Care lettrici, cari lettori

la settimana si è conclusa con un grosso caso scoppiato al Csm, nella newsletter trovate tutti i dettagli: a crearlo è stata la conferenza stampa indetta dal vicepresidente Fabio Pinelli, che ha snocciolato i dati di efficienza del consiglio ma ha anche attaccato il suo predecessore, con uno scivolone istituzionale che è arrivato fino al Colle che del Csm è presidente.

In settimana, poi, sono arrivate anche la relazione sullo stato della Giustizia del ministro Carlo Nordio e in parlamento stanno procedendo alcuni progetti di legge importanti, dalle intercettazioni all'abuso d'ufficio.

Sulla relazione di Nordio, ho intervistato il segretario di Area, Giovanni Zaccaro, che ha commentato soprattutto la riforma dell’abuso d’ufficio e il rischio in materia di intercettazioni.

Dal punto di vista dei commenti, invece, questa settimana interviene il ricercatore dell'Università di Torino, Paolo Caroli, che analizza per quanto già si può dire la sentenza a Sezioni unite della Cassazione sul saluto romano.

La conferenza stampa di Pinelli

Il 18 gennaio, il vicepresidente del Csm Fabio Pinelli ha tenuto una conferenza stampa, la prima della storia del Csm, in cui ha illustrato la relazione sul lavoro svolto nel 2023. Ricca di dati che qui si possono leggere nel dettaglio, la conferenza stampa gli è servita per sottolineare il recupero dell’efficienza del Csm a fronte della grande mole di arretrato prodotta dagli anni precedenti.

Esauriti i numeri e le slides sulla riduzione dell’arretrato, però, sono state le considerazioni successive di Pinelli ad aprire un caso politico con il Quirinale.

«Il Csm aveva perso la sua funzione di organo di alta amministrazione, assumendone una di impropria attività politica», e quasi di «terza camera», ha detto Pinelli. Invece, lui la avrebbe riportata a quella di «consiglio che fornisce servizi in tempi rapidi, così da recuperare anche il rapporto di fiducia coi cittadini».

Parole che forse, nell’intento iniziale, avrebbero dovuto essere una critica aspra alla precedente vicepresidenza – il laico Ermini era del Pd, Pinelli è laico eletto in quota Lega – ma in realtà coinvolgono in modo pesante il Quirinale. (Qui trovate una ricostruzione più accurata dei fatti).

Sergio Mattarella, infatti, è il presidente del Consiglio superiore della magistratura e ogni funzione del vicepresidente è a lui delegata. In altre parole, qualsiasi critica sulla gestione del Csm 2018-2022 investe direttamente il Colle, che ha avuto un ruolo fondamentale di guida dell’organo anche attraverso la presidenza pubblica del plenum proprio nei giorni difficili dello scandalo dell’hotel Champagne, allontanando l’ipotesi dello scioglimento del consiglio. 

«Il Colle non ha mai autorizzato funzioni diverse, ma si deve ricordare che al Csm è accaduto qualcosa, con cinque consiglieri dimessi e il rischio scioglimento. Non dirlo sarebbe ipocrita», e di qui sarebbe sorta a sua «opportuna riflessione sulla natura del consiglio», visto che il precedente avrebbe avuto un «deragliamento» non solo nella gestione dei lavori, ma anche «nei pareri politici». Poi, ha concluso, rincarando la dose, «nell’ultima parte della consiliatura, il Csm ha perso l’orientamento rispetto alle sue prerogative».

Le sue critiche al consiglio precedente adombrano di fatto una responsabilità del Colle nell’aver permesso al passato Csm di svolgere un presunto ruolo che costituzionalmente non gli era proprio. Non un’accusa da poco, che però per ora il Quirinale non ha voluto commentare, per evitare di aprire fronti.

L’intento sembrerebbe quello di non buttare benzina sul fuoco di una polemica che ha già iniziato a dispiegare i suoi effetti e in questa direzione in serata è arrivato anche un comunicato chiarificatore dello stesso Pinelli: «Non ho mai affermato che il Consiglio abbia in passato tradito il proprio mandato costituzionale, cosa che peraltro sarebbe stata impedita dall’intervento del Presidente della Repubblica».

Acqua tardiva su un fuoco ormai acceso. I membri del consiglio accusato da Pinelli hanno infuocato la chat che era rimasta silenziosa per mesi ed Ermini, chiamato in causa, ha parlato di «accuse gravissime» e che «tutte le nostre scelte sono sempre state effettuate avendo come punto di riferimento il Quirinale e la Costituzione».

Le reazioni del gruppi associativi

L’effetto delle parole di Pinelli è stato quello di provocare una durissima reazione dei consiglieri togati del Csm. A stretto giro rispetto alle parole del presidente, in 13 componenti (Francesca Abenavoli, Marcello Basilico, Marco Bisogni, Maurizio Carbone, Genantonio Chiarelli, Antonello Cosentino, Roberto D’Auria, Roberto Fontana, Michele Forziati, Antonino Laganà, Domenica Miele, Tullio Morello, Dario Scaletta) – tutte Area, Unicost, Md, Scaletta di Mi e l’indipendente Fontana - hanno scritto un comunicato in cui dicono che «Non sappiamo su quali basi fattuali e giuridiche il vice presidente fondi tali discutibili affermazioni. È certo che noi non le condividiamo minimamente, né in relazione alla lettura del ruolo costituzionale del Csm che esse sottendono, né in relazione al giudizio sull’operato dello scorso Consiglio, che ha dovuto affrontare gravi e delicate vicende mantenendosi sempre nei limiti delle proprie prerogative».

La reazione (articolata) di Mi

Il giorno successivo è intervenuta anche Magistratura indipendente, la corrente conservatrice che in quest’anno di lavoro si è trovata più in sintonia coi laici di centrodestra, con ben due comunicati.

Il primo, firmato da componenti del Csm nella passata consiliatura Loredana Miccichè, Antonio D’Amato, Paola Maria Braggion e Maria Tiziana Balduini: «La consiliatura 2018/22 ha lavorato moltissimo, ha introdotto prassi virtuose, partire dalla trattazione delle nomine in ordine cronologico delle vacanze, ha gestito l’emergenza pandemica negli uffici, ha subito ed ha resistito ai tentativi di condizionamento della politica. Sono stati realizzati importanti interventi in materia ordinamentale riguardati le circolari sull’organizzazione degli uffici giudicanti e requirenti, sulla conferma dei dirigenti, sulla mobilita e sulle assenze dei magistrati”. Ci spiace che l’attuale vice presidente, con le dichiarazioni rilasciate in conferenza stampa, continui a ricordare solo i momenti difficili della scorsa consiliatura, senza dare atto ne’ del lavoro svolto, ne del suo contributo per la tenuta dell’ Istituzione».

Il secondo, invece, firmato dagli attuali consiglieri Paola D’Ovidio, Edoardo Cilenti, Maria Vittoria Marchianò, Maria Luisa Mazzola, Bernadette Nicotra e Eligio Paolini: «I sottoscritti Consiglieri, in relazione alle dichiarazioni rese dal Vicepresidente avv.to Pinelli nella conferenza stampa tenutasi ieri alle ore 12.00 presso il Consiglio Superiore della Magistratura, prendono atto delle opportune precisazioni e puntualizzazioni che sono seguite da parte dello stesso Vicepresidente. Sulle questioni istituzionali occorre equilibrio e ponderazione, nei toni come nei contenuti. Il prestigio e la centralità dell’organo di governo autonomo della magistratura si difendono dimostrando, nelle scelte concrete, che l’unico criterio guida è l’interesse delle istituzioni e della giurisdizione. A questo principio è informata la nostra attività quotidiana ed è così che intendiamo tutelare l’istituzione consiliare, nella consapevolezza della enorme responsabilità che grava su ciascuno di noi nonché nella doverosa distanza da posizioni facilmente strumentalizzabili per fini diversi da quelli strettamente istituzionali. Vogliamo infine esprimere il massimo rispetto e apprezzamento per il lavoro svolto in condizioni difficili da chi ci ha preceduto nel governo autonomo della magistratura.

Il problema della Scuola superiore della magistratura

E’ stato infuocato fino all’ultimo il dibattito (con accuse di nuovo correntismo) in Sesta commissione per la nomina dei sei membri della Scuola superiore della magistratura che spettano al Csm.

Alla fine, i nomi da proporre al plenum sono stati trovati (con voto di 4 componenti su 6, astenuto Dario Scaletta di Mi e Claudia Eccher, componente laica di centrodestra): Roberto Giovanni Conti, Loredana Nazzicone e Gian Andrea Chiesi, per il settore civile; Vincenzo Sgubbi, Fabio Di Vizio e Roberto Peroni Ranchet, per il penale.

A questa decisione è seguito un comunicato di Area (che con Marcello Basilico ha la presidenza della commissione): «Preceduta dal clamore di gravi e sconsiderate dichiarazioni pubbliche di alcuni consiglieri, la votazione della Sesta commissione ha ieri indicato i sei magistrati componenti del Comitato direttivo della Scuola superiore della magistratura. In attesa della stesura della motivazione della delibera e del Plenum successivo, vogliamo dare conto sinteticamente di un lavoro condotto nel rispetto di una sola regola di fondo: la valutazione dei curricula dei candidati, alla luce dei criteri indicati dal bando e dell’esigenza di garantire un direttivo improntato al pluralismo professionale e culturale». Qui trovate il comunicato completo, per leggere la ricostruzione fornita.

Il ddl Nordio

La commissione Giustizia del Senato ha concluso l’esame del ddl Nordio, che a fine mese arriverà in aula. Nella sua versione finale, il testo (che trovate nella precedente newsletter) vede queste aggiunte:

L’emendamento che prevede che, nelle comunicazioni tra chi è coinvolto in un procedimento e il suo avvocato, è vietato il sequestro non più solo della corrispondenza cartacea, ma di ogni tipo di comunicazione: via sms, whatsapp, e-mail e qualsiasi altra modalità di scambio di messaggistica anche via social.

Approvato anche l’ordine del giorno Zanettin (che prima era un emendamento), impegna il governo a riformare gli articoli del Codice di Procedura penale che disciplinano la procedura di selezione dei ricorsi per Cassazione (art.610 e 615) per «prevedere che una volta non rilevata una causa di inammissibilità dei ricorsi da parte del Presidente, con conseguente assegnazione all'apposita sezione, le sezioni giurisdizionali non possano più procedere alla declaratoria di inammissibilità dei medesimi ricorsi». In altre parole, si ridurrebbe la possibilità di dichiarare l'inammissibilità dei ricorsi che non siano stati ritenuti inammissibili in sede di spoglio, con ricadute anche sulla prescrizione dei reati.

Prescrizione

La riforma della prescrizione, la quinta in sette anni, è stata approvata alla Camera e ora andrà al Senato e prevede di riportare tutti i gradi sotto il sistema della prescrizione sostanziale, con una sospensione dei termini di decorrenza: per 24 mesi dopo la condanna in primo grado e di 12 mesi dopo la conferma in appello.

Viene quindi cancellata la “doppia” prescrizione introdotta dalla riforma Cartabia: sostanziale, e dunque calcolata sugli anni di pena, per il primo grado; processuale, invece, per l’appello e la cassazione, con un tempo massimo di due anni e un anno per giungere a sentenza, a pena di improcedibilità.

Il sistema – non ottimale perché rischiava di caducare in appello molti procedimenti nelle corti con maggiori difficoltà organizzative – si andava a inserire in una più complessiva riforma del processo penale: rispettare gli obiettivi europei di riduzione del 25 per cento della durata dei processi.

A un anno dall’implementazione della riforma Cartabia, il monitoraggio ha dimostrato che il tempo di conclusione dei procedimenti è calato del 29 per cento superando quindi il target Pnrr. Ora la nuova modifica rischia di invertire la rotta.

Il parere del Csm

In testo sulla prescrizione era già in approvazione alla Camera quando è arrivato il parere del Csm, sostanzialmente positivo anche se con la richiesta – simile a quella delle corti d’appello – di prevedere una norma transitoria.

«In un frangente nel quale l'urgenza di restituire efficienza al sistema giudiziario penale costituisce un obiettivo imposto anche dagli impegni concordati con l'Europa sembrano ricorrere pregnanti ragioni per l'adozione di una specifica disciplina transitoria, che d'altra parte, ha sovente accompagnato le modifiche in materia di prescrizione. I vantaggi di una disciplina transitoria sarebbero plurimi». La riorganizzazione legata alla nuova norma sulla prescrizione «sarebbe prevedibilmente molto onerosa in quanto l'individuazione dei procedimenti da trattare con priorità richiederebbe la preventiva ricostruzione del regime di prescrizione e/o improcedibilità applicabile ad ognuno di essi» e «Al fine di scongiurare tali possibili evenienze sarebbe opportuno completare l'intervento normativo con la previsione di un regime transitorio, il cui perimetro di ammissibilità è ben definito alla luce della giurisprudenza costituzionale, con riferimento sia agli aspetti migliorativi che peggiorativi di una nuova disciplina».

Relazione sulla giustizia di Nordio

Nella sua relazione sullo stato dell’amministrazione della Giustizia, il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha affrontato tutti i temi all’ordine del giorno: intercettazioni; cancellazione dell’abuso d’ufficio; separazione delle carriere; carcere. Qui trovate la relazione con maggiore dettaglio.

La parte più rilevante ha riguardato le intercettazioni, su cui il ministro ha detto che «tra le spese di giustizia, una parte molto significativa è costituita dalle intercettazioni. Dico subito che non saranno mai toccate le intercettazioni che riguardano criminalità organizzata, terrorismo e i reati di grande allarme sociale, ma una razionalizzazione della spesa è necessaria».

In particolare, ha spiegato, «un decreto ministeriale ha individuato le prestazioni funzionali alle operazioni di intercettazione e per la determinazione delle relative tariffe», per evitare che ogni procura pagasse cifre diverse per il servizio. Il decreto è entrato in vigore nel 2023 e prevede l'adozione di un tariffario unico, valido per tutti gli uffici giudiziari che rende i compensi obbligatori e vincolanti.

Non solo, però. Il ministro ha ribadito la sua storica posizione: le intercettazioni sono «strumento indispensabile» per le indagini su reati gravi, evidenzia il ministro, ma se ne fa «un uso eccessivo, sproporzionato nel numero e nei costi rispetto ai risultati, e la loro spesa sfugge al controllo».

Il monitoraggio sulla presunzione di innocenza

Il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro, ha fatto sapere che sono in atto monitoraggi, all’interno delle ispezioni ordinarie iniziate a settembre, nelle procure di di Avellino, Brescia, Cagliari, Catanzaro, Ferrara, Frosinone, Latina, Livorno, Rimini, Rovigo, Tempio Pauania, Torino e Vercelli.

I monitoraggi riguardano il rispetto della legge di delegazione europea per attuare la direttiva sulla presunzione di innocenza (approvata nel governo Draghi, qui per un approfondimento e una valutazione critica del segretario di Unicost, Stefano Latorre) sul fatto che solo il procuratore capo possa parlare coi giornalisti, con conferenze o comunicati stampa, attenendosi al principio di presunzione di non colpevolezza. In particolare, verranno verificati gli atti motivati per indicare l’interesse pubblico, necessari per interloquire con la stampa, ha spiegato Delmastro.

Toghe al lavoro fino a 73 anni

La Lega ha ritirato l’emendamento al ddl Giustizia (sulla riforma dell’ordinamento giudiziario) sul trattenimento in servizio dei magistrati fino al compimento del settantatreesimo anno di età su domanda dei diretti interessati, che dava la possibilità di tornare in servizio anche al personale già in pensione presentando domando entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, in questo caso con il solo trattamento pensionistico, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. L’emendamento aveva ricevuto parare negativo del governo.

Eppure l’idea non dispiace ad alcuni magistrati. Uno a non aver mai fatto mistero di considerarla una soluzione all’attuale emergenza della carenza di toghe è stato il procuratore capo di Napoli, Nicola Gratteri, che considera utile (come ha detto in questa intervista a Domani) utile richiamare i magistrati in pensione sia per il lavoro quotidiano che al posto dei fuori ruolo. In audizione in commissione Giustizia, infatti, ha detto che «Rispetto all'attività dei fuori ruolo, ancora una volta privilegiati in questa riforma, le possibilità devono essere ancora più stringenti visto che mancano circa 1.700 magistrati in pianta organica» e «quello che stanno facendo oggi i magistrati fuori ruolo lo potrebbero fare i magistrati in pensione. Ci sono tanti magistrati di altissimo livello in pensione che potrebbero essere utilizzati».

Sentenza SS UU sul saluto fascista

Per il saluto romano va contestata la legge Scelba per apologia al fascismo. Così hanno deciso le Sezioni unite della Cassazione, che hanno disposto un processo di appello bis per otto militanti di estrema destra che avevano compiuto il saluto nel corso di una commemorazione a Milano nel 2016.

«La “chiamata del presente” o “saluto romano” è un rituale evocativo della gestualità propria del disciolto partito fascista, integra il delitto previsto dall'articolo 5 delle Scelba, ove, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, sia idonea a integrare il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista», è stata la valutazione dei giudici della Suprema corte.

Inoltre «a determinate condizioni può configurarsi anche la violazione della legge Mancino» che vieta manifestazioni esteriori proprie o usuali di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, «i due delitti possono concorrere sia materialmente che formalmente in presenza dei presupposti di legge».

A chiedere l'intervento delle sezioni unite erano stati i supremi giudici della prima sezione penale con l'obiettivo di sciogliere il dubbio e mettere il punto su una questione su cui finora si sono susseguiti diversi orientamenti.

La decisione, quindi, chiarisce che – perchè si configuri il reato – il saluto romano deve essere accompagnato da circostanze che dimostrino come, in concreto, ci sia un pericolo di riorganizzazione del partito fascista. Una interpretazione quindi caso per caso e gli indagati potranno sostenere che il saluto sia stato fatto con finalità commemorativa.

Nuovi vertici Magistratura indipendente

Conclusa la prima parte dell’assemblea nazionale di Magistratura indipendente

Eletti per acclamazione sono stati Claudio Galoppi: segretario generale; Loredana Miccichè: presidente magistratura indipendente e Antonio D’Amato: presidente del consiglio nazionale.

Nomine al Csm

Il Plenum del consiglio superiore della magistratura, nella seduta di ieri, ha votato alcune nomine ai vertici di uffici giudiziari. Carlo Maria Zampi è il nuovo procuratore generale di Trieste: la sua nomina è stata votata con una astensione. Nominato all'unanimità il nuovo presidente della Corte di Appello di Trento, Eugenio Gramola. Voto unanime per il nuovo procuratore di Spoleto, Claudio Cicchella e per il presidente del Tribunale di Forlì, Massimo Di Patria. Nominati all'unanimità anche i presidenti del Tribunale per i minorenni di Ancona Sergio Vincenzo Attilio Cutrona, e di Bari, Valentina Montaruli.

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