Pubblichiamo un estratto dal libro Misure attive, di Thomas Rid, che ricostruisce la storia segreta della disinformazione dagli anni Venti del Novecento ai giorni nostri. Il libro, edito nella sua versione italiana da Luiss, 2022, è considerato uno dei lavori più significativi sul tema, a livello internazionale. Nel capitolo che proponiamo, intitolato Misure digitali, l’autore riprende alcune pratiche diffamatorie compiute dallo spionaggio russo attraverso l’uso dei media. Il periodo è quello compreso tra il 1999 e il 2009, mentre Putin era un ufficiale in carriera dell’intelligence russa, nascevano i solcial network, e prendevano forma i primi hackeraggi informatici.

Il video diffamatorio contro Skuratov

Yuri Skuratov, procuratore generale della Russia tra il 1995 e il 1999. Archivio RIA Novosti, immagine #21953 / Boris Babanov / CC-BY-SA 3.0

Rtr, la tv di Stato russa, segnalò agli spettatori che la clip che stava per andare in onda, intitolata A letto in tre, non era adatta ai minori di diciott’anni. Nel video sgranato in bianco e nero c’era un uomo che si avvinghiava a due giovani donne nude. Era la mezzanotte del 17 marzo 1999. Si diceva che l’uomo nel video, per quanto difficile da riconoscere, fosse Yuri Skuratov, procuratore generale della Russia. Il video era strato registrato più di un anno prima, in un lussuoso appartamento sulla via Poljanka a Mosca.

Quella trasmissione notturna fu l’apice di una battaglia che infuriava da mesi. In autunno, Skuratov aveva aperto un’indagine volta a incriminare per corruzione e abuso di potere il presidente Boris Eltsin. All’inizio di gennaio, gli uomini di Eltsin erano partiti al contrattacco.

Il presidente organizzò un incontro tra il capo del proprio staff e Skuratov. Il primo mostro il video al procuratore, gli fece capire che avrebbe potuto renderlo pubblico, e gli chiese di dare le dimissioni. Skuratov si dimise, ma decise di reagire. Il video andò in onda a meta marzo, mentre infuriava lo scontro per influenzare l’imminente voto parlamentare sul mandato del procuratore generale. Non era chiaro se l’uomo nudo fosse davvero Skuratov.

Putin nel procedimento contro Skuratov

Vladimir Putin nell'uniforme del Kgb, 1980 (Foto Kremlin.ru CC BY 4.0)

All’epoca a Mosca la macchina del fango era spietata. Vladimir Putin, ufficiale di carriera dell’intelligence, era il nuovo capo dell’Fsb, l’organizzazione che aveva preso il posto del Kgb. Da giovane ufficiale del Kgb, Putin aveva prestato servizio nella rezidentura di Dresda, creata appositamente per attuare misure attive contro la Germania Ovest nel periodo in cui tali operazioni venivano condotte con un’astuzia senza precedenti.

Erano passati dieci anni, Putin era alla guida dell’Fsb, ed era di nuovo tempo di giocare sporco. Qualche giorno dopo la messa in onda di A letto in tre sulla Rtr, si sparse la voce che Putin fosse collegato allo scandalo, e che lui stesso fosse stato ripreso in situazioni intime nel medesimo appartamento, e che pertanto sarebbe stato presto costretto a farsi da parte.

Accadde l’esatto contrario. Il 29 marzo, Putin venne nominato segretario del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa, mantenendo il suo ruolo di capo dell’Fsb. Il primo aprile, un procuratore di Mosca aprì un procedimento penale contro Skuratov e il mattino dopo, durante una conferenza stampa, Putin dichiaro che «quella persona che sembrava Skuratov» lo era davvero: «I primi rilievi sul video lo confermano». Putin rivelò inoltre che contro il procuratore generale era stato aperto un caso dal suo stesso ufficio.

Eltsin, sotto assedio, aveva firmato la sospensione di Skuratov fino alla fine delle indagini; le linee telefoniche del procuratore furono tagliate, vennero messi i sigilli al suo ufficio, le sue guardie vennero sostituite e gli fu vietato di entrare nel suo ex posto di lavoro o in qualunque edificio governativo.

La conferenza stampa di Putin diede il via a ulteriori attacchi a Skuratov. Una delle prostitute del video dichiaro che con la sua collega chiedeva 500 dollari per ogni rapporto, e che negli ultimi diciotto mesi Skuratov aveva già pagato loro 50mila dollari. La battaglia tra Skuratov, Eltsin e Putin sarebbe proseguita per molti altri mesi. Il video segnò la brusca fine del procuratore generale, e l’altrettanto rapida ascesa del futuro presidente.

Il filmino di via Poljanka rappresentava un classico dello spionaggio: un video compromettente fornito alla stampa per motivi politici, senza il bisogno di Internet. All’epoca, in Russia gli utenti del web erano meno di un milione, quasi tutti a Mosca (negli Stati Uniti erano circa 70 milioni).

La versione web del kompromat

Molti politici russi non avevano ancora un proprio sito, ma malgrado l’arretratezza dell’élite, a Mosca capirono subito quanto Internet potesse tornare utile alla disinformazione. Nella stessa campagna presidenziale del 1999, sempre a Mosca e coinvolgendo alcuni degli stessi personaggi, venne sperimentata la versione web del kompromat, la pratica diffamatoria tipica della cultura russa.

Il primo esempio fu probabilmente lujkov.ru, un sito dedicato a Yuri Luzhkov, sindaco di Mosca con ambizioni da presidente. Apparso all’improvviso il 21 settembre, giorno del compleanno del sindaco, il sito clonava quello ufficiale, ma era pieno di frecciate che demolivano la sua persona. Ben presto apparvero siti altrettanto diffamatori dedicati ad altri politici, compreso Putin; putin-president.da.ru all’apparenza era un sito a suo favore, ma nei fatti si scagliava contro di lui. Nel 1999 arrivò un sito chiamato semplicemente kompromat.ru, pieno di rivelazioni su un gran numero di figure pubbliche, politici compresi. Alla fine del Ventesimo secolo, Google era ancora un’oscura startup, e mancavano ancora cinque anni alla nascita di YouTube, Facebook e Twitter. Si cominciava però a usare Internet come piattaforma per le misure attive.

L’Svr, il servizio d’intelligence russo

Il funerale di Yuri Luzhkov, dicembre 2019. L'ex sindaco di Mosca dal 1992 al 2012 è stato uno dei il fondatore del partito Russia Unita.  (Mikhail Klimentyev, Sputnik, Kremlin Pool Photo via AP)

Sergei Tretyakov, ufficiale di carriera dell’Svr [il servizio di intelligence internazionale della Russia, dopo la Guerra fredda, derivava dal Primo direttorato del Kgb, ndr], in seguito passato al nemico, diresse la rezidentura di New York dall’aprile del 1995 all’ottobre del 2000. L’Svr, ancora con sede a Yasenevo, telegrafava regolarmente materiale di propaganda a New York perché raggiungesse i suoi obiettivi finali. Gli agenti dell’intelligence russa ora potevano sfruttare Internet saper la disinformazione. Nelle sue memorie, Tretyakov ha ricordato come gli agenti si servissero della biblioteca pubblica di New York (Nypl) per postare su vari siti e inviare email alla stampa americana. Proprio a Manhattan, nella luminosa sala lettura della Nypl, le spie russe tramavano nell’ombra. A volte fingevano che si trattasse di materiale formativo o di saggi scientifici, attribuiti in genere a immaginari studiosi europei con nomi plausibili o ad aziende che si occupavano di ricerca.

L’intelligence russa inizio a sfruttare Internet al momento giusto: la rete globale si era sviluppata abbastanza da poter diffondere la disinformazione, ma ancora non al punto da smascherarla. L’Svr si rivolgeva alle vittime più innocenti e facili da raggirare, come aveva fatto il Kgb per decenni: attivisti e intellettuali critici nei confronti del governo americano.

Ambientalisti, nemici della globalizzazione e organizzazioni per i diritti umani ricevevano il canonico mix di fatti e bugie che rafforzavano le contraddizioni preesistenti. «Il nostro scopo era disseminare dissenso e inquietudine negli Stati Uniti e sentimenti antiamericani all’estero» ha ricordato Tretyakov.

La nascita dei social network

In occidente, nel frattempo, le reti informatiche facevano nascere utopie e distopie. Twitter debuttò a metà di luglio del 2006. Due mesi dopo, Facebook, nato come una piattaforma per gli universitari, aprì le porte a chiunque avesse più di tredici anni. A novembre, Google acquisto YouTube, una startup di grandissimo successo nata solo diciotto mesi prima. Queste aziende trasudavano ottimismo e l’ingenuità dei giovani. Era il momento di un’informazione libera, con contenuti creati dagli utenti e condivisi nel modo più semplice, rapido e diffuso possibile. La frontiera elettronica avanzava tanto rapidamente da non lasciare tempo a verifiche e fact-checking.

I piani alti della Nato si stavano convincendo che sarebbe stato possibile vincere la guerra del futuro digitalmente, senza sparare un singolo colpo. Il warfare del futuro sarebbe stato rapidissimo e avrebbe sfruttato le reti informatiche, come dimostrato dalla guerra del Golfo. Le scorciatoie digitali tra sensori e bocche di fuoco avrebbero rischiarato il cielo della guerra in modo rivoluzionario.

Alle utopie miliari si contrapponevano però le visioni distopiche di una “cyberwar” e di una possibile “Pearl Harbor elettronica”. Il paese che aveva inventato Internet era vulnerabile come nessun altro agli attacchi da remoto.

Nella Silicon Valley predominava un ottimismo sfrenato, mentre a Washington prevaleva il pessimismo. Entrambi gli atteggiamenti, nel decennio a venire, sarebbero stati sfruttati dalle misure attive per motivi diversi: l’utopismo avrebbe reso più semplice condurre operazioni segrete; l’approccio distopico avrebbe invece facilitato la falsificazione dei risultati. Si stava formando il giusto sistema per una tempesta perfetta.

Gi attacchi ai siti estoni del 2007

Soldato di bronzo. Tallin, Estonia, cimitero di guerra nel distretto di Juhkentali

Un evento epocale per il ritorno delle misure attive nel Ventunesimo secolo avvenne a Tallinn, in Estonia, dove aveva mosso i primi passi l’Operazione Trust di Dzeržhinsky nel Ventesimo secolo. Partì tutto dal progetto di ricollocazione di una statua di un soldato dell’Armata rossa della Seconda guerra mondiale.

Il cosiddetto “Soldato di Bronzo” era stato inaugurato dalle autorità sovietiche nel 1947 e presentato come un monumento ai “liberatori di Tallinn”. Per i russi in Estonia rappresentava la vittoria sovietica sul Terzo Reich, ma per gli estoni era invece il simbolo dell’occupazione russa durante la Guerra fredda.

Per loro “liberazione” significava liberarsi di quel monumento. Nell’estate del 2007, il governo cittadino decise di spostare il Soldato di Bronzo dal centro della città al cimitero militare in periferia. Le tensioni esplosero come un congegno a orologeria: il 26 aprile a Tallinn iniziarono rivolte e saccheggi.

Molti siti estoni smisero di funzionare, disattivati da attacchi hacker e false richieste di informazioni che intasarono i server. L’equivalente digitale delle rivolte nelle strade raggiunse l’apice il 9 maggio, giorno in cui la Russia ricordava l’anniversario della vittoria sulla Germania nazista: cinquantotto siti estoni vennero disattivati nel corso di uno dei più vasti attacchi di questo genere. Hansapank, tra le più grandi banche del paese, dovette interrompere i servizi online per novanta minuti, e il giorno dopo, il 10 maggio, per ben due ore.

Gli attacchi ebbero un impatto materiale limitato, mentre la reazione psicologica e politica fu sproporzionata, sia in Estonia che a livello internazionale. Il nuovo ministro della Difesa estone dichiarò che «un botnet aveva minacciato la sicurezza di un’intera nazione». Il primo ministro paragonò «il blocco di istituzioni governative e siti d’informazione» al «blocco di porti e aeroporti».

La stampa internazionale calcò ancora di più la mano. La rivista Wired parlò di «Prima guerra del web», mentre il New York Times la definì la «prima guerra nel cyberspazio». Non è ancora stato chiarito se quegli attacchi per interrompere il servizio di vari siti siano stati opera di attivisti di lingua russa, delle forze di sicurezza russe o di una combinazione dei due. Certo, invece, era l’inizio di una nuova era.

I fatti di Tallinn dimostrarono a tutti gli esperti di intelligence che le misure attive stavano diventando sempre più attive: Internet consentiva di attaccare direttamente le macchine sfruttando i codici informatici, la copertura dei media avrebbe poi amplificato l’impatto delle misure a distanza.

L’aspetto nuovo di questi attacchi e le convinzioni dispotiche della Nato, che temeva una cyberwar, facevano in modo che politici, militari e giornalisti ne esagerassero gli effetti. Le misure attive del Ventunesimo secolo apparivano a basso rischio, ad alto impatto e facili da negare. Internet sembrava essere stata pensata appositamente per la disinformazione, anche prima della diffusione dei social media.

I sex tape sui diplomatici Uk e Usa

Nell’estate del 2009 ci furono due importanti leak. Su un piccolo sito chiamato Informacia apparve un video di quattro minuti intitolato Le avventure di Mr. Hudson in Russia.  James Hudson era il  viceconsole britannico a Ekaterinburg, negli Urali.

Nel video lo si vedeva entrare in una stanza con un bicchiere in mano, indossando solo una vestaglia aperta, in compagnia di due donne bionde. Ne baciava una, mentre l’altra gli sedeva in grembo.

Le autorità russe confermarono. «Il video e autentico» disse al Daily Mail un portavoce del ministero degli Interni a Ekaterinburg. «Non possiamo esprimerci su chi sia il protagonista, provate a chiedere al consolato britannico». A Londra si diceva che Hudson poteva essere un agente sotto copertura dell’intelligence britannica, e che i russi stessero cercando di ricattarlo e fargli cambiare fazione. «L’intelligence russa ha sempre usato filmini erotici e foto compromettenti per controllare le persone e perseguire i propri scopi» dichiarò al Sun una fonte della sicurezza britannica.

Qualche settimana dopo, sullo stesso sito russo venne preso di mira il trentacinquenne Kyle Hatcher, un diplomatico americano in servizio a Mosca. In questo caso il sex tape era stato parzialmente contraffatto con l’inserimento di scene compromettenti. Un portavoce del Dipartimento di Stato spiegò che Hatcher «era stato avvicinato dai russi» e che «avevano provato a ricattarlo, ma il suo comportamento era stato impeccabile». L’ambasciatore americano diede pubblicamente il proprio sostegno all’agente.

Il Foreign Office britannico e l’ambasciata americana a Mosca non negarono (né confermarono) le insinuazioni di due giornali russi, che sostenevano che i loro diplomatici lavorassero per l’intelligence. A Mosca sapevano che i tabloid inglesi se la sarebbero spassata con la storia di Hudson e che le avrebbero dato visibilità come si faceva un tempo. Il Sun non deluse le aspettative, titolando «Il nostro agente in Russia si tira fuori dopo il suo filmino a base di sesso urale».

Il primo decennio del Ventunesimo secolo vide la sovrapposizione imperfetta di due tattiche ben distinte: i leak vecchio stile di materiale compromettente e i primi tentativi di hacking e di sabotaggio via Internet. Nessuna agenzia di intelligence aveva ancora cercato di combinarle.


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