La Corte costituzionale ha depositato le sentenze sull’inammissibilità dei tre quesiti referendari sugli otto depositati: cannabis, fine vita e responsabilità diretta dei magistrati.

Le decisioni erano già state ampiamente anticipate e spiegate dal presidente della Consulta, Giuliano Amato, in una lunga conferenza stampa. Tuttavia, ora è possibile conoscere nel dettaglio la valutazione dei giudici.

La decisione più controversa riguarda il referendum sulla cannabis: Amato aveva spiegato che il quesito modificato si riferiva in realtà a tabelle che prevedevano altre sostanze, diverse dalla canapa. I proponenti, invece, ritenevano non ci fosse alcun errore materiale.

Cannabis

Nella sentenza 51/2022 la Consulta ha stabilito che il quesito poneva problemi rispetto ai vincoli internazionali, su cui non si può proporre referendum secondo l’articolo 75 della Costituzione.

La Corte ha ricordato che la cannabis è già stata oggetto di due altre iniziative referendarie, entrambe dichiarate inammissibili per ragioni di violazione dei vincoli internazionali. In questo caso, i promotori hanno specificato che una violazione non ci sarebbe stata perché la proposta aveva un obiettivo molto più circoscritto, perché legato solo alle condotte “domestiche” nell’utilizzo della sostanza stupefacente.

Ma «questa lettura riduttiva non è ricavabile dal testo normativo secondo gli ordinari canoni interpretativi».

In particolare – questo il punto più controverso per i promotori – la Corte sottolinea che 

«in ragione della reviviscenza del testo vigente prima della legge n. 49 del 2006 nel contesto normativo di cui si è detto sopra sub punto 4, la condotta di coltivazione si riferisce testualmente alle Tabelle I e III dell’art. 14, che concernono le droghe “pesanti” e non già la cannabis, la quale è compresa invece nella Tabella II.

Quindi la condotta di chi «coltiva», prevista dal comma 1 dell’art. 73, è testualmente quella relativa alle piante indicate nella Tabella I (la Tabella III non ne contiene alcuna): il papavero sonnifero e le foglie di coca; inoltre, in mancanza di specificazioni, si tratta della coltivazione tout court, quale che sia la sua estensione, pure agraria e finanche massiva».

Tradotto: il quesito, qualora accolto, renderebbe coltivabili sostanze definite “pesanti” e non la cannabis e questo risultato contrasta apertamente con i vincoli sovranazionali.

«In definitiva, mentre apparentemente, per quella che è la dichiarata intenzione del Comitato, il quesito referendario mirerebbe soltanto a depenalizzare la coltivazione, non agricola ma domestica “rudimentale” (o minimale), della canapa indiana (cannabis), in realtà esso – per quello che è invece il suo contenuto oggettivo, l’unico rilevante – per un verso produrrebbe un risultato ben più esteso, riguardando direttamente ogni coltivazione delle piante per estrarre sostanze stupefacenti cosiddette “pesanti” (papavero sonnifero e foglie di coca) e indirettamente anche la coltivazione, agricola o domestica che sia, della pianta di canapa; risultato complessivo precluso dai vincoli sovranazionali sopra richiamati che non consentono l’ammissibilità di un referendum di questa portata».

Per questo la Corte ha definito la proposta «fuorviante per il corpo elettorale», che non sarebbe chiamato ad esprimersi sulla coltivazione della cannabis in forma domestica, ma a un quesito molto più ampio e poco chiaro.

Eutanasia

La sentenza 50/2022 sull’eutanasia, invece, dichiara inammissibile il quesito referendario perchè la norma risultate non garantirebbe più una tutela minima del diritto alla vita.

Secondo la Consulta, l’effetto del ritaglio dell’articolo 579 del codice penale sull’omicidio del consenziente, produrrebbe l’effetto di «rendere penalmente lecita l’uccisione di una persona con il consenso della stessa, fuori dai casi in cui il consenso risulti invalido per l’incapacità dell’offeso o per un vizio della sua formazione».

Con il risultato che «la norma verrebbe a sancire, all’inverso di quanto attualmente avviene, la piena disponibilità della vita da parte di chiunque sia in grado di prestare un valido consenso alla propria morte, senza alcun riferimento limitativo».

Anche in questo caso, quindi, il quesito sarebbe fuorviante rispetto a come presentato dai promotori perchè la legalizzazione dell’omicidio del consenziente «non risulterebbe affatto circoscritto alla causazione, con il suo consenso, della morte di una persona affetta da malattie gravi e irreversibili».

Infatti, le motivazioni con cui chiedere la propria morte «non dovrebbero risultare necessariamente legate a un corpo prigioniero di uno stato di malattia con particolari caratteristiche, potendo connettersi anche a situazioni di disagio di natura del tutto diversa (affettiva, familiare, sociale, economica e via dicendo), sino al mero taedium vitae, ovvero pure a scelte che implichino, comunque sia, l’accettazione della propria morte per mano altrui».

Responsabilità diretta dei magistrati

La sentenza 49/2022 ha dichiarato inammissibile il quesito sulla responsabilità diretta dei magistrati perchè considerato manipolativo e creativo, quindi non solo abrogativo come prevede la Costituzione.

Questo perchè «l’introduzione dell’azione civile diretta nei confronti del magistrato senza alcun filtro, in conseguenza di un impiego della cosiddetta tecnica del ritaglio» introdurrebbe «una disciplina giuridica nuova, mai voluta dal legislatore, e perciò frutto di una manipolazione creativa».

Infatti, il ritaglio di alcune parole dalla legge oggetto di referendum non produrrebbe il riespandersi di una precedente normativa in materia e quindi voluta dal legislatore, ma creerebbe una nuova fattispecie mai prevista prima.,

Secondo la Consulta, infatti, la figura del magistrato è «peculiare», perchè così prevista dalla Costituzione, e una responsabilità civile in capo ad essa «non si presta alla piana applicazione della normativa comune vigente in tema di responsabilità dei funzionari dello Stato».

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