È noto che la politica italiana ha il dono di rendere verosimili anche le ipotesi più improbabili. Rientrano in questa categoria i rumors che prevedono una destra, vincente nella tornata elettorale, proporsi poi con un profilo di governo più moderato avvicinandosi a identità catalogate come di sinistra fino a poco tempo fa.

Nessuno può sapere se accadrà, ma il fatto stesso che questi scenari non vengano esclusi ci fa riflettere su un fattore che non possiamo trascurare: lo smarrimento dell’elettore di fronte a una visione della cultura politica più confusa rispetto a quella che si aspetterebbe di trovare rappresentata dai simboli sulla scheda.

Visioni opposte

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Parliamo di “visione” perché, per renderci conto di quanto si sia modificata la nostra, è utile rileggere il saggio di Thomas Sowell intitolato A Conflict of Visions. L’economista americano parte dalla Scuola di Atene di Raffaello per dividere gli uomini in due famiglie. Così Aristotele e la sua mano stesa sulla terra sono il simbolo dei “constrained”, i “vincolati”, in cui si identifica chi riconosce quanto l’umanità sia pervasa da avidità ed egoismo che solo leggi e istituzioni possono arginare. In questo mondo, retto dal Leviatano di Hobbes, l’evoluzione della società diventa un processo lento che avviene fisiologicamente a piccoli passi, tutti molto controllati.

Platone, con il suo dito verso il cielo, ci parla invece degli “unconstrained”, i “non vincolati”. I sognatori da Voltaire a Marx, la cui fiducia nella buona natura degli uomini permette di lasciare alla loro immaginazione il compito di creare i cambiamenti verso una società migliore. L’evoluzione di questa passa spesso da repentine prove di forza.

Radicalismo provocatorio

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Sowell scrive il suo saggio nel 1987, nel pieno della reaganomics. È un uomo del 1930, ritiene che le visioni utopiche dei non vincolati abbiano portato ai campi di sterminio e ai gulag. Un ventennio dopo definirà pericoloso persino lo “Yes we can” di Obama. Il suo è un radicalismo provocatorio. In fondo anche Marx e Voltaire si sono trovati a dover accettare leggi e a constatare che le rivoluzioni si fanno per il pane prima che per le idee.

Tuttavia riflette la visione politica del conservatorismo della Guerra fredda, incarnato, oltre che da Reagan, anche dalla Thatcher, dai neogollisti francesi e dalla stessa Dc. Anni in cui il progressismo era ancora vicino al socialismo reale e auspicava di provocare un cambiamento esiziale della società neoliberista, vista troppo rigida per regole e pensiero.

Un cambio di paradigma

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Oggi sembra che, più che continuare il loro eterno conflitto, le visioni di vincolati e non vincolati tendano a mischiarsi. Chi si identificava nel conservatorismo si trova rappresentato da forze politiche che pretendono il cambiamento radicale della società. Il loro linguaggio, il dichiararsi alternativi ad un passato di immobilismo, l’urgenza di arrivare al potere per il cambiamento della società le collocano insolitamente vicino a quei sognatori così criticati da Sowell. Anche quando sono repubblicani Usa e si chiamano Trump, o Tory inglesi che vogliono staccarsi dall’Europa.

Dall’altra parte, chi era abituato a votare per idee capaci di incendiare lo status quo, si ritrova a chiedere ai propri leader il «dimmi qualcosa di sinistra» di morettiana memoria. La cultura politica in cui si ascrivevano i non vincolati pare sempre più rappresentata da un conservatorismo impegnato a far progredire, in modo oculato e senza strappi, le conquiste economiche e sociali della globalizzazione. I democratici Hilary Clinton o Joe Biden hanno incarnato proprio questo establishment compassato e concreto.

E adesso tocca a noi, ma forse all’ingresso del seggio, più che chiederci se siamo vincolati o non vincolati, sognatori o realisti, finiremo per domandarci dove sia la politica e dove siano le nostre visioni.

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