Ottavo scrutinio. Nel momento dell’elezione di Sergio Mattarella quale presidente della Repubblica iniziava la campagna elettorale per le politiche. Il 24 gennaio del 2022, i partiti tiravano un sospiro di sollievo perché intimoriti, intontiti ed esautorati dalla figura di Mario Draghi, che ambiva al Quirinale, osò dirlo pubblicamente e perciò fu disarcionato. Ma al contempo le forze politiche si gettavano ufficialmente nell’agone elettorale in vista della fine della diciottesima legislatura.

Con il nuovo incarico presidenziale, il secondo nella storia repubblicana conferito alla presidente uscente dopo quello di Giorgio Napolitano, il capo dello stato tornava nella pienezza delle prerogative in materia di scioglimento anticipato delle Camere. Ma sembrava che la legislatura fosse destinata a terminare regolarmente.

L’azione spregiudicata e vendicativa di Giuseppe Conte, l’opportunismo della Lega e di Forza Italia hanno fatto arrestare l’azione dell’esecutivo, e il resto è cronaca; inducendo Mattarella a dichiarare conclusa non solo l’azione di governo, ma anche quella del parlamento.

Senza indugio, il presidente ha convocato nuove elezioni, le prime della storia repubblicana con una competizione estiva.

L’incarico conferito a Giorgia Meloni ha smentito fatue voci circa macchinazioni quirinalizie, che invece vigila prudente, ma occhiuto su quanto faccia e non faccia la nuova maggioranza, evitando sbavature diplomatiche, limando i toni, correggendo espressioni esagerate e invitando con certosina persuasione a tenere dritto sui fondamentali costituzionali.   

Un anno burrascoso

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Il primo anno del secondo mandato presidenziale è iniziato bruscamente con la guerra in Ucraina, la coda velenosa della pandemia e le crescenti fibrillazioni tra i partiti della (troppo) grande coalizione della nazione. Sul piano internazionale, dopo l’uscita di scena di Angela Merkel, l’eclissi britannica e i tentennamenti statunitensi e tedeschi, Mattarella è rimasto l’unico attore rilevante in grado di sostenere la visione europea, transatlantica e solidale, in alleanza con Emmanuel Macron. Con il quale ha “gridato” l’importanza della pace al convegno promosso dalla comunità di Sant’Egidio, richiamando lo “spirito di Assisi”.

Ma ribadito senza alcuna esitazione che l’Europa deve rimanere solida alleata di Kiev contro il tiranno criminale russo. E ancora la densa trama intessuta per tenere insieme il continente attraversato da troppe tensioni, esposto sul versante orientale, nei Balcani, nelle solitamente solide democrazie scandinave, prostrato dalle fibrillazioni istituzionali, incertezze della leadership oltre che da parlamentari dai comportamenti poco esemplari emersi nelle ultime settimane.

Mattarella ha tenuto anche in questo anno insieme il paese, richiamando immediatamente l’attenzione sul ruolo cruciale del sistema sanitario pubblico nazionale, sulle diseguaglianze, sul ruolo dei giovani e sulla lotta alle mafie.

Recentemente, ha in modo esemplare coniugato prassi ed eleganza diplomatica con moniti durissimi circa la mancanza di rispetto dei diritti umani in Iran, dicendolo chiaro e tondo durante l’accredito del neo-ambasciatore in Italia. Quella rappresentata dal Tricolore tenuto sul cuore e nella mente ché «simbolo di unità e indivisibilità».

Un punto politico, un richiamo alto e forte per chi avesse orecchi, per evitare fratture e usi strumentali del nazionalismo, i troppi richiami degli uomini di governo alla «patria e alla nazione», scordando la repubblica. Mattarella lo dice a chiare lettere «La repubblica – la nostra patria – è costituita dalle donne e dagli uomini che si impegnano per le loro famiglie».

E, infine, l’affondo «la repubblica è nel senso civico di chi paga le imposte perché questo serve a far funzionare l’Italia e quindi al bene comune». Tutti cittadini, e come tali titolari di diritti, ma anche chiamati al dovere.

Un rosario laico di spirito repubblicano

Dalla lotta alla criminalità, al ricordo di Falcone e Borsellino, dalla giornata delle forze armate, al 25 aprile e al 2 giugno, Mattarella ha sistematicamente sciorinato un rosario laico di punti in difesa della carta e della repubblica. Una rete coordinata di appunti, richiami, moniti, inviti e segnali molto percettibili che da soli rappresentano un fervido esempio di politica.

Incontri in Italia e all’estero, diplomazia del silenzio e messaggi simbolici, decifrabili segnali per i suoi interlocutori istituzionali, politici e associativi.

Una cronologia marcata da un anno intenso, veloce e preoccupante che ha fatto assurgere nuovamente l’Italia alle cronache, non sempre generose e talvolta preconcette, dei partner internazionali.

Mattarella ha fatto da scudo, ha posto il suo prestigio a garanzia del paese, per tamponare le falle aperte immediatamente dopo il voto da dichiarazioni improvvide di ministri e parlamentari senza arte, ma di parte. Nonché dalla seconda carica dello stato.

L’azione del presidente è in linea con la sua storia politica ed istituzionale. Il secondo settennato è iniziato con un ritorno ad una maggiore riservatezza, proprio come avvenne in apertura del primo mandato. Anche perché oggi esiste una maggioranza numericamente solida. Ma Mattarella non fa mancare la sua parola, le sue idee, i suoi commenti, i suoi rimbrotti sebbene eleganti.

Il discorso pronunciato in occasione dell’inizio del secondo mandato rimane quale capolavoro di retorica politica, senso dello stato, principi democratici, visione politica, afflato europeista e verve laico repubblicana. Un concetto di repubblica unitaria ribadito nel discorso di fine anno: «Le differenze legate a fattori sociali, economici, organizzativi, sanitari tra i diversi territori del nostro paese – tra nord e meridione, per le isole minori, per le zone interne - creano ingiustizie, feriscono il diritto all’uguaglianza».

I partiti, specialmente quelli di sinistra, dovrebbero combattere strenuamente le sirene di una finta autonomia differenziata che cela in realtà una vera secessione dei ricchi.

Mattarella non è Vittorio Emanuele III

Sul piano politico e nei rapporti con le i gruppi parlamentari e i partiti, Mattarella ha già tenuto a bada le esuberanze con ambizioni sudamericane del senatore Salvini, ha governato i passaggi di “campanella” e i cambi di maggioranza della scorsa legislatura, ha difeso la nazione quando ingiustamente accusata dall’esterno con cliché da anni Cinquanta, ha fornito esempio ai cittadini, per i quali rappresenta un riferimento costante di fiducia e probità.

Pertanto, le tensioni nel governo, quelle fisiologiche e quelle ben più brumose che si intravedono, troveranno nel Capo dello stato una figura imparziale, ma garante della Costituzione e quindi abile nel risolvere i conflitti.

Molto si è detto e scritto prima del voto e nella fase di formazione del governo circa l’arrivo “dei barbari” nelle stanze del potere, dell’ascesa neofascista a palazzo Chigi nel centenario della marcia su Roma. Il presidente ha tenuto bassi i toni, ha usato la diplomazia, ha guidato e rassicurato, ha seguito le norme e rispettato i ruoli.

Insomma, se Meloni non è “M”., Mattarella non è Vittorio Emanuele III né von Hindenburg. Il colle vigila sulla repubblica, ma anche i cittadini facciano la loro parte. Del resto, come ha ribadito il Presidente Mattarella, «la repubblica vive della partecipazione di tutti».

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