Il Premio Nobel per la letteratura è stato assegnato giovedì ad Annie Ernaux, la scrittrice francese, femminista, molto letta e molto amata, pubblicata in Francia da Gallimard, i cui libri riescono a tradurre un’autobiografia intensamente personale in una sorta di storia universale. Un’autobiografia della nazione: dalla Liberazione al ‘68, fino all’11 settembre e al consumismo postmoderno degli ipermercati, passando per De Gaulle e Mitterand. La sua vita un paradigma in cui si è rispecchiata la società francese degli ultimi cinquant’anni, secondo Macron. I suoi libri hanno parlato a diverse generazioni di donne, mettendo in luce episodi anche intimi della sua vita.

Ne Gli Anni, il suo capolavoro, racconta con l’oggettiva della terza persona, in /lei/ e non in /io/ come in un’autobiografia impersonale, un aborto, l’amore e un’appassionata infedeltà. Mats Malm, il segretario permanente dell’Accademia svedese che decide il premio, ha annunciato la decisione in una conferenza stampa a Stoccolma, lodandone «il coraggio e l’acume clinico con cui scopre le radici, gli straniamenti e i vincoli collettivi della memoria personale».

Il suo Nobel premia in Italia anche l’ottimo lavoro, si badi, di un piccolo editore che la pubblica e l’ha fatta conoscere, L’orma - che per una fortunata sincronia festeggia pure i propri dieci anni di attività. E che ora porterà in classifica i suoi libri. Guardiamo quella della settimana.

La stagione editoriale

Con ottobre si entra nel vivo della stagione editoriale. Ed è subito Manzini. Primo di botto con il suo nuovo romanzo, La mala erba, da Sellerio. È l’Italia più nera e cattiva, è il racconto del male come unica possibilità di riscatto.

Antonio Manzini, si sa, ha inventato il vicequestore Rocco Schiavone, un personaggio memorabile quanto il commissario Maigret, che evoca, quanto il collega francese, un intero mondo possibile. Da Roma ad Aosta. Conquistando moltissimi lettori. E facendo scattare la solfa, i pregiudizi e le fisime critiche attorno allo scrittore di genere, per di più altovendente.

Sono tutte balle. Antonio Manzini è il migliore scrittore italiano. E questo è un romanzo romanzo. Senza delitti. Di certo nero e acido. Perché La mala erba è un libro sul male. Che inizia con uomo sporco, affamato e braccato che corre tra rovi e spine che lo graffiano a sangue e finisce fra le macerie di una cripta piena di ossa.

Perché come dice lo scrittore americano James Lee Burke le persone che sembrano interessanti come un mucchio di fango, hanno storie personali degne di antichi eroi greci. E solo gli scrittori molto bravi sanno scrivere il male. Nel romanzo di una ragazza sola, Samantha, e insieme del racconto corale di un piccolo paese.

La mala erba è anche un romanzo sul cupio dissolvi di due uomini prepotenti, sulla vendetta che non ripristina giustizia, sul ciclo inesorabile e ripetitivo dell’oppressione di una provincia emarginata che non è altro che l’immensa, isolata provincia in cui tutti viviamo.

È ancora provincia nell’Avere tutto di Marco Missiroli, da Einaudi. Che parte al terzo posto nella narrativa dietro a Manzini e il romanzo fiume M. su Mussolini di Scurati, da Bompiani.

Perché i gabbiani a Rimini non urlano mai. In nessuna stagione dell’anno, neanche quando Sandro torna a casa dopo aver vissuto a Milano, e ritrova suo padre. Per affrontare con lui la partita più grande, facendo un vecchio gioco: dove vorresti essere con un milione di euro in più e parecchi anni in meno?

Marco Missiroli, che è un altro scrittore molto bravo, firma il suo romanzo più potente e maturo. Avere tutto. Raccontando la febbre di un giovane uomo pieno di slanci e di difetti, di una città di provincia che vive alla grande solo una stagione all’anno, di una famiglia arsa dall’amore e dalla smania, della febbre del gioco.

Un romanzo breve e bellissimo dalla copertina del colore blu del mare, perché l’italoriminese di Missiroli – ha chiosato Starnone – è importante. Soprattutto nei dialoghi. Perché la scrittura, come l’amore, implica l’accudimento, necessita di cura.

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