Nelle sale di un futuro museo, strani reperti testimonieranno il nostro tempo: una vignetta blasfema, la registrazione di una battuta sessista pronunciata sul luogo di lavoro, un ritaglio di giornale che riporta la sparata iperbolica di un politico, lo screenshot di un post di Facebook altamente fraintendibile... O ancora –  in mezzo ai busti dei nostri grandi comici, da Corrado Guzzanti a Valerio Lundini – una maglietta ironica, il video di uno stand-up comedian impegnato a scandalizzare il suo pubblico, il manifesto ingiallito del festival della satira di Forte dei Marmi… Il padiglione dell’umorismo, la chiameranno, al cuore dell’ala dedicata all’archeologia post-industriale. Attenzione: solo per un pubblico maturo.

Ammesso beninteso che ci sia un museo pronto a esporre questo materiale scottante e non lo tenga invece nascosto nei suoi caveau. Quale conservatore vorrebbe subire una campagna stampa indignata, o magari qualche atto dimostrativo da parte di una minoranza che si sente insultata? Le sale del futuro museo, forse, saranno tutte vuote. Per precauzione.

Il mondo dei simpatici

Le guide turistiche racconteranno in poche parole la nostra epoca e le nostre superstizioni. Ricordate i decenni a cavallo tra la fine del ventesimo secolo e l'inizio del ventunesimo? Sembrava che l’umorismo fosse ovunque. Nei film, nella pubblicità, nei cartoni animati per i più piccoli; ma anche nella nostra vita quotidiana e naturalmente in rete. Si infilava in ogni contesto una battuta o un gioco di parole, come nulla fosse, e se qualcuno ci trovava da ridire –  invece che da ridere – allora era un problema suo. Non era tabù evocare il sesso o sottolineare la diversità. L'umorismo dettava legge e creava reputazioni: il mondo era dei simpatici. 

Era un mondo diverso da quello precedente, diciamo quello prima degli anni Sessanta, tutto in bianco e nero, saldamente in mano agli antipatici: un mondo formale, in giacca e cravatta (pure in spiaggia!), un mondo nel quale la comunicazione pubblica rispondeva a criteri di pudore e di decenza. Infatti era terribilmente noioso. Ben diverso da quello del mezzo secolo successivo, caratterizzato dall’assenza di filtri e di censure, come un inconscio a cielo aperto.

Per secoli, anzi per millenni, la comunicazione pubblica era stata noiosa. Negli antichi dipinti nessuno sorride, perché la risata era considerata il tratto degli stupidi. L’inconscio veniva rigidamente sottomesso alla ferrea legge del super io, guardiano della norma sociale. C’erano delicati equilibri da preservare, tra i gruppi etnici e tra i generi sessuali, e a nessuno sarebbe venuto in mente di “fare il simpatico” al prezzo di tensioni e malintesi. La nevrosi era il prezzo da pagare per vivere in quel mondo serissimo nel quale l’umorismo si manifestava, al massimo, sotto forma di lapsus.

Successivamente abbiamo avuto il privilegio del benessere e della pace: tempi felici generano uomini simpatici. Ma come avremmo scoperto poi a nostre spese, uomini simpatici generano tempi duri. Immuni da ogni gravitas, insensibili alla tragicità della storia, incapaci di decifrare i segni della catastrofe che si addensa sulle loro teste.

La guerra dei permalosi

Quando delle persone dall'altra parte del globo hanno iniziato a protestare per qualche disegno considerato offensivo, i simpatici li hanno immediatamente catalogati come dei primitivi, convinti che quei permalosoni sarebbero stati spazzati via dal progresso. Invece i primitivi sono diventati sempre più numerosi e alcuni hanno imbracciato le armi. Nel frattempo anche molti moderni hanno iniziato a comportarsi da primitivi, protestando contro i motti di spirito dei simpatici.

Attribuivano ai segni lo stesso peso delle cose: precisamente quello che i mitologi dell’Ottocento attribuivano ai pre-moderni, e i primi cristiani ai pagani. Che risate. Se non fosse che i segni hanno effettivamente lo stesso peso delle cose. Anzi molto di più, perché con la spada uccidi una persona ma con la parola “spada”, se guidi un esercito, ne puoi uccidere mille in una volta.

L’umorismo era diventato un’emergenza sociale, fonte di continui conflitti e rivendicazioni, che da scintille apparentemente innocue era in grado di appiccare incendi distruttivi. Il resto è storia, quella della Prima Guerra Morale, che ha opposto in un conflitto i Simpatici e i Permalosi, seguita dalla Seconda Guerra Morale tra Permalosi e Altri Permalosi.

Per questo abbiamo dovuto rinchiudere quei testi e quei segni nei musei con la legge sull’Umorismo del 2032, ispirata agli editti cinquecenteschi sulla tolleranza religiosa, come ci spiegherà la guida. Lì esposti quei manufatti vengono neutralizzati e depotenziati. Delle didascalie li contestualizzano. Nessuno ride più guardando quelle vignette o ascoltando quelle battute. I visitatori più sensibili svengono, in preda alla sindrome di Stendhal; mentre nella sala dove vengono proiettati i vecchi sketch di Gabriele Cirilli sulla sua amica grassa Tatiana ogni tanto qualcuno scoppia a piangere. Solo di fronte al cane Has Fidanken si continua a ridere nei secoli, in ogni luogo del mondo.

Eterna ironia

E allora, chiederemo alla guida, se l’umorismo è oramai rinchiuso nei musei come in una prigione, come fanno nella vostra epoca le persone a denunciare l’ipocrisia della società e le debolezze dei potenti, come fanno a risollevare il morale di fronte alla durezza della vita? Semplice dice lei, sussurrando: abbiamo bandito l’umorismo ma non abbiano potuto fare nulla contro l’ironia. 

Perché l’ironia, se praticata con arte, è invisibile. Non quella che chiamavate ironia ai vostri tempi, che era un misto di distacco, di cinismo e di irriverenza, ma l’ironia della grande letteratura, che consiste nel lasciare che le cose parlino da sole. È facendo uso dell’ironia –  una vera e propria tecnologia linguistica, che trovate esposta nel padiglione delle Arti e dei Mestieri a fianco del dagherrotipo –  che a metà Settecento Voltaire riuscì a denunciare le persecuzioni contro De la Barre o Jean Calas, senza subire a sua volta le medesime conseguenze giudiziarie. Là dove la satira esibisce, l’ironia nasconde. Non ingrandisce, non forza, non grida, ma dice senza dire. E infatti nessuno scende in piazza contro l’ironia, nessuno si offende, nessuno spara. Prima dovrebbero capirla.

Alla fine delle visita, la guida ci accompagnerà verso l’uscita. Prima di salutarla le chiederò se non rimpiange il mondo di prima, il mondo della simpatia. Lei mi fisserà con una tristezza infinita ma non dirà nulla. Io capirò. È lo sguardo di chi ha vissuto una vita intera senza mai sentire una barzelletta di Pio e Amedeo. Ma è davvero vita questa?

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