Qualche reazione scomposta me l’aspettavo ma, sinceramente, non pensavo che arrivassero a certe grossolane allusioni, a così tanti insulti sui social. E solo per avere espresso un’opinione e ricostruito i fatti per come li ho vissuti trenta e passa anni fa, giù a Palermo. Ritorno sul dossier “mafia e appalti” dei carabinieri dei reparti speciali, un rapporto che per qualcuno è la vera causa dell’uccisione del procuratore Paolo Borsellino e che per altri è al contrario un diversivo per non indagare sui reali moventi che hanno innescato le stragi dell’estate del 1992. Ma non voglio parlare del movente di quei massacri, quanto piuttosto dei feticci dell’antimafia, della “religiosità” dell’antimafia. Ho paura che non ce ne libereremo facilmente: è come una condanna “fine pena mai”.

Riassumo brevemente la vicenda. Giovedì 18 agosto ho pubblicato sul Domani un’analisi-racconto sul rapporto del Ros del generale Mario Mori, documento contestatissimo che oggi viene rilanciato come la “miccia” per l’attentato del 19 luglio. Sul contenuto del dossier ho manifestato i miei dubbi, credo con garbo e dando conto di ogni versione, ricordando qualche dettaglio utile per decifrare il contesto nel quale quel rapporto era nato e le anomalie che presentava. E per completezza di informazione: il dossier era firmato dallo stesso ufficiale accusato e assolto per avere trattato con Cosa Nostra, dallo stesso ufficiale accusato e assolto per non avere perquisito il covo di Totò Riina, dallo stesso ufficiale accusato e assolto di non avere arrestato Bernardo Provenzano. Tutto per non far venire giù l’Italia e mantenere un dialogo con la parte più “buona” della mafia.

Sapevo che la materia “mafia e appalti” era scivolosa ma ho sottovalutato la “religiosità” delle fazioni dell’antimafia. Non sono le differenti opinioni a turbarmi, sono le certezze assolute del popolo dell'antimafia che mi sconvolgono, oggi come ieri. Un popolo che ha sempre l’esigenza di avere punti di riferimento semplici e chiari in vicende che di semplice e chiaro hanno praticamente nulla, che ha sempre bisogno di simboli che possano metterlo al riparo dal ragionamento. Se fino a qualche mese fa la “verità” più gettonata era la trattativa stato mafia con i carabinieri dei reparti speciali cattivi, adesso i cattivi sono diventati quasi santi per sentenza (fra l’altro, molto contraddittorie le motivazioni) e il nuovo totem è il dossier “mafia e appalti” che ciclicamente viene resuscitato come si fa nei miracoli. Le verità assolute sono intercambiabili da un verdetto all’altro e da una stagione all’altra, non importa se distanti anni luce: importante è credere. Se non c’è fede non c’è antimafia.

Le rimostranze dei fan

Mi ha molto colpito la violenza di un paio di alcuni fan di quel dossier. Secondo loro dovrei fornire date e luoghi di miei incontri con il giudice Falcone su conversazioni in merito al rapporto “mafia e appalti”, dovrei giustificare cronache di trent’anni fa sul falso pentito Vincenzo Scarantino con informazioni ricavate da atti giudiziari, dovrei dimostrare a illustri sconosciuti quali erano i miei rapporti - tra il 1980 e il 1992 - con i magistrati del pool antimafia di Palermo quando facevo il cronista in Sicilia. Mi dispiace anche che l'avvocato Fabio Trizzino, il legale che rappresenta la famiglia Borsellino, abbia usato toni nei miei confronti un po’ sopra le righe, certo che sarò “come tanti altri benpensanti condannato dalla Storia”. Storia con la S maiuscola. In questo mondo dell’antimafia sono le maiuscole che quasi sempre fanno la differenza. È sempre la fede che spinge a scrivere ai campioni delle urla e dei like Giustizia e la Nostra Terra, Uomini e Sacrificio, Eroi ed Eroismo.

Eppure i fatti sono lì, per quanto complessi e attorcigliati come lo sono sempre gli intrighi di mafia e quelli degli apparati, sono lì a disposizione per essere sviscerati e dibattuti. Troppo faticoso, troppo tortuoso. È più facile scegliere la strada corta. E spingersi a immaginare, anzi dare per scontato, un maxi complotto giudiziario per insabbiare “mafia e appalti” (tenendo tutti all’oscuro Borsellino) ai danni dei carabinieri senza macchia e senza paura che volevano spazzare via il marcio dalla Sicilia.

Maxi complotto al quale avrebbero partecipato procuratori di sensibilità professionali diverse, in rapporti non idilliaci fra loro, comunque in combutta per seppellire le “prove” delle complicità fra personaggi politici e imprenditori e mafiosi intorno alle opere pubbliche sull’isola. Come sempre il mondo diviso in due: il bene e il male.

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