In una storia della metà degli anni Novanta, il romanziere americano Jonathan Ames raccontava di quando faceva il tassista per pagarsi da vivere e venne accoltellato in un tentativo di rapina. La cronaca del suo trascinarsi verso il bar più vicino per chiedere aiuto, spiegare le circostanze agli agenti di polizia, venire portato di corsa in ambulanza attraverso una Manhattan ghiacciata e inospitale, venire accolto nel girone dantesco del pronto soccorso di un grande ospedale, venire medicato controvoglia e ricoverato, poi abbandonato per giorni, è un esempio di meravigliosa letteratura umoristica; ma anche uno spaccato di vita reale nella New York di quegli anni, un modo di entrare nell’esistenza di uno che voleva fare lo scrittore ma faceva il tassista e aveva a che fare con la sua società contemporanea, storta e infingarda.

Chiara Galeazzi nel 2023 ha fatto qualcosa di simile – per non dire esattamente lo stesso – tracciando la cronaca della sua emorragia cerebrale, del decorso, del ricovero e del conseguente periodo di riabilitazione. Un pezzo di straordinaria letteratura umoristica che, come nella migliore delle tradizioni, comincia con una mancata tragedia.

In Poverina, pubblicato da Blackie Edizioni, Galeazzi è quanto di più simile a sé stessa si possa trasmettere alla pagina bianca. Ironica, cinica, brutale soprattutto nei confronti del suo io letterario, ma anche mordace rispetto a tutto ciò che la circonda: quella nuova, alienante, condizione della povera allettata che però ha avuto la fortuna sfacciata di procurarsi un ictus a trent’anni, così da avere il tempo di poterlo raccontare.

Vita riflessa

La sua è una storia di medici istrioni, braccia e gambe scomparse, pianti inaspettati. Ma è anche la cronaca, lucida e disincantata, di quanto stesse accadendo dentro la testa di Chiara, costretta all’immobilità e alla riflessione; di fronte al mondo sconsiderato e dato per scontato fino al momento di essere costretta a rinunciarci, fatto di pigrizia e nottatacce, lavoro ingrato, Xanax non trovato e bevute spensierate. Un universo che molti tra i 30 e i 40 conoscono, soprattutto se si sono avventurati nella splendida cornice della libera professione creativa, se vivono a Milano, se hanno a che fare con la parola scritta e con le radio.

Chiara, dal suo letto d’ospedale, racconta la sua esilarante storia tragica e addita gli stronzi, si toglie soddisfazioni, abbraccia con meravigliosa tenerezza chi le sta accanto, pure quando un lato del suo corpo sembra svanito nel nulla.

Quando all’umorista americana Fran Lebowitz venne chiesto di sintetizzare la sua narrativa, rispose: «Mi alzo, guardo l’ora, torno a letto». Una provocazione, sì, ma anche un modo molto sincero di mettere le cose come stanno. Per una penna affilata e preparata, non c’è bisogno di molto di più della propria noiosa quotidianità per tracciare un arco narrativo soddisfacente. Le riflessioni, le rimuginazioni, gli ampi giri di pensiero, sono senz’altro lì pronti a dipanarsi spontaneamente mentre l’autrice si attiene alla sua realtà. Non comica, banale; non letteraria, piana.

Chiara Galeazzi, in questo senso, si è alzata, ha avuto un ictus, è tornata a letto. E la semplicità – che naturalmente non ha niente di semplice, ma che piuttosto è una sintesi meccanica di un evento straordinario – di questo particolare arco narrativo ha aperto un vaso di Pandora di vita riflessa e attendibile, una realtà comica e commovente costruita alla perfezione da un’ansiosa che non può, e non ha alcuna intenzione di farlo, nascondere la sua natura.

Geniale sovversione

Quando nel 2012 la stand-up comedian del Mississippi Tig Notaro si è presentata di fronte al pubblico del Largo di Los Angeles per recitare un monologo che non si era preparata, stordita dall’aver appena ricevuto una delle notizie peggiori che si possano immaginare, non solo in ambito medico ma in generale, e ha esordito incerta: «Salve, ho il cancro», stava spogliando di colpo la propria narrativa personale e si stava mostrando vulnerabile di fronte a un pubblico di sconosciuti ai quali non sapeva esattamente cosa avrebbe raccontato. Di più: se il suo compito in quel momento era quello di farli ridere, non aveva idea di come lo avrebbe svolto. Non c’era niente da ridere. Eppure, la sua performance è entrata nella storia.

Qualcosa di simile lo aveva fatto nel 1989 un’altra leggenda della comicità come Gilda Radner, che nella sua autobiografia Ce n’è sempre una!, pubblicata in Italia da Sagoma, applica un’ironia sferzante a un susseguirsi di quelle che, attraverso il lavoro di una penna più “seria” e meno brillante, sarebbero state vere e proprie tragedie, anche un po’ noiose. Ma il genio letterario, se c’è, si manifesta proprio nella sovversione: Poverina lo dimostra in maniera più che evidente.

Alienazione generazionale

Intorno a Chiara, protagonista indiscussa costretta a cedere la scena soltanto al suo male improvviso, c’è tutta la quotidianità alienante di una generazione che, benché molti si siano sforzati, nessuno ancora era stato in grado di inquadrare con la stessa franchezza e precisione di un’umorista mezza paralizzata. Il problema dei tentativi precedenti, spesso e volentieri, stava proprio nella troppa convinzione di stare tracciando un ritratto generazionale.

Voler raccontare seriamente il precariato, l’incertezza, l’instabilità degli italiani cosiddetti “creativi” tra i 30 e i 40, con le loro biciclette ostentate, le loro case troppo piccole, le loro città incomprensibili e il loro slavato sogno americano avverato e deludente, è un esperimento fallito. Come ha scritto David Sedaris a commento di uno dei più toccanti e drammatici saggi umoristici di tutti i tempi, intitolato Now We Are Five (Adesso siamo in cinque) e pubblicato sul New Yorker nel 2013 all’indomani del suicidio di Tiffany, una delle sue sorelle: «Fino a che ho provato a capire e a universalizzare, non sono stato in grado di processare niente. Quando ho cominciato a fregarmene sonoramente, ho avuto tutto chiaro».

Umorista enciclopedica

Galeazzi non se ne frega, ma non le importa veramente molto di raccontare i suoi pari. Racconta sé stessa e la sua personale tragicomicità e, incidentalmente ma consapevolmente, porta al lettore il resto del bagaglio culturale, aspirazionale e quotidiano che è la pasta narrativa di molte realtà contemporanee. In un mare oscuro e borioso di memoir senza capo né coda, dove ogni libro autobiografico si assomiglia, tutti parlano la stessa lingua artificiale e ognuno ha un insormontabile problema da risolvere con la scoperta della musica, delle droghe, della sessualità, Poverina è una boccata d’aria fresca.

In un momento in cui la letteratura ristagna nell’ombelicale travestito da sincero e a furia di definire ogni nuova voce “fuori dal coro” si è finiti per formare un’orchestra vocale di migliaia di elementi che contrasta un indecifrabile silenzio, Galeazzi, un’umorista enciclopedica della televisione, ha fissato un nuovo standard. E pensare che voleva solo lamentarsi della sua sfortuna.


Poverina (Blackie Edizioni 2023, pp. 176, euro 18,90) è un libro di Chiara Galeazzi

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