La tempesta che ha investito il parlamento europeo ha diversi risvolti. In primis, la corruzione, connessa ovviamente all’evasione fiscale – ma questo non dovrebbe certo scandalizzare noi italiani, avvezzi ad una evasione di massa e conseguenti, generosi, condoni – di cui la foto con la valigia delle mazzette rappresenta emblematicamente il fatto criminoso.

Molto dello scalpore e dell’indignazione discende proprio da questa immagine, talmente esplicita da non richiedere altri commenti. Molto diverso sarebbe stato l’impatto sull’opinione pubblica se fossero emersi solo conti cifrati in qualche paradiso fiscale (che forse emergeranno nel prosieguo di questa inchiesta o in qualche nuova indagine).

La corruzione esercitata (anche) attraverso valigie piene di soldi lascia sorpresi proprio il suo taglio premoderno, come se non vi fossero a disposizione altri strumenti assai più opachi. I cosiddetti Panama Papers, un gigantesco giro di evasione ed elusione fiscale di decine di miliardi che ha coinvolto tanti paesi e nomi celebri, non hanno lasciato alcuna traccia nell’opinione pubblica.

Quella inchiesta sollevò scalpore per qualche giorno e poi è rapidamente uscita di scena, non solo perché conveniva a tanti ma anche perché non c’era un malloppo visibile.

I paesi coinvolti

Il secondo aspetto riguarda i paesi su quali il “traffico di influenza” dei presunti corruttori è stato fin qui rilevato, Qatar e Marocco. Il Qatar è tutt’altro che uno stato canaglia. Occuparsi del paese ospite della coppa del mondo non era certo un azione sulfurea.

I fondi sovrani qatarioti hanno finanziato giganteschi investimenti immobiliari, come a il complesso di Porta Nuova a Milano, ha acquisito partecipazioni in società come Volkswagen e Lagardère, e il controllo di una squadra stellare come il francese Psg.

Inoltre, e assai più importante, il Qatar è entrato nella lista ristretta del Mnna, e cioè dei 17 paesi che gli Stati Uniti riconoscono come alleati importanti, al di là dei membri della Nato: in Qatar c’è una sede del Centcom (un comando strategico degli Usa che supervisiona gli interventi su 20 paesi asiatici e del medio oriente), una grande base americana, ed è stato scelto come sede dei colloqui con i quali Trump ha stretto gli accordi con i Talebani, nonché ha fornito un appoggio logistico fondamentale nella ritirata dall’Afghanistan.

In più, ha sostituito la Russia nel fornire gas all’Europa. Infine, il governo Draghi, attraverso il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, in visita in Qatar non più tardi di tre mesi fa, ha sottolineato «la partnership strategica tra i nostri due paesi» guardando «con fiducia ad altre attività e collaborazioni».

Quindi, l’azione di lobbying in favore del paese arabo esercitato su tre versanti – reputazionale (supposti avanzamenti sui diritti umani), regolamentare (allentamento delle restrizioni ai visti di ingresso), commerciale (accesso incondizionato alle rotte aeree europee) – non confliggeva con le grandi linee della politica estera europea e americana.

Deficit democratico

Più spinosa e intricata la questione dei rapporti con il Marocco dove sono in gioco una serie incrociata di interessi confliggenti all’interno dell’Ue: la questione dl popolo Sarawi del sudest marocchino, che reclama autonomia da decenni anche con azioni militari-terroriste (un po’ come i curdi, mutatis mutandis), i migranti, e i diritti di pesca; anche qui si intrecciano temi squisitamente etico-politici (migranti), economici ( pesca), e geopolitici (Sarawi, che provocano anche tensione montante tra Marocco e Algeria).

Su tutti questi dossier si possono avere posizioni legittimamente diverse anche perché non sono in gioco interessi vitali dell’Unione – e, detto en passant, è stupefacente che dopo anni di allarmi sull’influenza russa non sia venuto fuori nulla da quel versante ben più inquietante e problematico.

Ciò che non è legittimo, ça va sans dire, è farlo dopo aver ricevuto una montagna di soldi. Le attività di lobbying sono regolamentate dal Parlamento europeo tanto che ogni parlamentare che incontra un lobbista deve segnalarlo in un apposito registro telematico con accesso pubblico.

Ma questo non riguarda né gli assistenti parlamentari, né le associazioni – come l’ong fondata dall’ex europarlamentare Antonio Panzeri – che non sono iscritte nel registro ufficiale delle lobby. Una falla che va tappata.

Ad ogni modo, la corruzione svelata fin qui è ben lungi dal mettere in crisi le istituzioni dell’Ue. È la loro rispondenza alle domande dei cittadini europei che conta. È per questo che una riforma complessiva delle istituzioni verso una loro maggiore democratizzazione, lungo l’auspicio formulato da David Marquand fin dal 1979 per superare il “deficit democratico” è necessaria e urgente prima di ogni ulteriore allargamento.

 

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