Nei paesi occidentali si fa strada una politica nuova, che chiede scelte molto più coraggiose per l’ambiente e la giustizia sociale. È animata da giovani, spesso colti, figli della classe media, residenti nelle città: osservano le loro prospettive di vita peggiorare, fra i costi crescenti per ottenere un’istruzione di qualità e il presente di lavori poveri e precari; guardano a quelle del mondo con ancora più preoccupazione, non solo per la guerra ma per l’avanzare della crisi ambientale.

Credono nell’uguaglianza di genere, nella libertà di amare e nei diritti civili di seconda generazione, sono cosmopoliti ed europeisti, ben lontani quindi dalle sirene sovraniste. Diffidano ugualmente delle vecchie ricette neo liberali, perché consapevoli che sono state proprio queste a favorire, in occidente, l’aumento delle disuguaglianze e la crisi ambientale.

Movimenti a sinistra

Hanno sostenuto Bernie Sanders negli Stati Uniti (che ha perso le primarie, ma poi ha contribuito alla vittoria di Biden); hanno votato Jeremy Corbyn in Inghilterra (che pure ha perduto, ma ha avuto la maggioranza assoluta del voto giovanile). Nel 2020 hanno determinato il grande successo dei laburisti in Nuova Zelanda.

Appena un mese fa hanno riportato la sinistra e i movimenti ambientalisti alla vittoria in Australia, sconfiggendo i conservatori. Sono alla base della nuova stagione progressista che attraversa tutta l’America latina.

Ora, in Francia, hanno votato in gran parte per la coalizione guidata da Jean-Luc Mélenchon; prima ancora avevano consentito l’affermazione dei rosso-verdi in Germania, la vittoria delle coalizioni di sinistra in Spagna e Portogallo, o di amministrazioni progressiste nelle principali città d’Europa, comprese alcune capitali dell’Est. Generalmente vincono quando si alleano con le forze più tradizionali del centro-sinistra, ricomponendo la frattura demografica.

E in Italia?

In Italia chi li rappresenta? Con quali proposte? Da noi si fa un gran parlare di sigle e di persone, ma la vera discussione dovrebbe partire da qui. Non può certo rappresentarli l’area di centro, i cui esponenti, le cui idee appartengono al passato. Non quel che rimane dei Cinque stelle, le cui politiche sociali e ambientali, pur tentate, rimangono mal congegnate, contraddittorie; e su cui pesa pure l’accusa di trasformismo.

Potrà farlo il Partito democratico? Il forte appoggio di Enrico Letta al piano europeo Fit for 55, le critiche a quegli aspetti del Pnrr che rischiano di acuire le disuguaglianze, il sostegno al salario minimo, le voci crescenti contro la precarietà e la povertà del lavoro, l’attenzione sul ruolo del pubblico per favorire la transizione energetica e conciliarla con la giustizia sociale: sono punti che fanno ben sperare.

Ma la strada da fare per superare le diffidenze è ancora molta. Eppure, nella capacità per il Pd di rappresentare queste nuove forze si gioca la partita delle prossime politiche, ben più che nell’alchimia di sigle e alleanze.

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