Mercoledì sono andata a vedere Challengers al cinema, a sei giorni dall’uscita nelle sale italiane, che in anni dei cani e tempo dell’internet equivalgono a due mesi. L’ansia di essere esclusa dal discorso (un discorso, dei discorsi, tutti i discorsi) mi attanagliava, mi sentivo in ritardo, mi sembrava l’avessero già visto tutti. Mi sembrava quasi di averlo già visto pure io.

Sono settimane infatti che il mio feed di Instagram è dominato dal girovita bidimensionale di Zendaya e dalla luce che costei emana, e la sua onnipresenza mi costringe ad affrontare domande esistenziali quali: se lei è una donna, io cosa sono? Mi si può archiviare come mostro marino? E se il suo è un punto vita, è forse un tronco d’albero quello che connette il torso alle mie gambe? E così via, in un fantastico viaggio nell’autostima femminile.

Più ragionevolmente, l’algoritmo della sezione “esplora” di Instagram continua invece a propormi solo immagini e video di Josh O’Connor, un’ossessione iniziata tempo fa e di recente supportata dal suo ingresso nel cinema mainstream e da questa improvvisa sovrabbondanza di contenuti sul suo conto, che mi trova estremamente favorevole, oltre a mettere in crisi la mia relazione con l’uomo con cui vivo da anni, ahimè sprovvisto di fossette.

Trailer di Challengers, foto di Challengers, promo di Challengers, red carpet di Challengers, accompagnano le infinite opinioni su Challengers, che mi sono parse fin dall’inizio più che unanimi nell’anticipare un film molto sexy su un triangolo amoroso tra persone molto attraenti unite dall’assidua frequentazione dei campi da tennis.

Le immagini di questo ménage a trois e i titoli enfatici di chi l’aveva visto in anteprima suggerivano che saremmo dovuti andare al cinema con il bavaglino e una cerata da stendere sulle poltrone, tale era l’erotismo promesso dal nuovo film di Luca Guadagnino, il quale sa fare molte cose e raccontare il desiderio è ai primi posti della lista.

L’erotismo che non c’è

Dopo due ore di bicipiti sudati, addominali lucidi, chiappe sode e tempeste (sia letterali che ormonali) scandite dalla colonna sonora di Trent Reznor e Atticus Ross – che una signora accanto a me ha cercato di rintracciare con Shazam per tutta la durata del film, evidentemente non conoscendo il concetto di “original soundtrack” – e dalla carrellata senza pudore di tutti i marchi di moda disponibili sul mercato – fatta eccezione, direi, solo per il brand di gioielli dell’amica di mia mamma – ci siamo ritrovati nella strada fuori dall’Anteo in un gruppo di conoscenti incontrati per caso, altre vittime della Fomo che avevano preso la decisione controversa di passare il pomeriggio del primo maggio al cinema, tutti frastornati e su di giri, sollevati che il film che avevamo atteso con trepidazione indotta fosse dopotutto all’altezza delle aspettative. Finché un’amica non ha deciso di squarciare il velo di Maya e ci ha chiesto: ma voi, tutto questo erotismo, lo avete percepito?

«Sì!» rispondo io senza neanche farle finire la domanda e forse alzando un po’ troppo la voce, mentre evito lo sguardo del mio fidanzato e faccio del mio meglio per scacciare dalla mente il primo piano su Josh O’Connor che mangia una banana. Tuttavia mi rendo conto che “voglio i suoi figli con le orecchie a sventola” non sarebbe un’argomentazione sufficientemente solida per partecipare al dibattito, così ascolto gli altri convenire che si aspettavano un’altra cosa.

Tashi (il personaggio di Zendaya), non è così sensuale, su questo sono tutti d’accordo, e la tensione erotica fra i due amici che se la contendono, evitando accuratamente di indagare il proprio rapporto (Faist e O’Connor), non è niente di che. Quello che stanno dicendo, o almeno quello che io decido di capire, è che avrebbero voluto vedere l’ammucchiata.

La promessa del sesso è talmente costante e tirata che l’unica soluzione possibile, in effetti – da un punto di vista di pulsioni umane e non di qualità cinematografica – è il sesso vero. Ma Guadagnino, che non penso abbia l’ambizione di dirigere dei porno, lo sa che è proprio questa frustrazione che ci ricorderemo, che ci elettrizza fino all’ultimo secondo del film, quindi il sesso continua a farcelo solo annusare.

Rendere il sesso interessante

Quasi letteralmente, visto che l’unico personaggio esplicitamente dionisiaco è Patrick (O’Connor), che dorme in macchina, fuma in continuazione e ha poca familiarità con la doccia, come nota una coppia di clienti dell’albergo in cui la carta di credito di Patrick viene rimbalzata senza possibilità di redenzione. Patrick è anche l’unico che scopa.

Non è il primo film in cui O’Connor è sudicio e irresistibile, come ha giustamente rilevato un ineccepibile articolo di Vulture intitolato Let Josh O’Connor Be Extremely Filthy in Everything: in God’s Own Country, un Brokeback Mountain ambientato nello Yorkshire, interpretava un pastore e in quanto tale passava molto tempo in mezzo alle capre (ma anche dentro alle capre, almeno con le mani); nel bel film di Alice Rohrwacher, La chimera, era un tombarolo dotato di un solo abito color sabbia – forse bianco, in origine – la sua dimora era una baracca di lamiere e si “lavava” in una bacinella.

Un personaggio che non deve aver richiesto chissà quale sforzo Stanislavskij: per girare il film di Rohrwacher, O’Connor ha vissuto per mesi nel suo camper sfornito di acqua corrente, lavandosi nel lago di Bolsena. Insomma l’omo ha da puzzà, ma solo se ha l’aspetto di Josh O’Connor, per quanto mi riguarda.

Mentre cerco “Josh O’Connor fidanzata” su Google nella speranza di trovare una candidatura aperta, riconosco l’inconfondibile follia delle mie cotte adolescenziali, che trascendevano l’attrazione fisica e sfociavano sempre nell’innamoramento assoluto e nella fantasia romantica, per finire poi affisse nel collage che tappezzava il mio armadio.

Mi chiedo se gli adolescenti di oggi provino la stessa cosa di fronte al tennista bello e puzzone o se preferiscano il rivale Art (Mike Faist), che con ogni evidenza profuma di bucato. Mi chiedo se ancora tappezzino gli armadi e le camerette, o se l’iPhone abbia soppiantato l’usanza, o se del sesso freghi ancora a qualcuno. Quello che è certo è che Guadagnino ha trovato il modo per renderlo interessante: farlo sparire.

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