Dopo il naufragio con almeno 27 morti, decine di dispersi e 60 sopravvissuti, sull’isola “porta d’Europa” continuano gli sbarchi. Ong e opposizione rilanciano l’appello per una missione di soccorso internazionale nel Mediterraneo Centrale, dove dall’inizio dell’anno sono morte e disperse quasi 700 persone: «Le nostre navi veloci avrebbero potuto soccorrere i migranti, perché nessuno le ha allertate?»
Ha perso il marito e la bambina, che era tra le sue braccia, tra le onde. Viene dalla Somalia, e il suo è uno dei racconti delle 60 persone sopravvissute al naufragio di mercoledì 13 agosto a 14 miglia a sud di Lampedusa. Le vittime accertate al momento sono 27: tra i corpi ritrovati c’è anche quello di una bimba di non più di un anno e mezzo, e quelli di tre adolescenti. E mentre le operazioni di ricerca proseguono, non è chiaro il numero delle persone ancora disperse: tra le 20 e le 40.
La dinamica è confusa. Dai primi racconti raccolti dalle organizzazioni umanitarie nell’hotspot di Lampedusa, dove si trovano 58 sopravvissuti (altri due uomini sono stati trasferiti in ospedale ad Agrigento), sono due le imbarcazioni in vetroresina partite nella notte di martedì dalla Libia. In totale a bordo ci sono tra le 92 e le 97 persone. A un certo punto uno dei due barconi inizia a imbarcare acqua e alcune persone - in parte o tutte? - si trasferiscono sull’altro. Che, stracarico, si capovolge. A intervenire sono i mezzi di Guardia Costiera, Finanza e Frontex. La procura di Agrigento apre un fascicolo per naufragio colposo.
Vengono da Pakistan, Egitto, Sudan, Somalia. Ventuno sono minorenni stranieri non accompagnati, principalmente egiziani. «Le condizioni fisiche sono abbastanza buone», spiegano dalla Croce Rossa a Domani. «Le persone stanno bene, anche se ancora molto scosse e tristi e addolorate per aver perso amici, in alcuni casi familiari, durante il viaggio. La nostra equipe multidisciplinare si sta occupando di loro, anche attraverso attività di supporto psicologico».
Le ong: «Si poteva evitare»
Sull'isola “porta d’Europa” non si fermano gli sbarchi dopo il naufragio, con l’arrivo nelle ultime ore di più di 150 persone. Al momento all’hotspot di contrada Imbriacola ci sono, dice la CRI, 240 persone in totale: 158 adulti, 18 donne, 64 minori. Vengono soprattutto da Bangladesh, Egitto e Somalia.
«Dobbiamo dire le cose come stanno: si poteva evitare», tuona Mediterranea Saving Humans con il capo missione Luca Casarini. «Il governo, da Matteo Salvini a Matteo Piantedosi fino alla premier Giorgia Meloni, si rifugia dietro frasi di circostanza per riproporre la solita formula: colpa dei trafficanti di esseri umani. Perché, chiedo a Meloni, non avete diramato in tempo un alert a tutte le navi presenti in quel tratto di mare, in modo da far convergere verso quell'imbarcazione più mezzi possibili?», dice Casarini.
«Le nostre navi veloci avrebbero potuto soccorrere i naufraghi, ma nessuno le ha allertate. Perché?», si chiede l’ong Sea-Watch. «La nostra Aurora e altre ong, se indirizzate, avrebbero potuto soccorrere le persone in pochi minuti. Qualcuno sapeva della presenza di quelle barche?».
Nel frattempo in mattinata a Salerno è arrivata la nave di Sea-Watch con 71 persone salvate in mare, tra cui 40 minori (38 minori stranieri non accompagnati) e due donne incinte. Otto ragazzine sarebbero vittime di tratta. «Abbiamo sempre chiesto un rafforzamento delle operazioni di ricerca e salvataggio. Auspichiamo un meccanismo regionale europeo, un supporto forte al Sistema Paese Italia», dice a Domani Filippo Ungaro di Unhcr.
«Una strage senza immagini»
Secondo l'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) almeno 370 persone sono morte e 300 risultano disperse nel Mediterraneo centrale dall'inizio dell'anno al 9 agosto. Oltre 14mila sono le persone nello stesso periodo intercettate in mare e riportate in Libia. Per l'Agenzia Onu per i rifugiati le vittime nel Mediterraneo centrale sono il 70 per cento di quelle di tutto il Mediterraneo. E la Libia resta il primo paese di partenza, il 90 per cento degli arrivi via mare in Italia.
«Strage senza immagini: zero dalla Guardia Costiera in mare, zero dal porto di Lampedusa», chiosa su X Sergio Scandura, cronista di Radio Radicale e uno dei maggiori esperti di tracciamento di navi e aerei. «Serve a far passare “in cavalleria” questo ennesimo dramma. Parlarne al massimo mezza giornata, nascondere i corpi dei vivi e dei morti: evitare al governo un altro incubo stile Cutro. Ciao».
Anche Casarini rilancia sulla necessità di «un piano di soccorso vero, invece che incentivare l'omissione di soccorso come strumento per i respingimenti e usare i naufragi come deterrenza alle partenze, che ci saranno comunque». Il governo «smetta di collaborare con i capi dei trafficanti, e faccio un nome per tutti: Almasri». E, «una volta per tutte, di fare la guerra alle navi di soccorso, sottoposte continuamente a provvedimenti di fermo amministrativo pretestuosi, o inviate in porti lontani per allontanarle dal mare, dove servirebbe la loro presenza».
Questa è «una strage frutto di politiche sbagliate, politiche emergenziali della propaganda», dice Nicola Fratoianni di Avs. «Serve una missione internazionale di ricerca e soccorso. E risposte strutturali a una questione strutturale come l'immigrazione, non certo ricette populiste ciniche ed inefficaci».
«Bisogna espandere le vie legali», prosegue Ungaro. L'Italia «si è dotata di una legge sui corridoi lavorativi innovativa che funziona: rifugiati in paesi terzi vengono formati da aziende italiane e poi arrivano qui dopo un'adeguata formazione di settore e linguistica».
Unhcr a giugno ha certificato 122 milioni di persone in fuga da conflitti e persecuzioni. Dieci anni fa erano la metà. Invece «dei tagli brutali ai finanziamenti umanitari», «bisogna andare alla radice dei conflitti, e investire nello sviluppo dei paesi limitrofi che ospitano il 70 per cento delle persone».
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