- Quando si dice di voler essere sé stessi la frase va interpretata soprattutto come un rifiuto dei pregiudizi e una rivendicazione del diritto a non essere discriminati
- La politica tende a categorizzare le infinite diversità per renderle nominabili secondo la legge, la letteratura si muove in senso contrario: rifiuta le categorie perché troppo simili agli stereotipi
- Questo articolo si trova sull’ultimo numero di FINZIONI – il mensile culturale di Domani. Per leggerlo abbonati a questo link o compra una copia in edicola
Se si domanda a un giovane, uno di quelli ancora sospesi tra studio e lavoro, che cosa vuol essere nella vita, non è raro sentirsi rispondere «voglio soprattutto essere libero», e qualche volta aggiungono, i più fluidi e militanti, «essere me stesso senza venir giudicato». Essere sé stessi è, letteralmente, inevitabile («sii te stesso», diceva Wilde, «tutti gli altri sono già presi»); quindi la frase va interpretata come «io rifiuto i pregiudizi e rivendico il diritto di non essere discrimina




