Dopo l’approvazione in giunta della delibera che segna l’avvio ufficiale del progetto del nuovo stadio, nelle prossime settimane è atteso il voto in consiglio comunale che potrebbe consegnare definitivamente le chiavi del quartiere San Siro a Milan e Inter. Ma mentre l’iter amministrativo sembra ormai destinato a un esito positivo restano molte ombre: i documenti parlano di un nuovo distretto esclusivo sul modello di CityLife, il Meazza viene archiviato come un costo eccessivo nonostante progetti alternativi e la proprietà reale dei club rimane avvolta in catene societarie difficili da decifrare.

Gentrificazione

In un documento consegnato il 12 giugno dalle due società, e rimasto confidenziale fino a ora, accanto a render e planimetrie già note, compare per la prima volta un paragone che finora era rimasto implicito: quello con CityLife. Un riferimento che appare come un’indicazione chiara di quella che sarà la direzione del progetto. Prendendo come modello l’esempio più evidente di gentrificazione a Milano, trasformato in un distretto residenziale di lusso, si mette nero su bianco l’intenzione di trasformare radicalmente il quartiere.

Un indirizzo che sembra essere confermato dall’analisi dell’impatto dell’opera, realizzata da uno studio di consulenza e allegata al documento di giugno. Il testo parla di un impianto da circa 71mila posti immerso in un grande parco urbano, connesso da piste ciclabili e percorsi pedonali. L’insieme viene presentato come occasione di rigenerazione e rilancio, ma l’impatto è valutato in termini economici: occupazione, indotto, capacità di attrazione. Nelle oltre 50 slide di presentazione, infatti, l’accento è posto quasi esclusivamente su come la realizzazione del progetto potrebbe portare introiti stimati intorno ai tre miliardi, tra ricadute dirette e indirette, con la creazione di circa 16mila posti di lavoro.

I richiami al tessuto sociale restano marginali: poche note generali su «attività culturali e formative» o sul «maggior presidio» del quartiere. L’impatto positivo viene fatto coincidere con l’afflusso di 11,6 milioni di visitatori annui, «pari agli accessi al quartiere CityLife di Milano, configurando l’area come un nuovo centro cittadino». Una platea che dovrebbe soggiornare nel nuovo hotel «di livello medio-alto, almeno quattro stelle e circa 350 camere», e muoversi tra uffici, negozi e spazi verdi a disposizione dei «3.500 nuovi residenti» previsti con il progetto residenziale nell’ex Ippodromo del trotto. Sembra, insomma, che mentre a parole si parla di un’opportunità per tutto il quartiere, nella pratica si pianifica un vero e proprio nuovo distretto esclusivo che sostituisca il vetusto e popolare San Siro.

Lo stadio Meazza

L’idea di riqualificare il Meazza è stata immediatamente accantonata dalle squadre. Tra le motivazioni che hanno portato i club a questa scelta vi è il fatto che «richiederebbe costosi interventi strutturali e i lavori della durata di 3-4 anni comporterebbero lo spostamento delle squadre, causando perdite economiche». Due dati che, però, sembrano contraddire quanto emerso in questi anni durante il lungo dibattito sul destino del Meazza.

Nel documento depositato a Palazzo Marino a marzo, erano stati proprio Milan e Inter a stimare un costo per la ristrutturazione di circa 428,4 milioni, circa la metà di quanto costerebbe la realizzazione di un nuovo impianto. E non solo: uno studio di fattibilità proposto da WeBuild evidenzia chiaramente la possibilità di giocare le partite casalinghe a San Siro anche durante lo svolgimento dei lavori. Eppure il Meazza sembra sempre più destinato a sparire per lasciare spazio al più proficuo nuovo impianto realizzato da zero secondo le esigenze delle squadre. Del vecchio stadio rimarrà in piedi circa il nove per cento: la curva sud e una parte del secondo anello arancio. Il resto sarà demolito entro il 2031.

Le proprietà

Resta ora da superare l’ultimo ostacolo del voto in aula che si terrà entro la fine del mese. Ma se i club si dicono ottimisti tra banchi del consiglio comunale restano molte le voci contrarie a questa operazione, anche all’interno della maggioranza. A tenere banco è anche la questione relativa alla proprietà dei due club: «Le catene di controllo delle squadre - ha dovuto ammettere il comune nelle conclusioni della delibera di mercoledì - sono particolarmente complesse e coinvolgono decine di società costituite in diverse giurisdizioni. Trattandosi di documentazione riservata, le squadre non ne hanno consentito la visione».

Il comune non conosce nel dettaglio gli assetti societari dei due club, e la verifica si è limitata a chiedere una conferma che gli investitori finali non abbiano poteri di decisione diretta sugli atti di gestione. Una garanzia formale, che non risolve l’opacità delle catene societarie. A Milano, insomma, si potrebbe dare il via libera a un’operazione che cambierà il volto della città senza disporre di un quadro trasparente su chi siano i soggetti che, in ultima istanza, controlleranno il futuro del nuovo distretto.

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