Fino a qualche tempo fa Emma lavorava per il servizio clienti di un’azienda di telecomunicazioni. Aveva i punteggi più alti nei sondaggi di gradimento, l’hanno licenziata perché aveva iniziato a vendere contratti a tariffe scontatissime e inesistenti. Le sembrava un modo innocuo di migliorare la realtà, ha scoperto che il pensiero magico non può niente contro la potenza del capitalismo. Si era sempre immaginata come una perdigiorno idealista, adesso inizia a pensare che sia tutto una questione di soldi.

Anche la bellezza e il sesso, dopo una certa età, sono una questione di soldi. Mentre cerca un altro lavoro tra gli annunci su internet si ferma a guardare i profili Instagram di coetanee che hanno vite completamente diverse dalla sua. Sono ricche perché non hanno perso tempo e ora fanno le attrici, le cantanti, le imprenditrici, lavorano in televisione. Le coetanee ricche hanno i capelli con le schiariture e i boccoli appena fatti, mandibole e zigomi definiti dal filler, mani e piedi smaltati, la mattina registrano video dalle cabine armadio con i vestiti appesi e suddivisi per colore, davanti a scarpe e borse in fila sulle mensole.

Ma la cosa che Emma invidia davvero sono le possibilità con gli uomini. Soprattutto gli uomini più giovani, i toy boy li chiama qualcuno, con un termine sessista che la fa sognare. Li immagina come giocattolini erotici ai quali, se non puoi offrire la freschezza dei vent’anni, devi poter offrire qualcos’altro: cene fuori, gite in barca, un corpo sodo, palestrato, massaggiato e profumato tra lenzuola di lino.

Emma abita in un monolocale con vista sul muro del palazzo di fronte e per giocare ha solo un vibratore fucsia che nasconde in mezzo ai vestiti appallottolati in una cassettiera dell’Ikea. Ha i capelli castani con una sfumatura rossiccia per via della tinta fatta in casa, porta le scarpe da ginnastica perché in certi momenti l’unica cosa che le dà sollievo sono le lunghe camminate senza direzione per le strade della città.

È di ritorno da una di queste camminate quando vede un ragazzo appoggiato al muro davanti all’ingresso di una trattoria del quartiere. Sta fumando una sigaretta e si guarda le scarpe, ha i capelli neri con i riccetti e una canottiera bianca aderente sotto il grembiule scuro da cucina. Emma nota i tricipiti che guizzano ai lati delle braccia come piccole trote sotto la pelle, gli fissa le mani, le immagina stringere la carne delle sue cosce. Lui alza un momento lo sguardo ma lo riabbassa subito, lei si sente invisibile e frustrata.

Nei panni di un’altra

La sera prima di addormentarsi fantastica sul corpo del ragazzo, cerca di inventare un modo per farsi notare da lui. La domenica mette la sveglia presto e va a Porta Portese. Rovista tra i banchi dell’usato, trova un blazer oversize, una gonna aderente, un paio di décolleté e dei sandali con il tacco. Compra tutto per meno di cinquanta euro.

Il pomeriggio va dalla vicina del piano di sopra che fa la parrucchiera, le chiede in prestito una spazzola arriccia capelli. Il lunedì le trattorie sono chiuse, Emma ne approfitta per fare delle prove. Cammina nuda con i tacchi davanti allo specchio, cerca di mettere un piede davanti all’altro, tira dentro la pancia, socchiude gli occhi e fantastica di essere appena tornata da Shanghai, Miami, Ibiza, Koh Samui: «Bisogna inaugurare la primavera con almeno due settimane di mare» si sente dire con una voce più bassa e sicura.

Il martedì esce di casa nei panni di una donna diversa. I tacchi le fanno male ma cammina a testa alta, qualcuno si gira a guardarla e lei sente il corpo formicolare di eccitazione per questo nuovo potere che sta imparando a usare. Le bugie forse possono avere le gambe lunghe. Arriva davanti alla trattoria e si mette ad aspettare appoggiata a una macchina. Quando il ragazzo esce per fumare slaccia un bottone della camicetta per mostrare il seno, si avvicina ondeggiando, gli chiede una sigaretta. Lui tira fuori il pacchetto da una tasca del grembiule e glielo porge. Emma domanda: «Come si mangia qui?», lui risponde: «Bene, soprattutto quando cucino io», e si mette a ridere.

È la fine del turno, Emma invita il ragazzo a prendere un caffè al bar di fronte. Lei è brava a fare domande per non parlare di sé. Lui le racconta di essere cresciuto vicino a una delle ultime fermate della metro C, non è lontano da dove è cresciuta anche lei, anche se non possono essersi incontrati perché il ragazzo ha quindici anni di meno. Dice che ha lasciato la scuola a sedici anni per cercarsi un lavoro in un ristorante. Ha iniziato come lavapiatti e ora fa l’aiuto cuoco. Emma inventa di abitare in un attico in via del Babuino, racconta che adesso lo sta ristrutturando e che un’amica artista le ha prestato il monolocale lì vicino: «Se non hai da fare mi accompagni?».

Così diversi

Una volta in casa si baciano subito, senza dirsi una parola, Emma gli annusa la pelle del collo che sa di vaniglia, lo spinge contro una parete, si inginocchia e gli slaccia i jeans per prenderglielo in bocca. Dopo si sdraiano sul letto, Emma si scusa per le lenzuola scolorite, lui dice che non gli importa nulla, le dice che è bella e scende giù per leccarla e restituirle il piacere che gli ha regalato.

Dopo Emma si mette una vestaglia di raso e delle pantofole con le piume che ha rubato anni prima nell’armadio di una vecchia signora da cui sua madre andava a fare le pulizie. Non aveva mai avuto il coraggio di indossarle, adesso si sente una principessa o la protagonista fatale di un noir. Il suo amante è nudo sul letto, i vestiti sono per terra, lei gli porge un bicchiere d’acqua.

Si sente la notifica di un messaggio che viene da un telefono nella tasca dei jeans: «Me lo passi?», chiede lui. Emma infila la mano nei jeans e tira fuori un iPhone di penultima generazione. Si domanda se non sia rubato, la cosa la eccita. Un ragazzo di strada, anche un po’ ladro, che la vede come una donna da scopare e come un grande salvadanaio da spremere. Lui arrossisce e dice: «Me lo ha regalato il proprietario del ristorante quando ha preso quello nuovo». Legge il messaggio poi appoggia il telefono sul comodino, le dice: «Torna qui». Fanno l’amore, questa volta in una maniera intensa e bella come Emma non si aspettava. Non mi posso innamorare, pensa, non me lo posso permettere.

Lui sospira e dice: «Mi piaci, peccato che siamo così diversi. E non per la differenza di età. Io lavoro tanto e guadagno poco, non sono adatto a una come te». In quel momento lei avrebbe l’occasione di recitare la frase che si era preparata: «Posso bastare io per tutti e due, ti porto in vacanza dove vuoi, pago i conti». Invece rimane zitta, all’improvviso si vergogna di questa messa in scena, lo abbraccia, dice: «Scusa ma devi proprio andare, devo prepararmi per una call di lavoro, se ti va ci sentiamo domani».

La notte si rigira nel letto, si strugge per l’odore del ragazzo sul cuscino, si masturba pensando alle cose che hanno fatto insieme il giorno prima, la mattina si ritrova con due occhiaie scure che non aveva mai avuto. Deve dirgli la verità. Si mette i vecchi vestiti, felpa e pantaloni larghi, si avvia verso il ristorante per parlare con lui. Non lo chiama, non serve, è sicura di trovarlo lì.

Quando arriva c’è una macchina di lusso parcheggiata proprio davanti al locale. Dalla macchina scende una donna poco più grande di lei, è elegante, indossa un tailleur pantalone e i tacchi alti. Ha la messa in piega lucente e naturale da salone costoso. Lei pensa: È finita, non posso competere. La donna continua a guardare nervosamente il telefono, digita messaggi, si affaccia sulla porta della trattoria. All’improvviso esce lui, tranquillo, si asciuga le mani sul grembiule. Emma resta ferma. La donna si avvicina, gli mette una mano sulla spalla, gli dice: «Amore, è una settimana che non vieni a casa. Anche tuo padre è stufo di non vederti mai. E lo sai che domani andiamo in Sardegna a sistemare delle cose sulla barca. Quando ti passerà questa fissazione di lavorare qui?».

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