Ormai da alcuni anni la data del 25 luglio 1943 - data in cui è stato deposto Mussolini ed è di fatto terminato il ventennio fascista – è diventata una ricorrenza diffusa in tutt’Italia grazie alla celebrazioni che si tengono nella casa dei fratelli Cervi.

La famiglia dei sette martiri, appena appresa la notizia, ha voluto a modo loro festeggiare la fine della dittatura mussoliniana, organizzando per tutta la comunità di Campegine una momento conviviale per celebrare l’evento con una pastasciuttata.

L’importanza del 25 luglio

Il 25 luglio è una data importante, perché in una cronologia che sembra scontata ma senza questa data non ci sarebbe stato l’8 settembre, l’Armistizio con gli Alleati, e quindi anche il 25 aprile; almeno nelle forme con cui ci sono effettivamente state.

Ricordarsi del 25 luglio serve a non dimenticare che i primi che allontanarono e arrestarono Mussolini, - attestandone il fallimento - non furono gli antifascisti, ma gli stessi fascisti e i monarchici, infatti quel giorno convergerono, anche se in maniera separata e differente, le istanze di entrambi questi gruppi.

L’agonia del regime venne certificata dalle sconfitte militari contro gli Alleati che risalivano già all’ottobre del 1942 con la cocente sconfitta di El Alamein in nord Africa, e proseguita fino alla presa di Pantelleria 11 giungo 1943, e resa tangibile agli italiani tra il 9 e il 10 luglio quando gli Alleati sbarcarono sulle coste sud orientali della Sicilia.

L’Italia e Mussolini stavano perdendo la guerra, tutte le parti in causa, real casa, gerarchie fasciste e militari, nonché l’opinione pubblica non sosteneva più la guerra e sopratutto stava venendo meno la fiducia nel duce.

Quelle 24 ore che andarono dalle 17:00 del 24 alle 17:30 del 25 luglio, furono scandite da due eventi: il principale, anche nella durata temporale di 10 ore avvenuto a cavallo tra il 24 e il 25, la seduta del Gran Consiglio del fascismo il cui voto favorevole all’ordine del giorno Grandi, da nome di Dino Grandi all’epoca Presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni,  che di fatto sfiduciò il leader del movimento fascista.

Il secondo, avvenuto nel pomeriggio del 25, l’incontro tra il Re, Vittorio Emanuele III e Mussolini che terminò con la destituzione da capo del Governo e l’arresto di quest’ultimo.

Purtroppo della riunione del Gran Consiglio, come dell’incontro con il Re, non rimane nessun resoconto ufficiale, il duce stesso non ha voluto stenografi che prendessero nota della riunione, tutto quello che sappiamo è dato dalle testimonianze dei presenti, che tra loro hanno anche notevoli discordanze, frutto soprattutto delle posizioni che i singoli dovevano affermare o difendere.

Quello che molti storici ritengono probabile è che i fascisti non erano a conoscenza dei piani dei monarchici e dei militari e viceversa i monarchici non avevano consapevolezza delle perplessità dei fascisti nei confronti dell’operato del duce.

Queste due istanze si unirono nel momento in cui il Re prese coscienza di quello che era avvento durante la seduta del Gran Consiglio che, è bene ricordarlo, non era un organo decisionale, ma solo consultivo in materia politica.

Il Re, che era già propenso a liberarsi di Mussolini, non esitò e prese la palla al balzo, sostituendo il Capo del Governo con il fedele Pietro Badoglio.

Non è quindi possibile sapere con certezza come andarono quelle 10 ore di seduta, quello che è sicuro è l’esito, anche se rimane un punto centrale da capire: se i votanti avessero chiaro o comunque intuissero, che quel voto significava la fine del fascismo e di Mussolini. Il grande storico del fascismo Emilio Gentile, conclude se sue riflessioni sul 25 luglio, scrivendo di “eutanasia del duce”.

Infatti lo stesso riportando le numerose dichiarazioni fatte dai testimoni, sostiene che lo stesso Mussolini, aveva le carte in regola per poter sovvertire l’esito per nulla scontato di quell’incontro.

Aveva sia motivazioni politiche: il fatto che era disposto a cedere la responsabilità militare al Re, che voleva cambiare alcune persone ai posti di comando e non ultimo poteva vantare di essere l’unica persona in grado ottenere qualcosa da Hitler.

Ma oltre a queste “carte” politiche aveva anche una possibile strategia per uscire dalle secche dell’Odg Grandi, ovvero appoggiare l’altro Odg, quello proposto dal Segretario del partito fascista, Carlo Scorza, e unendoli cercare di tenere insieme le varie volontà su una posizione di compromesso.

Fu Mussolini stesso a mettere ai voti l’Odg Grandi, questo fu visto come una sorta di accettazione delle posizioni più critiche verso di lui, anche perché il duce conosceva fin dal 22 luglio il contenuto di quel documento e quindi la messa ai voti interpretata come un benestare verso la richiesta di riconsegnare al re “l'effettivo comando delle Forze Armate di terra, di mare, dell'aria”.

Le mosse del re 

Quello che molti di loro non sospettavano furono i passi successivi del Re. La stragrande maggioranza dei 28 partecipanti al consiglio voleva un passo indietro di Mussolini dal punto di vista militare, perché potesse rimettere al centro del suo operato unicamente l’azione politica.

Ma questo non avvenne: dopo l’arresto di Mussolini e la salita al governo di Badoglio, iniziò il tracollo del fascismo. Il nuovo governo badogliano nella sua prima riunione del 27 luglio 1943 emanò una serie di provvedimenti che evidenziavano un forte cambio di passo.

In breve tempo il primo governo Badoglio decretò lo scioglimento del Partito Nazionale Fascista e di tutte le organizzazioni collegate; la Milizia Volontaria veniva integrata nel Regio Esercito e veniva soppresso il Tribunale Speciale per la difesa dello Stato.

Fu inoltre vietata la ricostituzione dei partiti politici per tutta la durata della guerra. Tramite la circolare Roatta, dal nome dell’allora Capo di Stato Maggiore dell’esercito italiano, furono vietate tutte le manifestazioni e si faceva assoluto divieto ai cittadini di portare distintivi, di esporre bandiere e di riunirsi in pubblico in più di tre persone.

La circolare recita, in un brutale passaggio: “Ogni movimento deve essere inesorabilmente stroncato in origine… si proceda in formazione di combattimento e si faccia fuoco a distanza, anche con mortai e artiglieria senza preavviso di sorta, come se si procedesse contro truppe nemiche.”

La popolazione apprese la notizia in maniera inaspettata, secondo la definizione dello storico e partigiano Paolo Spriano visse una “breve vacanza di libertà” dopo tanti anni di censura.

La fine del fascismo fu accolta nelle città principali e anche nelle province con manifestazioni di gioia e cortei spontanei, fondamentalmente non violente che si accanirono con i simboli del regime e non contro i suoi rappresentanti.

Le manifestazioni 

Il sentimento comune e diffuso tra la gente fu quello che il 25 luglio rappresentasse la fine della guerra per una Nazione divisa e stremata. Si cantava inneggiando al ritorno della pace, il tricolore sventolato era solo quello dei Savoia non più quello con il fascio littorio.

Le manifestazioni, in realtà, durarono un tempo molto breve, la repressione del governo badogliano non ci mise molto ad attivarsi in maniera energica: un centinaio furono i morti nella penisola, eppure fu sufficiente a far capire agli alleati che aria tirasse in Italia, e che tipo di risposta ci sarebbe stata in caso della nomina di un governo antifascista.

Mentre da parte fascista le reazioni sono minime, pressoché inesistenti, non vi furono reazioni violente o armate a quello che è successo, sia perché anche loro colte di sorpresa, sia perché anche buona parte dei militi volevano la fine delle guerra.

In conclusione, ritornando all’immagine iniziale della pastasciuttata di Casa Cervi, quello che mi preme sottolineare è la differenza tra quello che è avvenuto dopo il luglio 1943 e quello che è avvenuto dopo il 25 aprile 1945 e quanto fu forte la cesura provocata dalla Repubblica di Salò.

Se il 25 luglio è stata semplicemente festeggiato, il 25 aprile provocò una serie di vendette e ripercussioni determinate dalla violenza dei repubblichini e dalla loro volontà di continuare, antistoricamente, a guidare il Paese e a combattere a fianco ad Hitler.

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