La secolare lotta contro le malattie della vite oggi ha una risposta nuova e sostenibile: Piwi, acronimo di Pilzwiderstandsfähig, che in tedesco significa "resistente ai funghi". I vitigni Piwi sono degli ibridi creati incrociando la vitis vinifera e possiedono un’alta resistenza alle malattie fungine
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La secolare lotta contro le malattie della vite oggi ha una risposta nuova e sostenibile: Piwi, acronimo di Pilzwiderstandsfähig, che in tedesco significa "resistente ai funghi", in particolare a peronospora e oidio. Queste due malattie fungine sono arrivate in Europa dal Nuovo mondo nella seconda metà del XIX secolo, in un periodo in cui i vigneti del vecchio continente hanno conosciuto anche la devastazione provocata dalla fillossera.
La prima risposta alle nuove minacce è stata fornita dai progressi scientifici dei primi decenni del XX secolo. La Prima guerra mondiale si è rivelata, infatti, un grande laboratorio per la chimica, impiegata in modo massiccio per realizzare esplosivi e gas tossici. Le nuove sostanze sintetizzate in quel periodo, hanno costituito la base per la successiva produzione di fertilizzanti, diserbanti e fitofarmaci, che hanno radicalmente cambiato il volto delle campagne, dando vita a un’agricoltura chimico-industriale.
Via dalla chimica
Anche se l’inizio di una diversa visione del rapporto con la terra e l’universo risale agli scritti degli anni Venti di Rudolf Steiner, solo a partire dagli anni Settanta si è progressivamente affermata la necessità di abbandonare la chimica per abbracciare i principi dell’agricoltura biologica e biodinamica. Un cambiamento che considera la viticoltura parte di un ecosistema più ampio, complesso e interconnesso, da gestire in armonia. Il ritorno all’utilizzo solo di zolfo, rame e di altri principi naturali, ha riportato al centro della vigna il rispetto per l’ambiente. Questa visione culturale si sta diffondendo in modo sempre più ampio anche grazie alla maggiore sensibilità nei confronti delle tematiche green delle nuove generazioni. I vini biologici e biodinamici sono sempre più apprezzati e anche il successo del movimento dei cosiddetti vini naturali, si inserisce in questa prospettiva.
Oggi il mondo della viticoltura è pronto a fare un altro passo in questa direzione. I vitigni Piwi sono degli ibridi creati incrociando la vitis vinifera con delle varietà di vite asiatica o americana, che possiedono un’alta resistenza alle malattie fungine. Poiché i principali trattamenti in vigna hanno proprio l’obiettivo di contrastare queste patologie, i vitigni Piwi possono essere coltivati senza utilizzo o con un numero limitatissimo di trattamenti.
Chiariamo subito che i Piwi non sono Ogm, frutto di modificazioni genetiche, ma nascono da semplici incroci tra piante tramite impollinazione e successiva selezione dei semi. I primi incroci di questo tipo risalgono al periodo della fillossera, con l’obiettivo di creare delle viti resistenti all’attacco del piccolo insetto. Tuttavia queste varietà producevano vini di scarsa qualità. Da allora si è fatta molta strada e gli attuali vitigni Piwi sono il frutto di un lungo processo di studio. I vitigni nati da un primo incrocio tra vitis vinifera e viti asiatiche o americane vengono poi incrociati altre 7 o 8 volte, fino ad arrivare a un patrimonio genetico tra il 95 per cento e il 99 per cento di vitis vinifera, in modo da garantire vini di eccellente livello. Una viticoltura rivoluzionaria, che non necessità di sostanze chimiche e non inquina l’ambiente.
Risparmio e fertilità
Non utilizzare trattamenti, vuol dire anche non dover usare trattori in vigneto per nebulizzare prodotti, con un risparmio energetico e un miglioramento della qualità e fertilità dei suoli, che non vengono compattati dal frequente passaggio di pesanti mezzi meccanici. I vitigni Piwi sono quindi anche molto più economici a livello di costi di gestione. Richiedono poche attenzioni e pochissime ore di lavoro in vigna. Inoltre hanno il vantaggio di poter essere coltivati anche in zone fortemente antropizzate, senza pericolo d’inquinare l’ambiente.
L’obiezione più comune quando si parla di Piwi riguarda la qualità dei vini. Come sempre accade con le novità, ci si scontra con pregiudizi e scetticismo. Non bisogna commettere l’errore di paragonare i vini Piwi a quelli realizzati con uve tradizionali, che hanno alle spalle secoli di storia. I Piwi sono vitigni giovani e ancora tutti da scoprire, sia da un punto di vista agronomico che enologico.
L’esperienza gustativa
Ci vorranno ancora molti anni per valorizzarne il loro potenziale o per creare altre varietà sempre più interessanti dal punto di vista qualitativo. Tuttavia già oggi si possono assaggiare vini Piwi molto buoni, capaci di offrire un’esperienza gustativa nuova e unica. Per motivi storici, i vitigni Piwi sono particolarmente presenti in Germania, in Italia sono coltivati soprattutto in Trentino Alto-Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Abruzzo, Emilia Romagna e Marche. Nel Registro Nazionale Italiano sono attualmente iscritte 36 varietà Piwi atte alla vinificazione, 18 a bacca bianca e 18 a bacca rossa.
Oggi rappresentano una quota marginale della viticoltura, coprono circa 3.600 ettari, pari allo 0,5 per cento del vigneto italiano, ma stanno crescendo rapidamente. I Piwi rispondono alla crescente domanda di sostenibilità e sono in sintonia con il mood contemporaneo. Sono particolarmente adatti ai vigneti vicini ai centri abitati o per recuperare alla viticoltura zone di montagna impervie e faticose da lavorare, che con il cambiamento climatico si stanno però rivelando sempre più interessanti. In un prossimo futuro, i Piwi potrebbero affiancarsi in modo più significativo alle varietà di vitis vinifera e magari rientrare anche in alcune Doc o Docg, come già è accaduto in Germania. La loro storia è solo all’inizio.
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