Abbiamo chiesto ai lettori di condividere le riflessioni su come difendere l'insegnamento e tramandare i valori del 25 aprile, affinché la memoria della Liberazione continui a vivere nelle nuove generazioni
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Il 25 aprile si celebrano gli 80 anni dalla Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Una ricorrenza che cade nei giorni del lutto nazionale per la morte di Papa Francesco. Una commemorazione che quest’anno viene preceduta da un’ulteriore polemica con il governo, che in occasione del lutto, ha chiesto che le celebrazioni si svolgano con «sobrietà».
Quella del giorno della Liberazione è una memoria da difendere, la cui celebrazione non riesce a coinvolgere i giovani, mentre scompaiono anno dopo anno protagonisti e testimoni diretti della Resistenza.
Le vostre riflessioni
Abbiamo chiesto ai nostri lettori di condividere con noi le loro riflessioni su come difendere l'insegnamento e tramandare i valori fondamentali della Resistenza, affinché queste memorie e valori possano continuare a vivere nelle generazioni future.
Ecco alcune delle vostre risposte
- «Penso che sia necessario e doveroso che la scuola in tutti gli indirizzi a partire dalle elementari dedichi uno spazio al 25 aprile e alla liberazione, è un errore non farlo. Il problema oggi esiste perché c'è molta ignoranza nei giovani e non solo. Io ho ancora una nonna che ha appena compiuto 98 anni ed ha vissuto questo periodo. Ancora oggi mi racconta la sua esperienza ed è mio dovere tramandarla. Oltre alla scuola, la famiglia ha un ruolo importante dove ci siano le condizioni. Viva il 25 Aprile e viva la liberazione!».
- «Sarebbe importante ricordare che coloro che hanno fatto la Resistenza erano uno spaccato considerevole e variegato della società italiana dell’epoca: contadini, operai, professionisti e studenti, motivati dall’antifascismo pur declinato in maniera diversa. A mio parere si è diluita la memoria per il prevalere nella storia collettiva degli aspetti tragici e di sofferenza riflessi nei doverosi omaggi alle lapidi dei caduti. Manca ogni aspetto epico della narrazione, che sottolinei il coraggio di chi ha combattuto per un anno e mezzo contro un nemico organizzato e crudele».
- «Sono figlia di un uomo che ha fatto la campagna di Russia e che ancora dopo decenni sognava di cavalcare nella neve come in un incubo. Mi raccontava di commilitoni con i piedi bruciati dal ghiaccio. Mi raccontava delle parate di regime e del loro ridicolo sfarzo. È stato un maestro elementare e questi racconti facevano parte di quella che oggi si chiama offerta formativa, ma allora per lui era semplicemente la storia narrata da un testimone. Sono figlia di una donna che la mattina dopo la famosa notte del '43 passò, ragazza, davanti al muretto del castello di Ferrara. Vide quei corpi esanimi lasciati a monito e disprezzo. E lei li conosceva. Non capacitandosi dell'orrore aveva pianto per tutta la strada che la separava dal suo lavoro. Suo padre, mio nonno, era allora dipendente del Comune con moglie e quattro figlie a carico. Non poteva certo permettersi di scialacquare il proprio stipendio né tanto meno rischiare di essere licenziato; eppure per anni ,nel più totale segreto anche in famiglia, aveva sovvenzionato con piccolissime somme chi doveva scappare o nascondersi dal regime. Non so se questi fatti possano ancora essere raccontati con lo stesso impatto che avevano le narrazioni dei diretti testimoni e temo che i libri di storia possano essere riscritti in modo truffaldino. Forse solo rivivendoli in prima persona potrebbero creare quel coinvolgimento che fa scaturire la consapevolezza. Appelliamoci dunque al teatro agito dagli studenti ed al lavoro di insegnanti di buona volontà per ricreare quei tempi neri con la stessa intensità, ma senza violenza sangue e dolore».
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«Come trasmettere ai giovani i valori della Resistenza? Con l'esempio, la costante memoria, le parole. Ogni anno, ogni giorno, per tutto il tempo di un anno. Così non avrebbe poi molta importanza anche se non si presenziasse alla commemorazione del 25 aprile. Perché dovrebbe essere memoria collettiva tutti i giorni».
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