«È molto pericoloso scambiare il parlare senza pensare con il dire la verità». La morale lapidaria enunciata dal detective Benoît Blanc (Daniel Craig) nel film Glass Onion, appena uscito su Netflix, sembrerebbe adattarsi anche alle incontinenze linguistiche di Michel Houellebecq. Ventun’anni dopo il suo più celebre attacco all’islam – secondo lui «la religione più stupida di tutte» – lo scrittore ha rincarato la dose in dicembre.

In una lunga conversazione con il filosofo Michel Onfray, pubblicata sulla sua rivista Front Populaire, Houellebecq si è lasciato andare ad alcune esternazioni che non sono passate inosservate: secondo lo scrittore sarebbe in atto una «grande sostituzione» della popolazione occidentale da parte dei musulmani; intanto i francesi, stufi di subire, sarebbero pronti a prendere le armi per compiere degli attentati nelle moschee e in altri luoghi di ritrovo. Lungi dal considerare questa possibilità con orrore, Houellebecq considera favorevolmente la diffusione del suprematismo bianco.

A fine dicembre, peraltro pochi giorni dopo un sanguinoso attentato razzista al cuore di Parigi, la moschea di Parigi ha deciso di sporgere denuncia per incitamento all’odio. Una reazione tutto sommato blanda, visto che a leggere le parole di Houellebecq si potrebbe addirittura parlare di apologia del terrorismo. Certo, a meno di non derubricare tutto quanto a semplice provocazione letteraria. Che si tratti del solito malinteso?

Suprematismo trendy

La moschea di Parigi (Ludovic Marin/Pool via AP)

Secondo Eugénie Bastié, giovane firma di punta del quotidiano conservatore Le Figaro, il dialogo tra Onfray e Houellebecq è l’incontro tra «due grandi spiriti francesi»: «Brillante, profondo, spesso comico e sempre appassionante». Quello del romanziere sarebbe puro «genio dell’assurdo», altro che apologia del terrorismo. Da parte sua Marc-Olivier Bherer su Le Monde sostiene che la «virulenza del tono segna un’ulteriore tappa nella radicalizzazione all’estrema destra» dello scrittore. 

Poche citazioni testuali bastano per farsi la propria idea. Houellebecq afferma: «L’unico desiderio della popolazione francese autentica (“de souche”), come si suol dire, non è che i musulmani si assimilino, ma che la smettano di aggredirli e derubarli. Oppure, soluzione alternativa, che se ne vadano».  Il riferimento qui è alla teoria della remigrazione, cavallo di battaglia del polemista di estrema destra Éric Zemmour, candidato alle ultime elezioni presidenziali.

Sebbene Houellebecq pretenda di descrivere uno stato di cose, sono chiari i sottintesi: primo, esistono dei francesi autentici e dei francesi inautentici, i musulmani; secondo, questi musulmani sono in maggioranza dei delinquenti; terzo, i francesi sono stufi. 

E cosa faranno questi francesi stufi? Lo scrittore parla poi di «atti di resistenza» che secondo lui si verificheranno «quando interi territori saranno sotto il controllo dell’islam radicale»: attentati contro civili inermi, che lui chiama «Bataclan al rovescio». 

Qui si potrebbe dire che Houellebecq sta semplicemente facendo una previsione, peraltro assai poco originale dal momento che la stampa dà continuamente notizia di piani terroristici sventati. Ma il fondo del suo pensiero è reso più esplicito poco dopo, quando lo scrittore afferma che, poiché la Francia segue a traino le mode statunitensi, «la nostra sola possibilità di sopravvivenza sarebbe che il suprematismo bianco diventasse trendy negli USA», per poi diventarlo anche qui.

I nuovi reazionari

Il sospetto che lo scrittore non sappia di cosa sta parlando – ovvero di un movimento politico che ha già mietuto vittime in tutto il mondo, dagli Stati Uniti alla Nuova Zelanda, passando dalla Norvegia – può sorgere. Ma probabilmente è una pia illusione. 

Ne è passata di acqua sotto i ponti dai tempi del primo processo che Houellebecq si era trovato ad affrontare – e a vincere – per quella sua frase sull’islam del 2001, banale espressione del pregiudizio tardo-illuminista sulle religioni. All’epoca molta intellighenzia progressista si era infatti mobilitata per difendere, assieme allo scrittore, il sacro principio della libertà d’espressione. 

In vent’anni, però, una parte consistente di quella intellighenzia ha cambiato sponda politica: sono i cosiddetti “nouveau réacs”, i nuovi reazionari. Sebbene nel nostro immaginario l’intellettuale francese sia ancora uno scrittore impegnato a sinistra, modellato sulle fattezze da sileno di Jean-Paul Sartre, oggi i più noti e influenti maîtres-à-penser si sono fatti alfieri di un nazionalismo esacerbato e parlano senza remore di una “grande sostituzione” della popolazione autoctona che si realizzerebbe col tacito consenso delle élite corrotte. Non provengono dal fascismo, dal monarchismo, dal cattolicesimo tradizionalista o dall’Action française, come i militanti storici del Fronte nazionale, bensì da un centro radicalizzato. Illuministi, liberali, persino libertari (come Onfray), materialisti, kantiani e universalisti, che per difendere i valori della modernità ne abbracciano il lato oscuro, potenzialmente genocidario.

Lo spartiacque, soprattutto per Houellebecq, è stato l’attentato jihadista del 2015 alla redazione di Charlie Hebdo, dov’è morto il suo amico Bernard Maris. Da quel momento lo scrittore abbandona l’idea, formulata nel romanzo Sottomissione, di una conversione  pacifica (per quanto vigliacca) della Francia ai valori islamici.

Sono gli stessi anni in cui la destra e l’estrema destra francese iniziano a evocare con sempre maggiore insistenza l’ipotesi di una guerra civile sul suolo francese. Qualcuno inizia ad armarsi preventivamente, come si legge nella “fasciosfera” sul web, così rischiando di rendere autoavverante la profezia.

Un pastone confuso

(AP Photo/Daniel Cole, File)

In questo contesto infiammabile è tanto più pericoloso – come insegna Benoît Blanc – «parlare senza pensare» alle conseguenze delle proprie parole. Ma non è facile distinguere Michel Houellebecq dai suoi personaggi. Se metter loro in bocca certe idee ha spesso permesso al romanziere di lanciare il sasso e nascondere la mano, un’intervista data a proprio nome ha chiaramente uno statuto differente. D’altronde il suo interlocutore lo prende sul serio e gli dà ragione, impreziosendo la conversazione con ulteriori enormità.

Nell’intervista l’ambizione di trattare altissime questioni di civiltà si mescola a chiacchiere da bar. Onfray si lamenta dei treni che non arrivano in orario, Houellebecq sbuffa che non si parla abbastanza delle eccellenze dell’industria francese, al che l’altro ci tiene a precisare che gli antenati di Walt Disney vengono da un paesino della Normandia. È forse questo il «genio dell’assurdo» di cui parlava il Figaro?

I temi dell’inverno demografico, della microcriminalità, del fondamentalismo religioso, dell’escalation della violenza intercomunitaria, dell’Europa e del declino dell’egemonia occidentale, attraverso i quali spaziano i due Michel, sono sicuramente importanti. Non li hanno scoperti loro e non sono necessariamente un tabù nel dibattito mediatico e scientifico. Ma ci voleva il particolare talento di Onfray e Houellebecq per collegarli tra loro in un simile pastone confuso, che porta all’aberrante conclusione secondo cui per contrastare il calo demografico e l’impoverimento le classi medie francesi dovrebbero liberarsi dei musulmani.

Il declino occidentale

«Che Dio ti ascolti, Michel», dice Houellebecq a Onfray: è l’ultima frase di questa conversazione assai poco dissonante. Dietro l’incontinenza linguistica dei due intellettuali c’è una preoccupante irresponsabilità politica ma anche molta confusione concettuale sulle cause profonde del declino occidentale.

Dai tempi di Estensione del dominio della lotta (1994), Houellebecq eccelle nel raccontare il malessere del maschio occidentale gettato in una lotta di tutti contro tutti per soddisfare il desiderio sessuale.

Eppure lo scrittore sembra non riuscire a rassegnarsi al fatto che le civiltà nascono e muoiono, preferendo invece additare un capro espiatorio sul quale catalizzare la violenza. «Che Dio non ti ascolti, Michel», verrebbe semmai da dire.

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