«Quanto alla politica, i dublinesi votano la birra, non il partito». In un dialogo serrato tra i fratelli Edward e Arthur Guinness, due dei quattro figli del patriarca Sir Benjamin Lee Guinness, emerge il significato profondo di una famiglia alle prese con un delicato processo di trasformazione: la morte del fondatore, il senso per gli affari, il potere politico come fine, il cinismo calcolatore di chi eredita un impero nel bel mezzo di rivolgimenti sociali e nazionali che presto disegneranno una nuova fisionomia nei rapporti tra la corona britannica e l’Irlanda, la periferia povera e sottomessa ormai in procinto di alzare la testa.

Gli ingredienti di House of Guinness, la serie tv Netflix sulle vicende famigliari del birrificio più famoso dell’Isola di Smeraldo, sembrano amalgamarsi tutti al punto giusto come una pinta di birra scura ben spillata, dilatando i tempi e creando l’attesa per poterne gustare l’essenza.

Il racconto unico

Non è più un mistero che i migliori period drama, i drammi in costume che mirano a ricostruire e affrescare epoche e mitologie del passato, siano prodotti al di là della Manica e che le piattaforme streaming come Netflix, Prime Video o Disney+, abbiano contribuito negli ultimi anni ad accelerare questo processo e definire uno stile di racconto unico. Dopo Peaky Blinders, The English Game o A Thousand Blows, giusto per citarne alcuni, House of Guinness continua lungo la strada di questa tradizione imbastendo una messa in scena epica e sontuosa in cui memoria storica (alquanto romanzata), azione, politica, intrighi famigliari si mescolano in un quadro corale.

Otto lunghi episodi consentono di moltiplicare le linee narrative, di articolare i personaggi e le loro relazioni, di aprire squarci sull’inevitabilità della modernità che, impietosa, presenta il conto ad antiche dinastie fondate sul privilegio e a equilibri sociali poggiati sull’ingiustizia e le disuguaglianze. Ideata da Steven Knight (artefice, appunto, di Peaky Blinders, sulle scorribande di una gang nell’Inghilterra a cavallo tra XIX e XX secolo), la serie trova il suo innesco perfetto nel funerale di Sir Benjamin Guinness, il fondatore del birrificio; il feretro che attraversa le strade di Dublino è l’espediente che incendia gli animi e la narrazione, con i cosiddetti “feniani” (i membri della Fratellanza irlandese, fautori dell’indipendenza dell’isola dal Regno Unito) che assaltano il corteo funebre lasciando intendere che i rapporti tra cattolici repubblicani e protestanti unionisti non saranno più gli stessi.

Un nuovo ordine sociale si staglia sullo sfondo degli affari di famiglia; è questa la chiave che caratterizza i period drama ambientati in quel contesto storico-culturale con i Guinness che incarnano contraddizioni, ma anche speranze di cambiamento. Irlandesi, ma protestanti; con i piedi piantati a Dublino, ma con interessi nel parlamento londinese e nei luoghi della diaspora sparsi per il mondo.

I quattro figli eredi di Sir Benjamin incarnano anime diverse: Arthur, politico in procinto di essere eletto a Londra, immischiato in relazioni omosessuali che potrebbero compromettere il “buon nome” della famiglia; Edward, il pragmatico, dedito giorno e notte al birrificio, razionale al punto da vedere la politica non come terreno di grandi ideali, ma come dispositivo per riprodurre la potenza economica dell’azienda, al punto da non disdegnare più diritti per i lavoratori irlandesi in cambio di consensi al fratello; Anne, l’unica femmina, dimessa e tormentata, costantemente nell’ombra, e Ben jr, dipendente da droghe e alcol, a cui non rimane nulla delle ricchezze del padre, ma solo la commovente vicinanza della fidanzata.

Dramma famigliare 

La serie non ambisce a ricostruire minuziosamente la vera storia della famiglia Guinness, si permette divagazioni e interpretazioni che spesso si allontanano dalla realtà; l’obiettivo non è quello di documentare l’evoluzione di un’impresa economica di fama mondiale, ma di imbastire un family drama in cui possano emergere, uno dopo l’altro, segreti e inganni di un ambiente altolocato, esclusivo, ma in fondo velato da profonda inquietudine e oscura infelicità.

Sull’altro fronte, s’innalzano i combattenti per la libertà dell’Irlanda, guidati da Patrick ed Ellen Cochrane, leader della rivolta repubblicana, che non rinunciano alla violenza (l’incendio del birrificio) anche quando questa conduce alla rappresaglia. La bevanda prodotta dai protestanti che diventa simbolo dell’Irlanda, con l’arpa di Brian Boru che si trasforma in marchio aziendale inconfondibile; la lotta di una terra – segnata da secoli di povertà e carestia che nella serie si manifestano sotto gli occhi di Anne Guinness durante un viaggio lungo le contee desolate – che sogna di diventare nazione; il vecchio ordine che affievolisce e il nuovo che ancora deve germogliare.

In House of Guinness, accompagnata da una colonna sonora che fonde folk e rock, dove emergono le drinking songs di band della tradizione irlandese (dai Flogging Molly ai Mary Wallopers), la birra è metafora della storia che scorre e di un popolo «eccitato dalla prospettiva dell’indipendenza».

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