La prima volta che ho sentito le parole “cambiamento climatico” è stato in seconda elementare, quando ci hanno spiegato la conformazione fisica della terra. Ricordo chiaramente la maestra che, indicando la parte bianca della cartina geografica del mondo, appesa al muro, disse «e questi sono i ghiacciai, che si stanno sciogliendo a causa del cambiamento climatico».

Il fantomatico cambiamento climatico è stato quindi, nella mia testa, per molti anni, un uomo da solo al polo nord, con il phon acceso in mano, impegnato fisicamente a sciogliere la parte bianca del mappamondo. Successivamente questa immagine fu sostituita dalla straziante foto dell’orso polare abbandonato su un lembo di ghiaccio ai confini del mondo. Chissà se quell’orso sta ancora lì a vagare guardando i fotografi con sguardo incriminatorio per suscitare reconditi sensi di colpa.

Va da sé che io abbia sempre pensato che la crisi climatica fosse una faccenda che interessasse prevalentemente orsi, pinguini, foche e, al massimo, leoni marini. Mi era chiaro che la questione però dovesse coinvolgere anche noi, abitanti del mondo non glaciale, ma non mi era esattamente chiaro in che modo. 

Noi

Negli ultimi anni ho iniziato a collegare questa immane tragedia che pende sulle nostre teste con la raccolta differenziata ma, anche lì, senza sapere bene come il fatto di dividere accuratamente in tre parti il tetrapack potesse salvare quei poveri orsi senza più ghiaccio. Certo, mai avrei immaginato che, lungi dall’essere un problema dei produttori dei Polaretti, potesse impattare in maniera determinante sulle nostre vite. E quando dico «impattare sulle nostre vite» intendo lo scenario post apocalittico delle mondo in Ken Shiro. 

Alla fine il cambiamento del clima si è abbattuto su di noi con la violenza di tua madre quando ti lanciava le ciabatte addosso da piccolo. La pioggia è diventata più rara di un influencer che non usi la parola “resilienza”, il caldo ci avvolge come se fossimo costantemente nel forno di Cannavacciuolo, e i mari sembrano affaticati come me dopo due ore di workout online da casa con 40 gradi. 

Mi sembra chiaro che gli spot con gli orsi polari e i comizi di Greta Thunberg non siano stati poi molto efficaci: il cambiamento climatico è arrivato e non c’è alcuna intenzione di fermarlo. Se è vero che la gente sembra preoccuparsene è anche vero che i leader mondiali sono più interessati a giocare con i carri armati stile inizi Novecento, che non a risolvere la questione. Perciò ho pensato di fare quello che mi hanno sempre consigliato di fare nella vita: se non puoi uscire dal tunnel, arredalo. 

Arredare il disastro

Visto che il disastro è inevitabile, guardiamo gli aspetti positivi.

Gli amanti dell’estate (di cui faccio parte) saranno accontentati. Potranno avere quattro mesi ininterrotti di temperature da deserto del Sahara, senza l’angoscia di dover portarsi dietro il maglioncino la sera perché «più tardi farà freschino». Il freschino è un concetto che non esisterà più. E io ne sono francamente felice. Almeno, fino a quando non morirò per un colpo di pressione bassa. 

Non serviranno più gli ombrelli. Questo oggetto utilissimo ma terribilmente scomodo, che ci ha tormentati per secoli, diventando sinonimo di giornate tristi e uggiose, sparirà dal commercio, per la gioia di tutti gli estroversi che odiano la pioggia. In compenso servirà produrre degli strumenti che possano proteggerci dalla grandine violentissima che ci pioverà sulla testa a cadenza quindicennale, in qualunque stagione. 

Non esisteranno davvero più le mezze stagioni. Ma neanche le stagioni. A malapena resisteranno le settimane, e non ne sono sicura. 

I medici non ci costringeranno più a bere due litri e mezzo di acqua al giorno. Visto che non ci sarà più acqua. Per farli contenti ci basterà riassumere i liquidi espulsi tramite la sudorazione. Un perfetto sistema di riciclo. Come quello che avremmo dovuto usare negli ultimi 50 anni al posto di distruggere il pianeta e tentare di far estinguere la nostra specie.

Tutti quelli che dicono, da anni, sui social, «estinguetevi», saranno accontentati. Solo che si estingueranno anche loro. Ipotesi che non avevano mai considerato.

La natura si riprenderà i suoi spazi. Soprattutto gli orsi polari che, dopo anni di sfruttamento per spot televisivi, potranno finalmente andare a vivere nel luogo dei loro sogni: le celle frigorifere abbandonate. 

Smetteremo di lamentarci delle guerre, delle pandemia e di Sanremo. 

Nessuno litigherà più per lo schwa. E questa, forse, è la notizia migliore. 

© Riproduzione riservata