«L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro e sui nonni» dice Matteo Salvini al teatro Sannazaro di Napoli durante la presentazione dei candidati della Lega in Campania, con collage di “Basta sinistra!” e “Cirielli presidente” alle spalle. «Anzi, sui nonni e sul lavoro» si corregge dopo averci pensato alcuni secondi, forse necessari a ripassare la proprietà commutativa.

Il ministro dei Trasporti, ultimamente distolto dai ponti per giuste cause, come vigorose strette di mano e sorrisi a trentadue denti in posa con Orbán, tra i pregiati stucchi del jolie bouquet di via Chiaia ribadisce un punto fondamentale del suo progetto per il paese: i nonni devono fare i nonni, «senza stare in fabbrica fino a ottantasette anni».

Oltre al tempismo di un discorso pro-nonni che arriva in concomitanza con la proposta di aumento dell’età pensionabile del suo stesso governo – obiettivo 70 anni nel 2067, per parafrasare Morandi, che in pensione dal ruolo di eterno ragazzo non andrà mai: stiamo andando forte –, la speranza del vicepresidente trova qualche attrito anche con le dichiarazioni del collega Lollobrigida, che dal congresso di FdI, nello stesso giorno di quello partenopeo, tira in ballo la parte più âgée dell’Italia.

«La Cgil? È il primo sindacato per numero di pensionati, hanno tanto tempo per manifestare», afferma dall’alto dei Parioli. Non è chiaro, dunque, cosa ci dovremmo fare con questi anziani, patata bollente del welfare nazionale. Se hanno troppo tempo libero è un attimo che diventano antagonisti al fianco dei maranza, se lavorano fino a ottant’anni anni però non possono fare da risorse salviniane per i nipoti senza asili. Una Repubblica fondata sui nonni, sul lavoro e negli ultimi tre anni soprattutto sulla coerenza.

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