In un articolo, apparso su queste pagine in occasione dell’uscita di Una vita nuova (Mondadori, 2021), Walter Siti scriveva: «Volo è ormai al suo dodicesimo romanzo, è ora che la critica si domandi le ragioni del suo straordinario successo di pubblico: che cosa c’è nei suoi libri che piace tanto ai lettori?».

Adesso, con la pubblicazione di Tutto è qui per te (sempre per lo storico editore di Volo, Mondadori), i romanzi sono 13 e la domanda di Siti continua a risuonare.

Riflettere su questo significa, in fin dei conti, interrogarsi su due elementi decisivi dell’industria libraria: cosa interessa leggere agli italiani (Volo è il fenomeno migliore per studiarlo avendo venduto, solo in Italia, milioni di copie) e cosa muove la critica a disinteressarsi o a ignorare un’opera che raccoglie un bacino così grande di lettori (resta un’ottima chiave per leggere le dinamiche culturali odierne, tra cui questa, il passo di Illusioni perdute di Balzac dove l’editore Lousteau, indottrina il grandioso e tragico protagonista Lucien Rubempré, giovane scrittore di provincia, sulle motivazioni, assolutamente non estetiche, che possono portare a stroncare un libro, a ignorarlo o a osannarlo).

Se a questo aggiungiamo il fatto che all’estero Volo ha una considerazione ben diversa da quella italiana (in Germania è pubblicato da un editore che ha in catalogo autori che per esempio qua abitano il catalogo Adelphi come Traven, Somerset Maugham e Chandler) la questione sembra assumere una portata ancora più rilevante.

Un romanzo sacrilego

In questo periodo storico e culturale i confini tra la cultura bassa e quella alta hanno perso pian piano la loro importanza (il che non vuol dire che non siano riconoscibili, ma piuttosto che non interessano più a molti, forse solo agli autori) e gli inganni del midcult (che attira il pubblico scimmiottando la Cultura Alta ma in realtà ne volgarizza e semplifica i contenuti, un fenomeno evidente sui social e ai festival culturali) non accennano ad affievolirsi, con il basso che si traveste da alto e l’alto che, di conseguenza, perde i connotati che lo rendevano tale.

In un orizzonte simile l’ultimo romanzo di Fabio Volo Tutto è qui per te appare quasi sacrilego perché sembra non essere animato da altro desiderio se non quello, ancestrale a dire il vero, di raccontare una storia e divertirsi nel farlo.

Il protagonista, Luca, è un uomo di mezza età che si trova in un momento della sua vita in cui non ha più tempo per decidere chi vuole essere: il suo sismografo sono due relazioni amorose che ne polarizzano le scelte e gli offrono quadri assai diversi, quella con la giovane segretaria della palestra dove si allena e che ha quasi la metà dei suoi anni (Matilde, soddisfatta di avere una relazione con il protagonista e di avere comunque tempo per le sue “serate con le amiche”) e quella con Lucia, la fidanzata con cui ha trascorso un amore travolgente in gioventù e che ritrova proprio nel momento in cui si sta lasciando con il marito.

A condire il tutto una madre che in pratica considera suo figlio un traditore per il suo desiderio di affrancamento (vengono in mente le pagine di Il lamento di Portnoy dove Philip Roth, causticamente divertito, descriveva l’invadenza travolgente della madre di Alex che ne segnerà la vita in maniera inequivocabile) e un titolare a lavoro (il protagonista si occupa di import-export di vini tra Italia e Francia) che è quasi un padre e che, coraggiosamente, ha sempre visto in Luca un potenziale uomo di successo.

La storia procede in maniera piana attraverso capitoli brevi e maneggevoli e richiama le altre opere di Volo, per i nodi della trama che pian piano trovano una loro risoluzione (in questo Volo è perfettamente calibrato), per alcuni innocenti luoghi comuni («Quei destini non imboccati muoiono nella vita reale ma dentro la nostra testa vivono per sempre e offrono ancora il loro riverbero.

Almeno questo è quello che succedeva a me»), spunti umoristici e incisi autoironici sull’età che avanza («In quegli anni per comunicare bisognava incontrarsi, non esistevano i telefonini, e non esistevano i minuti illimitati, tanto che in certe famiglie il telefono fisso veniva chiuso con un lucchetto»).

Ritrovarsi

ANSA

Per inquadrare il fenomeno Volo restano valide le parole che Umberto Eco ha scritto in Fenomenologia di Mike Bongiorno, perché come Bongiorno Volo ha un rapporto straordinario con il pubblico in quanto «non provoca complessi di inferiorità pur offrendosi come idolo» e questo, di conseguenza, «lo ripaga, grato, amandolo», perché Volo «rappresenta un ideale che nessuno deve sforzarsi di raggiungere perché chiunque si trova già al suo livello».

Da questo punto di vista interrogarsi sul funzionamento della sua opera in maniera alquanto imprevedibile porta a pensare a La trasfigurazione del banale, un saggio del filosofo dell’arte Arthur Danto incentrato sui meccanismi che portano un oggetto quotidiano, per esempio le zuppe Campbell di Warhol o i ready-made di Duchamp, a diventare opere d’arte.

Il libro di Danto risponde infatti a tutti quelli che liquidano l’arte contemporanea con la formula «lo potrei fare anch’io», andando oltre al «perché non lo fai?» (botta e risposta valido anche per Volo) e mostra invece come a «fare la differenza (siano) le relazioni che legano la cosa a elementi che l’occhio non può cogliere».

Se si prova a immergere i libri di Volo dentro i ragionamenti di Danto, il risultato è interessante perché qui il procedimento è quasi contrario: Volo sceglie il quotidiano e situazioni comuni, ma non pare interessato a trasfigurarli in opere d’arte, si ferma un momento prima che si compia questo atto magico, alla fase in cui il lettore comune ritrova sé stesso, un suo pari, e i suoi dubbi, proprio come accadeva ai telespettatori con Bongiorno.

Probabilmente vanno intese anche così le numerose riflessioni attorno al senso della vita e ai massimi sistemi presenti nel libro, perché per la loro natura spontanea sono il semplice punto di vista dello scrittore sull’argomento, non nutrono alcuna pretesa universale ma, più semplicemente, offrono al lettore le riflessioni di Volo che così si avvicina a una prosa «onesta», per citare Saba, a una prospettiva idealmente simile a quella di Manzoni per come descritta dal poeta triestino, cioè abitata dalla «costante e rara cura di non dire una parola che non corrisponda perfettamente alla sua visione».

Una scrittura quindi personale, senza, come ha detto lo stesso Volo, «intuizioni geniali o punti di vista sconvolgenti» (mentre resta indubbia la soddisfazione di aver portato in libreria così tanti lettori), desiderosa di trasmettere autenticità (certo semplificando, ma in maniera consapevole, il mondo esterno, catturando perfettamente ciò che i tempi suggeriscono e i lettori desiderano), senza scrivere, sono sempre parole di Saba, «per meschini motivi di ambizione o di successo».

«Alla fine nella vita vince chi è autentico» pensa a un certo punto il protagonista di Tutto è qui per te e non è difficile intravedere dietro queste parole, beffardo, il volto di Fabio Volo.

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