a trattare gli uomini come merce - ha scandito Leone nella sua omelia - Dio si fa simile a noi, rivelando l'infinita dignità di ogni persona. dominare sul prossimo, Dio vuole diventare uomo per liberarci da ogni schiavitù. Ci basterà questo amore, per cambiare la nostra storia?».

«La risposta viene appena ci destiamo, come i pastori - ha proseguito il pontefice - da una notte mortale alla luce della vita nascente, contemplando il bambino Gesù. Sopra la stalla di Betlemme, dove Maria e Giuseppe, pieni di stupore, vegliano il neonato, il cielo stellato diventa "una moltitudine dell'esercito celeste”. Sono schiere disarmate e disarmanti, perché cantano la gloria di Dio, della quale la pace è manifestazione in terra: nel cuore di Cristo, infatti, palpita il legame che unisce nell'amore il cielo e la terra, il Creatore e le creature».

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