È un numero che fa tremare anche chi è abituato all’aritmetica cinica della finanza pubblica: 700 miliardi di euro. È quanto l’Italia dovrebbe spendere nei prossimi dieci anni per portare la spesa militare “pura” al 3,5 per cento del Pil, secondo lo scenario delineato dall’Osservatorio Mil€x a seguito dell’accordo siglato da Giorgia Meloni al vertice Nato dell’Aia. Un impegno colossale, che implica aumenti di bilancio da 6-7 miliardi ogni anno. In altre parole: una manovra finanziaria intera, ripetuta per un decennio, dedicata esclusivamente al riarmo.

Oggi la spesa militare italiana si attesta intorno ai 35 miliardi annui, pari all’1,57 per cento del Pil. Per raggiungere il 3,5 per cento entro il 2035, come stabilito nel nuovo obiettivo Nato, la spesa dovrà quasi triplicare, superando i 100 miliardi all’anno. Nello scenario tracciato da Mil€x, questo aumento avverrà in modo progressivo, con nuovi stanziamenti da reperire ogni anno attraverso la legge di bilancio: 6-7 miliardi in più, ogni anno, per dieci anni.

La crescita non riguarderebbe genericamente la “sicurezza”, ma investimenti diretti in armamenti, mezzi, munizioni, missioni all’estero, stipendi e pensioni del personale militare. Non parliamo quindi di infrastrutture dual use o cybersicurezza finanziate con il Pnrr, ma di spesa militare “core”, con il relativo impatto su bilancio, debito e priorità strategiche.

Riallocazione strutturale

Nel 2025, secondo il ministero dell’Economia, la spesa per la sanità ammonterà a 136,5 miliardi di euro (6,05 per cento del Pil), mentre quella per l’istruzione, basata su stime storiche e proiezioni del ministero dell’Istruzione, è prevista intorno agli 80 miliardi (3,54 per cento del Pil). Secondo il percorso graduale descritto da Mil€x, la spesa militare salirà dai 39 miliardi previsti nel 2025 fino a 102,5 miliardi nel 2035, superando in valore assoluto la spesa per l’istruzione nel decennio.

Con una crescita del Pil stimata attorno al 2,7 per cento annuo, la quota del bilancio statale assorbita dalle spese militari passerebbe dal 3,49 per cento all’8,63 per cento, con un incremento di oltre cinque punti percentuali. Si tratta di una riallocazione di risorse di dimensione strutturale, destinata a comprimere ogni altro capitolo di spesa corrente.

Secondo l’analisi dell’Osservatorio Conti Pubblici Italiani (Ocpi), l’attuale spazio fiscale italiano è già compresso da un debito pubblico superiore al 137 per cento del Pil e da obblighi europei che impongono una riduzione strutturale del disavanzo. L’introduzione di una spesa strutturale aggiuntiva da 6-7 miliardi annui, come richiesto dallo scenario Mil€x, implicherebbe misure compensative. I percorsi possibili sono tre: aumento della pressione fiscale, nuovo debito o tagli alla spesa corrente.

Nel Documento di economia e finanza 2025, lo stesso Mef riconosce che «il margine di bilancio disponibile per nuove spese permanenti è pressoché nullo», mentre la Ragioneria Generale dello Stato calcola che il 95 per cento delle spese è già vincolato. La capacità di manovra si concentra su poche voci residuali, in gran parte legate a sanità, scuola e assistenza. È in questo contesto che va collocata la scelta militare.

Un solo aumento annuo di 6 miliardi — quanto previsto dallo scenario Mil€x — potrebbe assumere 150mila insegnanti a tempo indeterminato, costruire mille scuole antisismiche da 6 milioni l’una, oppure coprire la spesa per 20 ospedali di medie dimensioni (200-300 posti letto). Secondo i dati Agenas 2024, il costo medio di un ospedale standard italiano è di 250-300 milioni di euro, comprensivo di attrezzature diagnostiche avanzate. La medicina territoriale, prevista dal Pnrr, richiede in media 500 milioni l’anno per mantenere operative 1.350 Case di Comunità, una cifra pari a un solo mese del surplus previsto per il riarmo.

L’intero surplus cumulativo rispetto allo scenario Nato del 2 per cento – circa 260 miliardi in più – equivarrebbe quindi a rifinanziare per due anni l’intero Servizio Sanitario Nazionale ai livelli attuali, oppure a garantire dieci anni di pieno finanziamento per il sistema universitario pubblico italiano, il cui budget complessivo oggi non supera i 13 miliardi annui.

La spesa militare al 3,5 per cento del PIL non è una “scelta tecnica”. È una ridefinizione degli equilibri strutturali del bilancio dello Stato. Secondo le simulazioni di Mil€x, nel 2035 la spesa per la difesa supererà quella per l’istruzione (102,5 miliardi contro 99,6) e si avvicinerà a quella per la sanità (181,6), alterando in modo permanente la composizione della spesa pubblica.

L’adozione del target Nato non può essere rappresentata come un impegno neutro. I numeri indicano un costo di oltre 260 miliardi in più rispetto al già oneroso obiettivo del 2 per cento del Pil. Si tratta di una scelta che, per dimensione e durata, ridefinisce il perimetro delle politiche pubbliche in Italia. In assenza di un dibattito parlamentare esplicito, resta la contabilità a denunciare ciò che la politica preferisce tacere: con 700 miliardi di spesa militare in dieci anni, ogni altro investimento diventa per forza subordinato.

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