Mia madre e io non abbiamo avuto un rapporto semplice. Non so se posso aggiungere che non abbiamo nemmeno oggi un rapporto semplice. Credo, comunque, che invecchiando abbiamo smesso di volerci fare male. Non sono stata la figlia che lei voleva e viceversa. Non mi sono sentita vista e oggi sono disposta a riconoscere che non è accaduto nemmeno il contrario. Quel che ricordo chiaramente è che, per molti anni, l’unica cosa che ho saputo è che non volevo assomigliare a lei. Quando ancora ignoravo chi volevo diventare, sapevo per certo di non volerle assomigliare. Poi, qualcosa è cambiato e qualche settimana fa centinaia di donne mi hanno raccontato un’esperienza simile, travolgendomi quasi con ricordi e confessioni che delineano una relazione, tra madre e figlia, mutevole, finché morte non ci separi e anche dopo.

Il sabato e la domenica all’alba sono in diretta su Rai Radio2 con il programma Ovunque6 Morning Show che apro leggendo un testo di poche righe, chiamato Risveglio che viene pubblicato sulla pagina Facebook della rete. Qualche settimana fa, ispirandomi a un articolo del Guardian che racconta di uomini e donne che hanno fatto propri i passatempi dei genitori, ho raccontato di come nel corso degli anni ho inconsapevolmente assunto abitudini di mia madre e di un mio amico che, dopo aver perso la sua, ha cominciato a cucinare i piatti che le riuscivano meglio. Quella mattina, sono arrivati molti messaggi e sarebbe andata avanti così per giorni. Scrivevano per la gran parte donne che si riferivano soprattutto a una madre che non c’è più. È stato così che ho pensato a un podcast in uscita il giorno della Festa della mamma sebbene non abbia mai dato peso a questa ricorrenza, e non per via della mia mamma. O forse sì, anche.

Il legame di sangue

L’anno scorso, il premio Nobel per la Letteratura è stato assegnato ad Annie Ernaux «per il coraggio e l’acume clinico con cui ha svelato le radici, le rimozioni e i limiti collettivi della memoria personale». Nel suo libro Una donna, in cui, dopo la morte della madre ne ricostruisce la storia, Ernaux cerca di non considerare «la violenza, gli eccessi di tenerezza, i rimproveri» della madre solo come tratti del suo carattere e di considerare invece anche la sua condizione sociale e, così facendo, le sembra di «andare nella direzione della verità» uscendo dalla «solitudine e dall’oscurità del ricordo individuale tramite la scoperta di un significato più generale».

Leggendo e rileggendo i messaggi delle ascoltatrici, mi chiedevo se non fosse possibile fare qualcosa di simile: provare a trovare un significato più generale, mettendo insieme le loro parole e quelle di scrittrici che sono andate alla ricerca della madre, come Natascha Wodin che in Veniva da Mariupol scrive di quando ha provato per la prima volta il sentimento che probabilmente è quel che si chiama legame di sangue cioè una sorta di senso di appartenenza, profondamente fisico, alla specie umana. O Dubravka Ugresič che nel libro Il museo della resa incondizionata racconta di come si accorge di aver sempre saputo così poco della madre e fa la cronaca implacabile di una resa dei conti con l’invecchiamento del viso, quello della madre e il suo.

Ritrovarsi

Mia madre era terrorizzata all’idea di invecchiare e, forse perché era ancora molto giovane quando me ne parlava, o comunque ancora molto bella, doveva fare uno sforzo per rendere l’intensità di quella sua emozione e così sembrava quasi trasformarsi mentre prefigurava ciò che l’attendeva. Ed è stato forse vedendola invecchiare che ho cominciato a guardarla in modo diverso da come avevo fatto fino a quel momento.

Patrizia mi ha scritto che quando ha voglia di stare con sua mamma che non c’è più va in cucina ad impastare. E aggiunge: «Lei lo faceva sempre. In cucina sono sempre con lei e facciamo i nostri discorsi». Franca: «Dicevo non voglio essere come lei, invece lo sono sempre più». Alma: «È veramente incredibile eppure è così. Mi ritrovo a fare le cose che mia madre amava di più e che prima criticavo». Marinella: «È proprio così. Ad una certa età, mi sono ritrovata simile a mia madre in moltissime cose, anche qualcuna di quelle che non mi piacevano».

Provo a pensare alle cose di mia madre che non mi piacciono e ad applicarle alle mie giornate, ai miei discorsi, ai miei pensieri, alle mie opinioni politiche: scuoto la testa, penso che riuscirò ad evitarlo, ma anche prendendo in considerazione l’ipotesi che, invece, accada, non riesco ad arrabbiarmi. Anni fa, mi sarei arrabbiata moltissimo. Oggi, mi sembra piuttosto di comprendere lo stato d’animo di Cettina che scrive: «Dopo aver passato tanto tempo a cercare di essere diversa, a 62 anni ritrovo in me gli stessi gesti e le stesse frasi che erano di mia madre». È davvero così o la memoria di una madre che non c’è più si ammorbidisce, si fa sfocata proprio intorno agli spigoli che provocavano attriti e incomprensioni e dolore? Rachele scrive poche parole, dei macigni: «Le mamme, si apprezzano maggiormente dopo morte». Grazia le risponde: «Una delle cose più tristi che abbia mai sentito! Se è vero, anche di più». E allora mi chiedo: è vero?

Un pezzo in più

Lo chiedo a Monica Burato, amica e psicoterapeuta. Una delle prime cose che mi dice è che alla mamma viene sempre chiesto un pezzo in più. Penso a mia madre, a quanto spesso mi ha detto che sono sempre stata più comprensiva verso mio padre che verso di lei. Non credo sia vero ma ora capisco di che ferita parlava. La sorellanza è stata una conquista per me e chissà che non lo sia per la maggior parte delle donne che mi hanno scritto. Abbiamo tutte dovuto imparare l’alleanza con quella mamma a cui abbiamo chiesto un pezzo in più rispetto a quanto abbiamo chiesto al padre.

Durante l’intervista, Monica mi dice che, se avviene una vera separazione dalla madre, si smette di sentirsi figlia e si riesce a vedere la madre da donna a donna, quindi chi ha fatto una riflessione più profonda ne vede più sfumature ma anche solo intuitivamente da donna a donna si diventa più comprensive, indulgenti verso la madre. E poi aggiunge un passaggio fondamentale: «La separazione accade con il perdono». Penso sia quello che mi sta succedendo, da quando ho smesso di portare rancore a mia madre. Monica annuisce, dice: «Ti riprendi i pezzi buoni». Secondo la sua esperienza clinica, è più possibile che questo accada quando le mamme non ci sono più. Penso al messaggio di Patrizia che mi ha scritto: «Come sarebbe bello se tutto questo riuscissimo a farlo quando loro sono ancora in vita».

Il movimento di pacificazione, mi dice Monica, è un movimento emotivo e quando una figlia si pacifica, si rende conto che la madre non poteva fare di più e allora si chiede da dove è passato l’amore. «Questo è importante», mi specifica, perché «esce nei messaggi che mi hai fatto leggere».

Amore in cucina

C’è molto cibo nei messaggi delle ascoltatrici. «Allora, da dove è passato l’amore?». Nella cultura mediterranea passa dal cibo ed ecco perché, dice Monica, riemergono le ricette di famiglia, i profumi della cucina perché quelle mamme pur con le loro disattenzioni, le fragilità, le fatiche, con la difficoltà ad accompagnare i moti di separazione della propria figlia però, evidentemente, facevano trovare la cena pronta alle figlie, calda, cucinata.

Lucia: «Ho perso la mia mamma da pochi mesi e fare le cose che faceva lei, cucinare come cucinava lei me la fa sentire ancora vicina, attenua un po’ il dolore, mi fa stare meglio». «Certo», commenta Monica, e dice che il tempo del lutto è un tempo personale e magari non si è avuto modo di salutare la persona a cui si è voluto bene perché è morta improvvisamente o perché da vivi può essere difficile salutare chi se ne sta andando se non si è pacificati nella relazione. Perciò, cucinare quel che cucinava la mamma permette un tempo personale di saluto. Ci si riprende la ricetta, il pezzo bello della mamma, il pezzo amorevole, a cui sono collegati dei bei ricordi con lei e così ci si separa, la si lascia andare.


Dal 14 maggio sarà  disponibile su Rai Play Sound il podcast Mamma mia, una miniserie in quattro puntate, scritto e letto da Natascha Lusenti, prodotto da Rai Radio2.

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