Il senso di vergogna è persino più antico del senso di colpa. È un’emozione ancestrale che riguarda il legame tra l’individuo e il suo gruppo di appartenenza: fa in modo che questi adotti una condotta più opportuna e schiva al fine di prevenire un’eventuale espulsione per qualcosa che ha detto o fatto. Se così è, non dovremmo forse salutare come una buona notizia quella secondo cui Trump proverebbe vergogna per quanto potrebbe emergere dagli “Epstein files”?

In fondo, sarebbe una prova, quantunque indiretta, che anch’egli possiede una coscienza, almeno in una versione più arcaica e rudimentale. Ma credo sia vano illudersi: c’è da dubitare che la sua sia autentica vergogna e che possa dunque segnalare un qualche remoto segno di resipiscenza. Si tratta piuttosto di un problema intimamente politico, relativo al rapporto atavico del potere con i propri miti fondativi.

Dopo un iniziale irrigidimento, Trump ha via via ceduto alle pressioni della base Maga per arginare il grave e diffuso sospetto di implicazione. Con la consueta capacità di dire tutto e il suo contrario, ha quindi ribaltato la strategia: egli non avrebbe nulla da temere dai documenti segreti di Epstein, tant’è vero che aveva da tempo interrotto ogni rapporto con il finanziere per i crescenti sospetti sulla sua scabrosa condotta.

Ma non c’era bisogno di questo ennesimo episodio per farsi un’idea piuttosto chiara della concezione trumpiana della donna. Basterebbe guardare a vicende ben note, come il caso della scrittrice E. Jean Carroll, vittima accertata di abuso sessuale e di successiva diffamazione, in cui la donna emerge quale oggetto inerte a libera disposizione del piacere maschile; oppure quello recentissimo del «quiet, piggy» rivolto ad una giornalista, formula che sintetizza la visione trumpiana della donna come animale di infima natura, indegno di parola.

Certo – si dirà – il caso Epstein solleva il tema, ben più spinoso, della violenza sessuale su minori, considerato un crimine rivoltante persino dai più disinvolti sostenitori di Trump. Ciononostante, l’atteggiamento trumpiano, che con tutta evidenza lambisce la crisi nervosa, va analizzato in termini squisitamente politici, prima e più che morali.

La riottosità del presidente rischiava di mettere a repentaglio quel che a tutt’oggi gli consente di mantenere compatta la sua base al di là di qualsiasi accusa ai suoi danni, comprovata o meno che sia, vale a dire la capacità di incarnare una narrativa a un tempo complottista e irredentista. Il caso Epstein offre una sorta di compendio dei miti fondativi Maga, come la grande bugia, il deep state e la teoria della sostituzione.

Epstein fa da prova tangibile dell’esistenza di una forza malvagia, anzi demoniaca, acquartierata tra le file del Partito democratico, particolarmente dedita al traffico sessuale, che passa il suo tempo orchestrando piani a danno del popolo bianco americano. Proprio come la leggenda del “nonno ebreo” di Hitler, fatta circolare dal gerarca nazista Hans Frank, secondo cui un nipote del dittatore minacciava costui di rivelare le sue ascendenze ebraiche, il coinvolgimento di Trump potrebbe rappresentare una rottura senza precedenti con la narrativa che ne ha suggellato il legame identitario col popolo Maga.

Questo, tuttavia, ci consente una qualche nota consolatoria. Forse per la prima volta, Trump ha dovuto sperimentare il fatto che non tutto possa venire continuamente rinegoziato e ridescritto a piacimento. Persino quando si tratta di una narrativa artificiale, deformata, radicata in una mistura indigeribile di fandonie, come quelle che si trovano a coesistere nella fantasiosa piattaforma Maga, neppure a Trump è concesso di rivederne i contenuti.

Per non incrinare l’immagine di leader messianico, crismato direttamente dal Padreterno, privo dunque di peccato, egli ha dovuto tener fede al patto fondativo che lo lega al suo popolo. Il che, se si vuole, offre una lezione di filosofia politica in pillole: il consenso non è mai solo personale (benché certo la persona conti e come), ma necessita di contenuti. Quel che preoccupa è che, come dimostrano i miti Maga, questi contenuti possono essere distantissimi da qualsiasi parvenza di verità.

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