Era antifascista in ogni gesto, in un guizzo di intelligenza, di ironia. Testimone di una vicenda collettiva. A sedici anni, nel gennaio 1944, aveva detto: voglio aiutare papà. Voglio entrare nella Resistenza. Ora ne aveva quasi 98, ma dentro di sé ancora correva in bicicletta. Era allegra, anti-retorica, una donna felice
Era partigiana, «partigiana combattente». «Per un anno ho fatto la partigiana nella guerra di Liberazione, poi tutta la vita». Nella sua casa, nel quartiere romano di Cinecittà, appariva piccola, fragile, i capelli candidi, ma quando ti abbracciava era poderosa, come la storia che aveva attraversato, pedalando, guardando avanti, sempre. Era antifascista in ogni gesto, in un guizzo di intelligenza, di ironia. Testimone di una vicenda collettiva. «Grazie per avermi citato per nome e cognome, con sorpresa e commozione», mi scrisse una volta. «Penso a tutte le altre e gli altri che sarebbero da ricordare, perché la lotta non è mai finita. Anzi, ora più che mai è indispensabile».
Poco più di un anno fa, eravamo alla biblioteca nazionale di Roma per presentare la sua autobiografia, arrivò e mi afferrò sottobraccio a passo spedito, impaziente di parlare a centinaia di ragazze e ragazzi che alla fine la acclamarono come una popstar. È rimasta la ragazza che a sedici anni, nel gennaio 1944, aveva detto: voglio aiutare papà. Voglio entrare nella Resistenza. Ora ne aveva quasi 98, ma dentro di sé ancora correva in bicicletta, «come il vento di primavera» della canzone di Vinicio Capossela. Il vento non lo puoi fermare, Teresa Vergalli era il vento della Liberazione, non ha mai smesso di soffiare.
«Sono partita da casa che mi chiamavo Teresa, sono arrivata in montagna come Anuska». Teresa Vergalli, nata in un solaio, a Bibbiano, l'11 ottobre 1927, Anuska la staffetta partigiana, se n'è andata verso sera. Come tante e tanti, aveva scelto la Resistenza come moto di coscienza, di repulsione verso il fascismo, che aveva perseguitato il papà, socialista e poi comunista. Sfogliava le foto, lei accanto a Nilde Iotti in uno dei primi comizi. Mostrava con orgoglio il “certificato al patriota” firmato dal generale americano Alexander dopo la Liberazione, per festeggiare aveva comprato un piccolo orologio.
«Le donne erano state al pari degli uomini, nelle battaglie e nel freddo. Dopo la guerra furono rimesse al loro posto. Nella pace noi donne contavamo meno degli uomini». Le sarebbe piaciuto il mestiere di giornalista, aveva tutto, la sintesi, la battuta affilata, la curiosità sconfinata, dal pratone su cui si affacciavano le sue finestre alle donne iraniane, è stata maestra, insegnante, con l'associazionismo nell'Udi la scuola è stata il luogo dove proseguire la Resistenza.
«Per me un modo altro di fare la stessa cosa: guardare avanti». Senza paura, come si chiamava un giornalino da lei promosso, il titolo lo avevano scelto i bambini: avere paura non serve a niente. Rifiutava di consegnare la Liberazione al museo: «La libertà è aggredita da tante parti. Dalla dimenticanza, molti non amano ricordare la guerra partigiana e le colpe orribili del fascismo. La dimenticanza è quasi una sconfitta. Ma lo è anche la retorica».
Teresa era anti-retorica, ridacchiava di sé, era l'opposto dei tetri fascisti di ieri e dei lividi anti-antifascisti di oggi. Era allegra, una donna felice della sua famiglia, l'amatissimo marito Claudio, «il compagno e l'alleato di idee», i figli Alberto e Corrado, «sono la mia gioia», i nipoti. Forse le sarebbe piaciuto chiudere il libro della memoria, invece la partigiana era tornata a lottare. Sentiva minacciati i diritti di tutti, con il ritorno di discriminazioni, disuguaglianze tra le persone secondo genere, razza, condizioni economiche e sociali. Faceva parte della generazione della Costituzione cui questo Paese deve la democrazia. E la battaglia non finisce mai.
«Il mondo nuovo è sempre il più bel sogno e la più generosa speranza. Con le mie pochissime forze ancora ci spero», mi ha scritto come augurio di inizio anno. Nell'ultimo abbraccio, poche settimane fa, ho sentito come sempre la pulizia, la freschezza del sogno di libertà per cui ha speso la vita. «Non ho mai smentito quello in cui ho creduto. Cocciuta!». Mentre la porta si chiudeva mi è parso di vederla, Anuska, con i capelli neri, correre senza paura. Noi continueremo, Teresa. Voi madri, figlie, sorelle, compagne dell'umanità, ricordateci.
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