È iniziata oggi l’udienza preliminare davanti al gup di Brescia, in un processo che si preannuncia molto teso, dal quale emergeranno dettagli ancora mancanti sulla trasmissione indebita dei verbali sulla presunta loggia Ungheria, che ha infiammato la procura di Milano e il Consiglio superiore della magistratura. 

Gli imputati sono l’ex consigliere del Csm, Piercamillo Davigo e il pm milanese Paolo Storari, entrambi accusati di rivelazione del segreto d’ufficio. Storari, infatti, ha portato a Davigo i verbali di interrogatorio dell’ex legale di Eni Piero Amara che contenevano rivelazioni sulla presunta loggia e i suoi membri, chiedendo consiglio di fronte a quella che secondo lui era una inerzia della procura di Milano nell’iscrizione della notizia di reato.

A porte chiuse è stato interrogato per oltre tre ore Storari, il quale avrebbe rivendicato la correttezza delle sue scelte, spiegando di aver consegnato i documenti a Davigo per autotutelarsi, in quanto il suo ufficio non gli avrebbe consentito di procedere con le indagini.

L’udienza è stata rinviata al prossimo 7 febbraio, quando l’esame verrà reso da Davigo. Poi, il 17 febbraio, ci saranno le discussioni dei pm Donato Greco e Francesco Milanesi, i quali rinnoveranno la richiesta di mandare a giudizio gli indagati.

L’udienza pubblica negata

Un episodio è indicativo del clima del processo: Davigo ha chiesto che l’udienza si svolgesse a porte aperte, una richiesta fatta durante l’udienza preliminare in cui la gup Federica Brugnara è chiamata a decidere sul rinvio a giudizio.

«A prescindere dal fatto che la Corte europea dei diritti dell'uomo dice che la pubblicità è di per sè una garanzia e siccome in questa vicenda c'è un interesse pubblico e io non ho nulla da nascondere pretendo che l'udienza venga fatta a porte aperte», ha detto Davigo in una pausa d’udienza.

La sua istanza, però, non è stata accolta dal giudice e quindi si svolgerà a porte chiuse. Questa del resto è la prassi per l’udienza preliminare, tecnicamente un’udienza che si svolge in camera di consiglio, dunque non aperta al pubblico.

In corso d’udienza, inoltre, è stata ammessa la costituzione di parte civile dell’attuale consigliere del Csm, Sebastiano Ardita. La sua presenza nel processo si giustifica col fatto che il nome di Ardita fosse nei verbali di Amara e che proprio a causa di questo la notizia è diventata pubblica.

I verbali segreti, infatti, oltre a venire ceduti da Storari a Davigo, sono anche stati trafugati dallo studio di Davigo e inviati sia ad alcune testate giornalistiche che al consigliere del Csm Nino Di Matteo, che ne ha dato pubblica informazione durante un plenum del Csm, citando le informazioni considerate diffamatorie contenute nei confronti di Ardita. 

«Senza le condotte illecite compiute dai due imputati, Ardita non avrebbe subìto la massiva infamante divulgazione di quelle informazioni riservate», ha detto l’avvocato Fabio Repici, che difende Ardita.  Per questo la consegna dei verbali avrebbe determinato «evidenti danni» ad Ardita, il quale ritiene che la condotta di Davigo sia stata dolosa, «addirittura con il precipuo fine di screditare il ruolo istituzionale di consigliere del Csm rivestito da Ardita e la sua immagine personale e professionale».

Le accuse

Nell’avviso di conclusione delle indagini del 6 ottobre scorso, la procura di Brescia ha scritto che Storari ha agito «al di fuori di ogni procedura formale, per lamentare presunti contrasti», e che tale comportamento sia avvenuto «in assenza di una ragione d'ufficio che autorizzasse il disvelamento del contenuto di atti coperti dal segreto investigativo e senza investire i competenti organi istituzionali deputati alla vigilanza sull'attività degli uffici giudiziari».

Sulla questione della presunta inerzia della procura di Milano il tribunale di Brescia ha già archiviato la posizione dell’ex procuratore capo di Milano, Francesco Greco, che era accusa di omissione di atti d’ufficio (ancora aperta, invece, l’indagine sulla procuratrice aggiunta Laura Pedio).

Nei confronti di Davigo, invece, l’ipotesi accusatoria è che l’ex membro del Csm, «violando i doveri inerenti alle proprie funzioni ed abusando della sua qualità di componente del CSM, pur avendo l'obbligo giuridico ed istituzionale di impedirne l'ulteriore diffusione , ne rivelava il contenuto a terzi», tra cui l’ufficio di presidenza del Csm, il procuratore generale di Cassazione Giovanni Salvi e anche il presidente della commissione Antimafia, Nicola Morra.

Cosa succederà

Nel processo, quindi, si incrociano alcune tra le vicende più imbarazzanti che hanno colpito la magistratura nell’ultimo anno: lo scandalo non ancora chiarito e l’esistenza o meno della loggia Ungheria; i veleni nella procura di Milano ai margini del processo Eni, nell’ambito del quale erano stato sentito l’avvocato Amara; lo scambio di informazioni coperte da segreto d’ufficio dentro il Csm, coinvolgendo anche la presidenza della Repubblica.

La storia ha ancora moltissime zone d’ombra, in cui le versioni dei protagonisti configgono. Nel corso dei prossimi mesi, la verità giudiziaria potrebbe far luce sui fatti. Nell’attesa c’è da capire l’esito dell’udienza preliminare che deciderà le sorti di Davigo e Storari: saranno rinviati a giudizio o prosciolti?

Una cosa però è certa. La sensazione è che entrambi i magistrati puntino a rendere il processo il più pubblico possibile. Per primo Davigo, che ha detto di voler essere ascoltato pubblicamente per offrire a tutti la sua versione dei fatti. 

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