Arriva un momento nella vita di ciascuno in cui il desiderio di far parte di un gruppo, sentirsi appartenere, diventa pressante. Io, in ritardo sempre su tutto – l’esistenza la traverso quasi soltanto in retrospettiva –, questo desiderio di partecipare al mondo l’ho avvertito in ritardo.

I miei coetanei al primo anno di liceo uscivano assieme il venerdì sera, gironzolavano per la scuola alla ricreazione, organizzavano partitelle di calcio il sabato mattina.

Mentre io nelle stesse occasioni giocavo a Indovina chi con i miei, mi sbafavo due Ringo Goal in classe, leggevo Geronimo Stilton. D’un tratto però la crescita si è messa di mezzo, instillando in me il desiderio – con il tempo necessità – di far parte di un gruppo.

E da allora, dovevo avere tredici anni, la voglia di sentirmi appartenere è uno dei miei motori immobili. Anch’io, insomma, ho preso parte al caos che arbitra il mondo.

La scoperta della lettura

Mi sono fatto diversi gruppi di amici, alcuni sono ancora oggi pianeti che galleggiano nella mia galassia. Ho cominciato a uscire il venerdì sera, pub e bar e tutto il corredo. E, pure con una certa rapidità, mi sono trasformato in un animale sociale.

Negli stessi anni – o forse poco dopo: sono un lettore tardivo, io; appunto, a molte cose ci arrivo dopo – ho fatto un’altra scoperta che in qualche modo si lega a questo mio discorso. Ho cominciato a leggere.

Dapprincipio romanzi fantasy e d’avventura, poi i grandi classici, per approdare infine ai contemporanei. Ed è stato in quel periodo, accostandomi a narratori e a narratrici della mia età, o giù di lì, che ho scoperto che il senso d’appartenenza di cui parlavo prima lo si può scovare pure nella letteratura.

Fare gruppo

Ero già all’università, avevo vent’anni ed ero alla ricerca di qualcuno che condividesse il mio modo di abitare spazio e tempo. Un modo rabbioso e insaziabile, pregno di un disagio senza nome che scandiva le mie giornate con un ruolo da protagonista assoluto.

L’ho trovato tra le pagine dei libri, questo qualcuno. Tra le parole di scrittori e scrittrici poco più grandi di me. Da allora, tutte le volte – o quasi, sarò sincero – che un mio coetaneo o coetanea pubblica un libro io lo leggo con la brama di un pirata che cerca il suo tesoro.

Con la scrittura, autori e autrici nati negli anni Novanta – Millennial, Generazione Y, Net Generation – fanno gruppo. Con ciò non intendo dire che ci sia qualcosa di definito, ma che scrittori e scrittrici sotto i trentacinque anni, esprimendo un sentire comune, riescono a raffigurare un’intera generazione – la nostra. Il risultato è una letteratura da una parte molto libera, dall’altra con i piedi ben piantati nel contemporaneo.

Leggendo questi libri, chi ha la mia età avverte tutto il senso di comunione di cui parlavo. È qualcosa che ha a che fare con lo sguardo: studiando il mondo, questi autori e autrici scorgono cose assai simili – c’è, in effetti, un filo rosso a collegarle, le loro storie: una nota, qualcosa che davvero ha un ché di musicale. A elencarli tutti non basterebbe lo spazio a disposizione, una selezione è doverosa.

Ma, si badi bene, i romanzi di cui parlo oggi sono solo quelli finiti nel mio radar e pubblicati nell’ultimo anno – ce ne sarebbero altri che meriterebbero di essere menzionati. Si tratta di libri che toccano corde sensibili. Scandagliano il contemporaneo, narrano le nevrosi che ci schiacciano, allargano i confini dei desideri che ci spingono.

La superstizione di Donaera, la famiglia di Forgione, la prepotenza di Zuzu, la crescita di Ghiotti, la lotta di Statovci, l’identità di Zannoni, la rabbia di Caminito, l’amore di Azumah Nelson, la periferia di Gargiullo. C’è molto, moltissimo di noi in questi romanzi.

Storie legate tra loro

Ed è proprio Mai stati innocenti, Salani 2022, di Valeria Gargiullo, classe 1992, ad avermi fatto notare come le storie dei miei coetanei siano legate. Quest’opera prima racconta di una periferia, gretta e povera, che è il confino naturale di gente a cui il futuro sembra precluso.

Anna, la protagonista, studia, conserva i soldi per evadere da questo ammasso di casupole così asfissiante, ma è la periferia stessa a non volerle concedere la fuga. Una periferia che, per certi aspetti, ricorda quella de L’acqua del lago non è mai dolce, Bompiani 2021, di Giulia Caminito, nata nel 1988.

Gaia, sua personaggia, trasferitasi con la famiglia ad Anguillara Sabazia, si ritrova ad abitare la propria crescita nel modo ferino, rabbioso di chi sente di voler fuggire ma da dove, da chi, non lo intende.

Una smania assai simile a quella di Archy, protagonista dell’esordio di Bernardo Zannoni, del 1995, I miei stupidi intenti, Sellerio 2021. Archy è una faina intelligente e bramosa di una vita diversa da quella che un Dio, per niente misericordioso, gli ha affibbiato.

In cerca di un’identità che aderisca a chi sente d’essere, Archy reagisce al mondo con una sua ferocia. A muoverlo è una sorta di regola della sopraffazione che, con toni diversi, ritroviamo in Giorni felici, Coconino press 2021, graphic novel di Zuzu, classe 1996.

Quella della fumettista salernitana infatti è una sopraffazione soprattutto psicologica: con Claudia, giovane protagonista, e le sue due relazioni, Zuzu mette in scena il dolore che provoca la soverchieria operata dai tipi umani più angusti. Così facendo, senza remore, ci mostra tutta la vulnerabilità della sua personaggia.

L’impressione che si ha, in effetti, è che finalmente si stia vedendo la vulnerabilità non come una dannazione ma come una parte dell’essere umano.

La ritroviamo in Mare aperto, Atlantide 2021, esordio del britannico-ghanese Caleb Azumah Nelson, nato nel 1993. Raccontando un amore appena sbocciato, l’autore scandaglia le profondità di sentimenti che, per loro natura, impongono a chi è coinvolto di lasciarsi andare alle proprie vulnerabilità.

Ne Gli invisibili, Sellerio 2021, di Pajtim Statovci, autore del 1990. Nel suo terzo romanzo, racconta la vulnerabilità di ognuno rispetto ai propri desideri, in uno scontro totale con la realtà. Arsim e Miloš si vedono e s’innamorano al tavolo di un bar, nel Kosovo degli anni Novanta. Un amore impossibile, proibito dalla società in cui vivono, ma negare i propri sentimenti significa negare sé stessi, abbandonarsi al dolore.

Il dolore

Dolore. C’è pure lui, ovviamente. C’è ne Il nostro meglio, La nave di Teseo 2021, terza prova del napoletano Alessio Forgione, classe 1986. Dolore per la perdita di un famigliare – la nonna con cui Amoresano, il protagonista, è cresciuto; ed è questo il suo primo incontro con la sofferenza.

C’è in Lei che non tocca mai terra, NN 2021, di Andrea Donaera, nato nel 1989. Dove l’amore assume forme spirituali, il dolore quelle di un baratro la cui risalita è difficile ma non impossibile. C’è in Atti di un mancato addio, Hacca 2021, del romano Giorgio Ghiotti, poeta e romanziere del 1994. Nella sua ultima prova dolore e crescita s’intrecciano inestricabilmente quando Giulio scompare e gli amici sono in qualche modo costretti a mettere in pausa le loro esistenze.

Ed eccolo, il filo rosso. Lo vedete?

Gli autori e le autrici giovani che stanno operando in questi ultimi anni hanno capito molto del nostro contemporaneo ma, forse, ancora non lo sanno. E va bene così. Anzi, è giusto così.

È dalla confusione che apparentemente governa la nostra generazione che nasce gran parte della nostra irrequietezza – quella di Zannoni e di Ghiotti. Irrequietezza che diventa rabbia – quella di Statovci e di Donaera. Rabbia che sediamo perseguendo degli obiettivi con ostinazione – quella di Caminito e di Forgione e di Gargiullo. Ostinazione che ci sfibra e ci svuota di tutto fuorché del desiderio – quello di Zuzu e di Azumah Nelson.

Stiamo crescendo, ecco tutto. La gente lo fa dall’alba dei tempi: niente di speciale, sì, ma solo una volta che la formazione l’hai superata – che poi, la si supera mai davvero? Ma poco importa se siamo irrequieti e rabbiosi. Poco importa se ancora non lo sappiamo, chi siamo e cosa vogliamo. Poco importa se non lo sapremo mai. Strada facendo abbiamo imparato a fare gruppo: forse, va già bene così.

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