Inutile negarlo, c’è un Giorno della memoria prima del 7 ottobre e uno dopo. Il contesto è noto: la guerra seguita al 7 ottobre è stata l’occasione per riproporre antichissimi stereotipi antigiudaici, che hanno assunto nuove vesti nell’immensa sproporzione fra l’attenzione che questo conflitto ha generato nelle opinioni pubbliche occidentali rispetto ad altri, persino più tragici, che si stanno consumando sotto i nostri occhi.

Dalla crisi sudanese, a quanto subiscono i Rohingya in Myanmar, quanto avviene nel Tigray, o nello Xinjiang. Non parliamo di quanto Erdogan sta facendo ai curdi, o di ciò che accade da anni nel Belucistan. Tutto secondo definizione di antisemitismo dell’IHRA (The International Holocaust Remembrance Alliance) adottata anche dall’Italia, che esplicitamente menziona fra i segnali di odio antigiudaico l’attenzione riservata a Israele rispetto agli altri Stati, come dovesse scontare il peccato originale di essere Stato ebraico.

Anche questa è una vecchia storia in un nuovo abito: l’afflato per la giustizia universale si accende solo verso chi sta facendo la guerra contro gli ebrei. Corollario di questo clima già definito dal Rabbino Capo di Milano Alfonso Arbib il peggior momento per gli ebrei occidentali dalla Seconda Guerra Mondiale, un’impressionante sequela di disdette da parte di enti culturali, scuole, università riguardo, si badi bene, non il conflitto, non Israele, ma qualunque incontro contemplasse un argomento vagamente ebraico, come denunciato sulle pagine di Avvenire dalla regista e studiosa di pensiero ebraico Miriam Camerini.

Un cinema milanese ha persino, in un primo momento, declinato la programmazione del docufilm su Liliana Segre del noto regista Ruggero Gabbai, che più di ogni altro ha testimoniato la Shoà italiana. Motivazione: il timore di disordini, come se la vita di Liliana Segre c’entrasse qualcosa con la guerra in Medio Oriente. Se si fosse adottato lo stesso criterio con la minoranza musulmana in Europa durante tutti questi anni post 11 settembre, avremmo ceduto a logiche di importazione del conflitto, alimentando la propaganda estremista di ogni parte. Invece, giustamente, abbiamo fatto a gara a organizzare iniziative che scindessero l’infame binomio islam = terrorismo.

È il grande tradimento del mondo progressista, che, secondo lezione voltairiana, ha voltato le spalle agli ebrei. Tutti, anche i più critici nei confronti del governo israeliano. È il segno più vivo che, senza che ce ne fossimo accorti, ci sono sempre state due Giornate della memoria: una vissuta dalla minoranza ebraica, che commemorava l’unicum assoluto della soluzione finale nazista, l’altra, celebrata all’esterno, trasformava il crimine anti-ebraico per antonomasia in un sempre più generico crimine contro l’umanità, concretizzando quella Shoà senza ebrei già paventata da George Bensoussan.

Su questi binari non si poteva che arrivare al punto più orrido: imputare agli ebrei di comportarsi con gli altri come i nazisti fecero con loro, equiparando eventi incommensurabilmente diversi. Anche questa, una vecchia propaganda resa nuovamente attuale dal conflitto a Gaza. Tutto si può e si deve criticare, ma chiunque capisce che un conto è una logica di guerra fondata sull’eterno ciclo azione-reazione, un’altra è il progetto di morte nazista, unicum proprio perché apparentemente incomprensibile.

Domanda: cosa avevano fatto gli ebrei europei per essere ridotti a fumo che passava dai camini? Terrorismo, eccidi indiscriminati, conteso territori? In fondo, si è riproposta attorno al 27 gennaio la consueta contrapposizione fra universalismo occidentale e universalismo ebraico, troppo spesso relegato a forma di particolarismo etico, a corroborare lo stereotipo dell’ebreo chiuso in se stesso, insofferente alla sorte degli altri.

Finché questi due estremi del crimine universale e dell’esperienza particolare non viaggeranno insieme, la Giornata della memoria potrà persino essere uno strumento capace di alimentare l’antisemitismo, finendo con l’essere percepita come uno scudo protettivo per una minoranza che può permettersi tutto in virtù del suo eterno ruolo di vittima.

In molti avevano avvertito del rischio di una memoria della Shoà sganciata dalla storia dell’antigiudaismo occidentale: avevano ragione. Ed è inquietante constatare come in questo annacquamento della Shoà si incontrino estrema destra ed estrema sinistra: quest’ultima attraverso la strategia della moltiplicazione di giornate del ricordo, la seconda equiparando la Shoà a eventi bellici, che, per quanto tragici, appartengono a tutt’altra logica. Che orrore lasciare gli ebrei soli a ricordare queste ovvietà. Viene da parafrasare Golda Meir: vi perdoneremo per aver strumentalizzato i nostri morti, non vi perdoneremo mai per averci costretto a «contestualizzare» i vostri.

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